24 ottobre 2018

Adriano Olivetti e l’impresa 5.0

 
Attraverso diversi fondi del proprietario di Kasa dei Libri, Andrea Kerbaker, la mostra “Olivetti. La cultura scritta a macchina” racconta a Milano l’attrazione che ancora oggi esercita quella eccezionale stagione e impresa che fu l'Olivetti, avanguardistica dal punto di vista tecnologico e unicum mai eguagliato in Italia nella prassi aziendale

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Si parla oggi di “imprese 4.0”, cioè di quelle aziende che sono sempre più digitali e interconnesse: la quarta rivoluzione industriale è cominciata anche in Italia, secondo Paese manifatturiero d’Europa. Spesso, colpevolmente, tuttavia, si dimentica che c’è stato un uomo in Italia che risponde al nome di Adriano Olivetti (Ivrea, 1901-Aigle, 1960) che aveva già anticipato questa rivoluzione arrivando a teorizzare e, soprattutto, a realizzare già nella prima metà del XX secolo addirittura quella che potremmo definire l’impresa 5.0 che portava il suo nome.  
Olivetti ha sempre avuto ben chiaro che in Occidente e, in particolare, in Italia, la partita della competizione si gioca sull’innovazione di prodotto, di contenuti, di processo, sulla capacità di immaginare scenari alternativi. Una partita che chiama in causa, pertanto, necessariamente gli artisti (visivi, scrittori, etc.) e la loro capacità di cambiare e far cambiare continuamente i punti di vista. L’obiettivo da conseguire per il grande imprenditore di Ivrea era, quindi, quello di far interagire il mondo delle arti con quelli della ricerca scientifica e dell’impresa, per la creazione di un ecosistema di formazione e informazione che confluisse verso un processo di cambiamento e di innovazione sociale, economica e industriale.
L’idea era semplice. Recuperare la peculiarità che ha reso il Rinascimento uno dei momenti storici di maggiore sperimentazione e innovazione: la contaminazione tra competenze eterogenee riunite alla stessa corte. Quando artisti, scienziati, politici e umanisti operavano in sinergia per lo sviluppo di nuovi prodotti, producevano brand identity viaggiando e insegnando il proprio know-how e le proprie metodologie nelle altre corti europee e, attraverso il loro storytelling, stimolavano l’internazionalizzazione.
La testimonianza umana e professionale di Olivetti ha così aperto nuove prospettive di dialogo tra mondi apparentemente distanti, fornendo un’occasione di incontro e confronto per toccare con mano l’efficacia e le potenzialità della contaminazione tra arte e scienza, arte e imprese, arte e società in termini di innovazione e, pertanto, di competitività.
Grazie al confronto e alla collaborazione con due “olivettiani”, Mauro Broggi – che ha lavorato a lungo all’immagine – e Pier Paride Vidari – consulente Olivetti per circa venti anni, la Kasa dei Libri di Milano apre da oggi al pubblico la mostra “Olivetti. La cultura scritta a macchina” con dei preziosi frammenti di visione – impossibile prendere in esame tutto – non solo della cultura tout court, ma anche di quegli aspetti che resero la Olivetti famosa nel mondo, nel campo del design, dell’architettura e dell’editoria. A partire da quei prodotti avveniristici quanto mitici nell’immaginario globale, come la Lettera 22, 32 e la Valentina, dove quella tecnologia allora parlava italiano. E dove c’erano le firme più illustri del tempo, da Sottsass a Bellini o De Lucchi. Loro e tutti gli intellettuali che hanno accompagnato Olivetti nella sua impresa sono i protagonisti della mostra meneghina, che tra un’agenda di Mari, un catalogo di Rosai, una foto di Mario Carrieri e un racconto di Soavi e un saggio di Zorzi ci ricorda di quale produzione culturale sia stata capace l’industria italiana. (Cesare Biasini Selvaggi)
INFO
Olivetti. La cultura scritta a macchina
a cura di Mauro Broggi e Pier Paride Vidari 
dal 24 ottobre al 23 novembre 2018
Kasa dei Libri
L.go De Benedetti, 4 Milano

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