07 settembre 2018

Jan Fabre Monreale-Agrigento

 
Fino al prossimo 4 novembre c’è tempo per visitare l’esposizione “Jan Fabre – Ecstasy & Oracles”, un percorso che si snoda tra Agrigento e Monreale, curato da Melania Rossi e Joanna De Vos

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Preferisco fare preliminarmente il mio endorsement nei confronti del maestro belga. Anche se sono un estimatore, in particolare, dei lavori più risalenti, il “primo Jan Fabre”. 
Il progetto espositivo odierno comprende oltre cinquanta sue opere, realizzate tra il 1982 e il 2016. Si tratta di uno sforzo anche organizzativo (alle spalle c’è il colosso di Mondo Mostre) di notevoli dimensioni per quella che è una mostra diffusa, quasi un compendio siculo di un Grand Tour 2.0. Eppure il carattere distintivo di questo progetto non è, a mio avviso, neanche questo. Quanto il crogiuolo di affinità elettive che divampano da ogni dove in questo inedito gemellaggio tra un fiammingo come Jan Fabre e la sicilianitudine. 
Che Jan Fabre sia un fiammingo (oltre a rivendicarlo lui stesso con orgoglio pressoché in ogni occasione) è evidente nel suo lavoro, figlio legittimo di una serie di padri putativi, che vanno da Jan Van Eyck al Maestro di Flémalle, da Petrus Christus a Roger Van der Weyden, da Hans Memling a Hugo Van der Goes. Ma, soprattutto, è debitore di due degli artisti più originali dell’intera scuola fiamminga: Hieronymus Bosch e Pieter Brueghel.
D’altronde Fabre, anche in “Ecstasy & Oracles”, già dal titolo sembra attingere alla nomenclatura in auge nelle Fiandre tra Quattrocento e Cinquecento, per continuare poi nel merito – tra performance, mosaici e sculture – a scrutare ossessivamente il mondo dell’Oltre. Attraverso un misto di peccati e passioni, certezze (poche) e dubbi (sempre molti) che continuano a lacerare l’uomo al suo interno, fino alle paure e alle orribili inquietudini più concrete della nostra epoca. Ecco, allora, un ampio campionario di immagini ad alta densità simbolica, degne di una visione onirica e, forse, anche allucinata. Con effetti amplificati da contesti ambientali scelti ad hoc. Cominciamo dal tabù dei tabù, alias quello della morte, anche se nell’ottica (tutta fiamminga) del ciclo “vita-morte-rinascita”. A cui rimanda con ossessiva determinazione lo scarabeo gioiello, ora tradotto in monumentali mosaici cangianti come la sua corazza, dal titolo “Vanitas vanitatum omnia vanitas”, nell’ex Dormitorio dei Benedettini (adiacente la chiesa di Monreale). Ora tradotto, invece, in bronzo con l’aggiunta sul dorso di una croce latina, oppure di un albero di alloro o un bastone vescovile, esposti nel chiostro di Santa Maria Nuova. Un Memento mori in piena regola, molti commenteranno. Sì è vero, i leitmotiv di questo genere di allegoria medievale ci sono tutti. Proprio tutti. La transitorietà dell’esistenza, la caducità della vita, della vanità dei beni terreni e delle ambizioni umane, in contrapposizione alla vita eterna e all’esigenza della salvezza dell’anima. E qui si registra la prima affinità elettiva con quel “sensus mortis” tipicamente siciliano, racchiuso emblematicamente nel “Trionfo della Morte”, un capolavoro della metà del XV secolo conservato non distante da Monreale, a Palermo: l’affresco distaccato oggi presso la Galleria Regionale della Sicilia/Palazzo Abatellis. Si tratta di un’opera che, probabilmente, Fabre non ha ancora mai visto dal vivo ma che, credo, comunque conosca. Un po’ come avvenuto per Picasso che, stando a quanto riferito da Renato Guttuso, si sarebbe ispirato –  attraverso una sua riproduzione fotografica – al “Trionfo della Morte” di Palazzo Abatellis per la sua “Guernica”. 
A questa forte inquietudine teleologica di fondo, esito di un senso di malessere sociale e individuale, e di una crisi dei valori sempre più accentuata nel presente, che riflette il nostro maestro fiammingo (nonostante le simulate, preziose apparenze dei suoi lavori), fa da contraltare e da speranza di eternità (ieri come oggi necessaria) la tartaruga, emblema per eccellenza di quell’immortalità che garantisce però solo la sapienza. Ecco, allora, le testuggini di Fabre sobbarcarsi e farsi facchini di cervelli umani nelle sculture in mostra ad Agrigento, nell’antica quanto suggestiva Biblioteca Lucchesiana. E, poi, ancora all’interno della chiesa di Santa Maria dei Greci e nel chiostro del Monastero di Santo Spirito. E, soprattutto, nel Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi, nei pressi del Tempio della Concordia, all’interno della performance “Schande übers Ganze Erdenreich!”, presentata su cinque maxi schermi. In cui la performer/sacerdotessa Stella Höttler si muove tra tartarughe di terra in una sorta di estasi mistica, rievocando il mito – e la maledizione – della profetessa Cassandra. Qui il tabù che veicola la tartaruga è quello del tempo. Ma il quadrupede addestrato dal nostro artista fiammingo conosce l’arte di invecchiare per divenire immortali. Fabre (così come i siciliani Giovanni Verga, Federico De Roberto, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Vitaliano Brancati) sa bene che il tempo non si riesce a prevederlo, piegarlo, governarlo, neutralizzarlo. E, tantomeno, si è nella possibilità di moltiplicarlo. Estenderlo. È una risorsa limitata. Non rinnovabile. Preziosa, pertanto. Non a caso si usa dire “il tempo è denaro”. Ma non è possibile comprarne neanche un secondo. Tra tutti i suoi difetti, sicuramente spicca un’innegabile qualità: la sua democraticità. Seppure con declinazioni e sfumature diverse, non fa sconti a nessuno. Ma come raccontarlo? Lo stesso sant’Agostino, al riguardo, balbettava fino ad ammettere «io so che cosa è il tempo, ma quando me lo chiedono non so spiegarlo». Probabilmente non sa spiegarlo neanche il nostro artista fiammingo, tra tutti i suoi incantesimi di simboli e allegorie orditi tra Monreale e Agrigento. Eppure non possiamo fare a meno di notare nei suoi lavori, anche più recenti, un certo disincanto e spensieratezza nell’affrontare la caducità della vita e prendersi gioco del tempo. Riscattato dall’arte, con l’arte, per l’arte. Che ne diviene passepartout per oltrepassare la soglia liminare della mortalità. Verso l’immortalità. Questa concezione “escatologica” del tempo si riverbera in Fabre tra vertigini di cinismo, ma anche di entusiasmo. Come rivelano la cura maniacale e la perfezione formale delle sue opere. Che, d’altronde, sono concepite per sempre. Senza scadenza. (Cesare Biasini Selvaggi)
INFO
Opening: ore 10.30, Palazzo dell’Arcivescovato, Monreale; ore 18.30, Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi, Villa Aurea, Agrigento (entrambe su invito)
Jan Fabre – Ecstasy & Oracles
apertura al pubblico: dal 7 luglio al 4 novembre 2018
organizzata da: MondoMostre
promossa da: Regione Siciliana-Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, Dipartimento dei Beni culturali e dell’Identità Siciliana, Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Palermo, Polo Culturale Agrigento
all’interno di: Manifesta 12/Collateral Events, Palermo Capitale Italiana della Cultura 2018
orari: Parco della Valle dei Templi (AG) dal 07 luglio al 16 settembre dal lunedì al venerdì 08.30 – 22.00; sabato e domenica 08.30 – 23.00; dal 17 settembre al 04 novembre 08.30 – 19.00
Biblioteca Lucchesiana, Santa Maria dei Greci e Museo Archeologico Regionale “Pietro Griffo” seguiranno gli orari del Parco della Valle dei Templi 
Cappella Chiaramontana del Complesso Monumentale Santo Spirito (AG) dal lunedì al venerdì 09.00 – 13.00; martedì e giovedì 15.00 – 19.00
Cattedrale di Santa Maria Nuova di Monreale dal lunedì al sabato 8.30 – 12-30/14.30 – 16.45
domenica 08.00 – 09.15/14.30 – 16.45
Chiostro di Santa Maria Nuova ed ex Dormitorio dei Benedettini dal lunedì al sabato 9.00 – 18.30
festivi 9.00 – 13.00
biglietti: Parco della Valle dei Templi 2€ + biglietto ordinario di ingresso al Parco, consente l’accesso a tutte le aree della mostra; Chiostro ed ex Dormitorio della Cattedrale di Monreale 3€ + biglietto ordinario di ingresso al Chiostro

 

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