05 settembre 2018

…Per vedere tutto il mondo!

 
Enciclopedico, indomito, eretico e amato dai giovani artisti: senza fiato dalla prima all’ultima sala, nella mostra del grande Gianfranco Baruchello, ancora in scena al Mart

di

Il Mart di Rovereto ospita, fino al prossimo 16 settembre, la più ampia mostra dedicata a Gianfranco Baruchello, classe 1924, scaturita dall’incontro, dialogo, complicità tra l’artista livornese e Gianfranco Maraniello, direttore del museo e curatore di questa imperdibile esposizione di circa trecento opere che ripercorrono la sua carriera. 
Baruchello, genio poliedrico, anarchico per attitudine, definito da Enrico Crispolti “Extra mediale, collezionista di frammenti di materiali, cose e immagini diverse”, è considerato tra i più significativi artisti dell’arte italiana. 
L’indomabile autodidatta, dopo un iniziale avvicinamento al Nouveau Realisme, per scelta ha condotto la sua ricerca artistica in maniera autonoma, non riconoscendosi in nessun movimento, all’insegna della versatilità espressiva autoreferenziale, come insegna il suo maestro Marcel Duchamp. 
Baruchello, destutturatore di sistemi culturali, spazia dalla pittura calligrafica alla produzione di oggetti, testi letterari, film, videotapes, fotografia, operazioni agricole, incentrando la sua ricerca su cortocircuiti visivi e cognitivi, sul rovesciamento di codici e convinzioni codificate anche con anomali “teatrini” composti da collage di giornali e origami, raccolti in plexiglas.
Poi, appunto, la fondazione di “Agricola Cornelia” a Roma, un incubatore di idee e progetti condivisi che ha anticipato le nuove correnti di arte partecipativa del presente. 
Baruchello è stato segnalato da Maurizio Cattelan e Massimiliano Gioni, suoi estimatori, tra i 100 artisti di “Cream” (celebre volume di Phaidon del 1998, dedicato alle più influenti personalità dell’arte dai curatori emergenti). 
null

Autonomia della morte all’angolo di via Fiuminata il nove settembre 1974, 1974, Mart, Collezione VAF, ph Carlo Baroni

Varcata la soglia dei novant’anni, l’eterno ragazzo continua a sognare di sovvertire i sistemi cognitivi, non smette di stupire per profonda leggerezza, con una mostra da vedere e non da raccontare, che esplora il suo immaginario criptico e i percorsi ambivalenti, sospesi tra realtà e visione, prodotti dal suo articolato pensiero. 
Al primo piano del Mart irrorato di luce naturale si fluttua dentro il suo immaginario, sala dopo sala in maniera ritmica, scandita da lavori che parto dalla fine degli anni ‘50 a oggi: pare di “galleggiare” in un metalinguaggio espresso in diverse soluzioni formali. 
Il viatico inizia già dal foyer antistante le sale espositive con il Giardino di piante velenose, aiuole di vegetazione apparentemente innocua, che ci ricorda quanto di terribile la natura può celare dietro forme affascinati e ci indica il suo rapporto con l’artista. Quest’opera site specific posta all’inizio del percorso espositivo apre riflessioni sull’abitabilità dell’opera, in relazione al paesaggio interno ed esterno che si intravede dalle finestre del Mart. 
È fantasmagorica la sala dove si trovano un corpus di duecento disegni, anch’essi realizzati a partire dalla fine degli anni ‘50, che da soli valgono il viaggio a Rovereto: una summa di codici utilizzati nel corso del tempo dall’artista, sperimentatore di tecniche e linguaggi differenti. Sono un rebus tra il visibile e l’invisibile, Minima visibilia, impercettibili segni trovati o inventati che si svelano allo spettatore e sembrano seguire un ritmo arcano impercettibile.
Ipnotizzano lo sguardo Lo zero di Godel, Altopiano dell’incerto e La presqu’ile interieure, grandi superfici bianche, cosmogonie di microrganismi che tracciano paesaggi mentali in cui brulicano segni, parole, collage, forme germinanti che interagiscono tra loro modificando visioni e significati. Da non perdere sono le due nuove opere ambientali realizzate per il Mart, L’archivio ci guarda e Le moi fragile, installazione concepita come un set psicoanalitico e cinematografico con oggetti dell’artista in cui metaforicamente si riflette sul rapporto fra sogno, politica e cinema. 
null

Gianfranco Baruchello, Exhibition view at MART Rovereto, 2018 Photo Mart Bianca Lampariello

Sprigionano energia i sui celebri plexiglass: scatole di legno appese alla parete, scrigni immaginari che racchiudono stratificazioni di sogni, combinazioni di oggetti, ritagli, materiali diversi, ordinati secondo un approccio narrativo, in cui si mettono in discussione analogie, associazioni, differenze e similitudini in bilico tra sogno e realtà. Non poteva mancare La Grande Biblioteca, una maxi scultura-collage che rivela la tensione ossessiva di accumulo di “reperti” della conoscenza, libri e altro, quali strumenti dell’attività intellettuale. Tra le altre opere c’è il Fiume, che si espande sulla parete per quindici metri, un capiente contenitore in cui le parole e le immagini si rincorrono senza narrare nessuna storia. Baruchello destruttura le grammatiche dell’arte con “alfabeti” originali, ricostruendo nelle sue opere microrganismi in cui il montaggio di frammenti diversi diventa l’opera. Il sogno è tra i leitmotiv della mostra, inscena la fase di passaggio tra lo stato di veglia e la perdita di coscienza. 
E al visitatore non resta altro da fare che lasciarsi travolgere da un rigenerante accostamento di pensieri, testi, immagini che generano costanti spostamenti visivi e contrappunti cognitivi. Baruchello affascinato da Marcel Duchamp, Jean-François Lyotard, Alan Jouffroy e Italo Calvino, sperimentatore curioso di linguaggi diversi, fin dagli esordi, valorizza il potenziale espressivo dell’assemblaggio del frammento, valorizzando l’intreccio del modulo, di dettagli di materiali diversi. 
Analogie e ambiguità semantiche scaturite dal “giardino della sua mente”, dove coltivare opere disobbedienti al sistema dell’arte, che circoscrivono un colto immaginario; lavori che richiedono attenzione, per cogliere insieme la complessità del suo alfabeto brulicante racchiuso in sintesi formali autoreferenziali. 
L’allestimento valorizza stati di alterazione visiva e concettuale in modo armonico e le opere esposte sembrano compilare un metaforico spartito musicale, una scelta “ritmica” che Melotti avrebbe apprezzato. La mostra si chiude con opere filmiche che sembrano smaterializzare lo spazio, Il grado zero del paesaggio, la sua prima opera, e Film Marcel Duchamp che immortala il padre dell’arte concettuale nell’atto improduttivo di fumare il sigaro. Incantevole Tre lettre a Raymond Roussel. 
Enciclopedico, indomito, eretico e discontinuo nella sua coerenza, amato dai giovani artisti, anomalo narratore di trasformazione di stadi, capace di passare da stati di congiunzione a stati di disgiunzione e viceversa, Baruchello tiene in sospeso il visitatore dalla prima all’ultima sala del Mart in uno stadio intermedio tra coscienza e l’inconscio, oblio e memoria, con montaggio di immagini e pensieri, assemblaggi sintattici che modificano costantemente il punto di vista. 
Jacqueline Ceresoli
 

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui