05 settembre 2018

Una nuova vetrina per Firenze. Valeria D’Ambrosio e Federico Niccolai ci parlano di Penta Space

 

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Ci sono certi numeri che agiscono concretamente nella vita quotidiana. Per esempio, il 5. Sono quei minuti che fanno la differenza ma anche un amichevole cenno di saluto oppure, andando più indietro nel tempo e in là con lo spazio, sono i Wu Xing, fuoco, terra, metallo, acqua e legno, gli elementi fondamentali della dottrina taoista, mentre V è la rappresentazione dell’Uomo vitruviano. E pentagonale è anche la base da cui parte PENTA SPACE, nuovo spazio dedicato all’arte contemporanea emergente che aprirà oggi, a Firenze, con la mostra di Cesare Patané. Che sarà solo la prima di una fittissima serie, un appuntamento fisso ogni 5 del mese, da settembre fino a giugno, con le opere di Franco Spina, Marco Rossetti, Adriana Amoruso, Victoria DeBlassie, Andreas Zampella, Miriam Bettarini, Nation25, Federico Niccolai, MOM3NTO
Abbiamo raggiunto Valeria D’Ambrosio e Federico Niccolai, le menti dietro questa numerologia un po’ esoterica, per farci raccontare il loro progetto. 
Come e dai chi è nata l’idea di aprire un nuovo spazio dedicato all’arte contemporanea a Firenze? 
«Io e Federico ci siamo conosciuti poco più di un anno fa quando abbiamo partecipato a una residenza qui a Firenze, io come curatrice d’arte contemporanea, lui come giovane artista dell’Accademia di Belle Arti. Poi, a maggio di quest’anno mi sono trasferita a Firenze per lavoro, Federico intanto si era diplomato e ci siamo ritrovati, insieme ad altri artisti (alcuni dei quali coinvolti in PENTA SPACE), a convenire sulla mancanza di uno spazio espositivo in una città che non sempre riesce a far emergere nuovi talenti dando loro uno spazio di espressione e visibilità. Purtroppo a Firenze i vincoli sono tanti, in primis quelli burocratici, istituzionali ed economici!». 
Si inizia il 5 settembre, con la mostra di Cesare Patané e si conclude – almeno provvisoriamente – il 5 giugno, con MOM3NTO, duo composto da Miriam Bettarini e Franco Spina. Quali sono le linee guida e le motivazioni che hanno orientato le vostre scelte? 
«In realtà il calendario non è provvisorio e infatti è stato uno degli elementi di più difficile definizione in queste settimane ma l’entusiasmo degli artisti coinvolti ci fa credere che rimarrà inalterato. PENTA SPACE è una vetrina fruibile solo dall’esterno e si trova davanti la Fortezza da Basso che, con la sua pianta pentagonale, ha ispirato il concept dello spazio. Ogni dettaglio tecnico, formale e concettuale del luogo, delle opere ospitate, e della loro trasmissione critica gira intorno al numero 5. Basti pensare al nome costituito da due parole di cinque lettere, così come PENTA QUEST e PENTA CRONO che figurano rispettivamente sul fronte e sul retro delle cartoline che saranno il solo elemento di diffusione critica delle mostre. Il primo fa riferimento a una domanda, scritta su cinque righe, che nasce dall’opera esposta per stimolare una riflessione sollevando interrogativi che vanno oltre la mostra stessa. Il secondo è appunto il cronoprogramma, che di mese in mese cambierà solo nei colori. Infine, PENTA SPACE nasce come un “exhibition test space” per dare possibilità a giovani artisti nazionali e internazionali di testare nuovi lavori o i prototipi di nuove serie in via di produzione confrontandosi con un spazio piuttosto atipico e pertanto sperimentale». 
Dieci mostre in dieci mesi, il calendario è serrato e definito. Ci sarà anche spazio e tempo per altre cose che sfuggono a questo programma? 
«Crediamo proprio di no, anche se si tratta di un esperimento pure per noi che lo abbiamo fondato. È uno spazio diverso che aspira alla diffusione democratica di cultura nel tentativo di innescare un cortocircuito nella percezione del fruitore di passaggio, sia esso un abitante del quartiere, passante assiduo, o il turista, passeggiatore occasionale. Ora come ora vorremmo anche noi testare questo format e capire se, nel nostro piccolo, riusciremo ad educare all’arte contemporanea l’occhio del pubblico non specialista. Ci piace immaginare che da oggi lo spazio diventerà un’entità autonoma che vive di vita propria nell’alternarsi delle opere che, in quelle poche ore di ogni 5 del mese, verranno smontate e allestite quasi simultaneamente».

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