31 ottobre 2018

Made in Italy a New York

 

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È passato mezzo secolo dalla mostra “Young Italians”, curata da Alan R.Solomon allo Jewish Museum di New York , che riuniva 12 figure legate alle gallerie Castelli e Sonnabend, molto legate a Solomon: una panoramica che prediligeva opere concettuali e di matrice minimalista (Alviani, Castellani, Bonalumi, Lo Savio) con aperture verso l’Arte Povera (Kounellis, Pistoletto) e alla figurazione (Adami, Ceroli, Grisi, Lombardo, Mambor, Pascali). Fa invece parecchio riflettere l’analisi di Salomon sulla difficoltà di esportare l’arte italiana negli Stati Uniti, a causa di quello che il critico definisce “italian paradox”: la convivenza di un interesse spiccato verso la modernità unito ad uno sguardo rivolto al passato. Pur riconoscendo la qualità delle opere, Salomon è dubbioso sui loro sviluppi , a causa di questioni legate alla debolezza del sistema artistico italiano: carenza di gallerie commerciali di successo, scarsità di collezionismo e di capitali privati ed infine, last but not least, l’instabilità socio-politica. 
Dopo cinquant’anni, la situazione non è cambiata di molto, e forse la visibilità dell’arte italiana sulla scena globale è addirittura diminuita, per ragioni complesse alle quali ho dedicato il mio ultimo libro, Perché l’Italia non ama più l’arte contemporanea. Eppure i segnali positivi non mancano, come la mostra Young Italians, organizzata da Magazzino Italian Art, curata dalla giovane storica dell’arte Ilaria Bernardi e aperta fino al 1 novembre all’Istituto Italiano di Cultura di New York. Dodici gli artisti, tutti sotto i 40 anni e legati ad un certo tipo di “neominimalismo poetico” che caratterizza molta produzione degli emergenti, che nella selezione della Bernardi è predominante, escludendo forse altre tipologie interessanti. Molto rigore nella scelta delle opere, che denotano una vicinanza reale con gli artisti, dichiarata anche nell’interessante testo in catalogo, che divide gli artisti in due categorie, prendendo come punto di riferimento un noto saggio di Massimo Recalcati, Il Complesso di Telemaco: i nostalgici-evocativi e i pratici-attivi. Tra i primi domina l’interesse per la storia dell’arte come territorio da attraversare con modalità differenti: Davide Balliano recupera la manualità delle botteghe rinascimentali, Antonio Fiorentino si rifà alla tradizione dei gabinetti alchemici, Luca Monterastelli realizza sculture dove il materiale si trasforma in manufatto di matrice poverista, Ornaghi e Prestinari reinterpretano la natura morta morandiana in chiave contemporanea mentre Serena Vestrucci ed Eugenia Vanni si riappropriano delle tecniche pittoriche antiche conferendo loro nuove letture. Più forti e riuscite le opere legate a tematiche attuali: Elena Mazzi e Irene Dionisio affrontano la xenofobia in chiave concettuale e linguistica attraverso l’uso di manifesti stradali affissi in contesti urbani, Domenico Antonio Mancini costruisce armi che nascono dalle pagine dei dizionari mentre Silvia Giambrone presenta testiere di letti corrose dal tempo. Più incisive le opere di Gian Maria Tosatti, che riflette sulla stagione del terrorismo in Italia , mentre il video di Danilo Correale ironizza sul rapporto tra gli italiani e le lotterie, per sottolineare la diffusione dell’economia della speranza sul nostro territorio.  Così, “Young Italians” è un efficace tentativo di rendere più visibile negli Stati Uniti l’arte italiana di oggi, grazie anche al sostegno di Magazzino Italian Art, lo spazio espositivo fondato da Nancy Olnick e Giorgio Spanu a Cold Spring (New York) con il preciso e meritevole scopo di promuovere la nostra arte negli USA attraverso mostre, seminari, convegni e pubblicazioni . Un vero e proprio faro per i nostri artisti oltreoceano, che svolge un’attività di livello internazionale con tenacia e qualità indiscutibile. (Ludovico Pratesi)
 

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