19 novembre 2018

Errare per una R. L’installazione di Carlo De Meo per l’Ambasciata italiana a Jerevan

 

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Sono diverse le particolarità di “CANCELLATA A JEREVAN – o dell’errare nelle parole”, l’intervento di Carlo De Meo nella città armena di Jerevan. A partire dalla motivazione dell’invito: una residenza in occasione della XVIII Settimana della Lingua Italiana del Mondo, conclusasi, per l’appunto, con la realizzazione dell’installazione da parte dell’artista. Anche la collocazione stessa del lavoro è singolare: anziché chiusa tra le pareti dell’Ambasciata d’Italia, l’opera si colloca in quella linea che demarca un limite e un confine, ovvero, sulla cancellata della recinzione della sede diplomatica italiana in Armenia. 
«L’installazione – ha raccontato De Meo – di notevoli dimensioni (4,5 m di altezza per 22 m di lunghezza), nasce da una serie di interventi che sto facendo da qualche anno in giro per l’Italia e per l’Europa. Vado nella città in cui devo fare l’intervento, solo con i miei attrezzi. Giro per la città. Prendo appunti. Senza un’idea prestabilita. Cerco materiale di scarto, abbandonato, col quale costruisco poi il lavoro. E tutto si svolge nei giorni della mia presenza sul luogo». 
La curatrice Isabella Indolfi, contattata dall’ambasciata, immediatamente ha avuto chiara la volontà tanto di non organizzare una mostra istituzionale, «Perché il ruolo di una simile istituzione è creare un dialogo tra la cultura che rappresenta e quella che la ospita», quanto di coinvolgere De Meo, «Perché lavora molto con la parola e i suoi significati. E spesso, è proprio la parola che definisce i significati dei suoi lavori. Per motivi vari, non c’era modo di fare un sopralluogo preventivo e Carlo De Meo è un artista che riesce ad approcciare il luogo in maniera esplorativa». 
Quindi l’artista ha lavorato direttamente sul posto, con una contemporaneità di azione, ideazione, progettazione e conoscenza del luogo, perché i suoi progetti «Prevedono proprio questo tipo di approccio: io vado a vivere il posto e non preparo nulla prima. Sul posto svolgo questo lavoro esplorativo. E la progettazione avviene esattamente nel periodo di permanenza, nei tempi definiti volta per volta. Questa volta erano otto giorni, e negli otto giorni ho realizzato tutto». De Meo si è fatto accompagnare in quei luoghi dove si potevano trovare materiali di scarto, usando anche quelli reperiti lungo la strada e parte della quotidianità, con la massima casualità nell’errare per la città. E già il terzo giorno, gli oggetti che avrebbero dato forma all’installazione erano stati individuati. 
Da subito c’è stata la piena disponibilità, da parte dell’Ambasciata, a intervenire fuori della struttura, a diretto contatto con la città e i suoi cittadini. Si deve infatti tener presente che la sede si trova in una zona centralissima, dove sono site anche altre ambasciate, e il lavoro è stato conosciuto dagli altri ambasciatori, perché passano davanti a questa sede tutti i giorni. E dagli abitanti è stato grandemente apprezzato proprio il fatto che non è un’opera portata lì ma costruita lì, in pieno contatto con la città. È un lavoro che si sviluppa su tre livelli: sulla cancellata (limite concreto tra interno e esterno), che si espande, da un lato, sul marciapiede (con le dita che si allungano) e, dall’altro, con una scritta sulle vetrate, costruita attraverso venticinque lastre di vetro, sulle quali ci sono una lettera ciascuna, a formare “UNA ERRE CANCELLATA A JEREVAN”: elementi che mettono in stretto contatto il dentro e il fuori. Una figura, sempre alter ego dell’artista che si colloca nelle diverse situazioni, non compie un’azione di scavalcare ma raffigura una una possibilità di azione, con dei ghirigori nelle mani e nelle ali che traggono ispirazione proprio dal luogo. Figura accompagnata da una parola che, togliendo una sola lettera, cambia totalmente il significato: ARMIAMOCI oppure AMIAMOCI. E qui la fantasia può scatenarsi nel trovare tutte le possibili combinazioni di senso. (Daniela Trincia)

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