26 novembre 2018

Graffiti Never Die/ Parla Chekos’art

 
RITRATTI CONTEMPORANEI, IN VERSIONE “OP”
Incontro con il grafico, muralista e street artist che dipinge “personaggi”, storie e “domande”

di

Francesco Ferreri, aka Chekos’art, nato nel 1977 a Lecce, si trasferisce a Milano all’età di 13 anni, dove cresce nell’underground dei graffiti dell’old school milanese. Grafico, muralista e street artist, lavora nel campo dell’arte urbana con un deciso stile personale. Chekos’art lascia impronte indelebili sui muri delle città italiane ed estere con l’intento non solo di riqualificare ‘zone grigie’, ma anche di comunicare con le nuove generazioni. L’ho incontrato in occasione dell’inaugurazione della sua prima personale da Portanova12 (Bologna); questo il resoconto della nostra chiacchierata.
Personaggi storici, fotografi, cantanti, filosofi, persone impegnate nel sociale… le tue opere racchiudono una varietà di soggetti caleidoscopica: a quali ti senti più legato? Quali preferisci ritrarre? 
«In realtà non ho un personaggio preferito. Cerco di raccontare, riportare alla luce e attualizzare le storie di ognuno di loro. Tramite i tratti dei volti tento di recuperare – almeno in parte – quella memoria storica che si tende a dimenticare o bypassare, con la presuntuosità di chi pensa di essere superiore. Mi sono accorto, durante la realizzazione di vari lavori, di quanto questo aspetto sia importante e si innesti nel tessuto sociale; le persone dimostrano un forte legame nei confronti di quelle opere che riqualificano i luoghi tramite una visione artistica».
Il tuo muralismo è sociale. Quali sono i messaggi o i problemi che vuoi portare all’attenzione di tutti?
«Ho sempre cercato di rappresentare la società contemporanea, tanto che in passato mi sono dedicato molto al tema del razzismo e a combattere questo fenomeno mondiale ancora tristemente attuale (vedi murales antirazzista a Bialystok, Polonia, 2013). I miei lavori, sin dai primordi, o contengono messaggi forti e di contrasto sociale o semplicemente sollecitano riflessioni e stimolano domande. Durante festival autoprodotti ho realizzato diversi interventi murali e installazioni in centri sociali o palestre e mi sono dedicato ai progetti nei quartieri popolari. Sono impegnato quotidianamente nella realizzazione di diversi laboratori artistici nelle scuole e nei centri d’accoglienza e, per due anni, ho svolto un laboratorio sull’arte urbana presso il carcere Borgo San Nicola».
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Chekos’art
I tuoi muri sono veri e propri ‘monumenti urbani’, puoi parlarci del valore pubblico dell’arte di strada?
«Ho sempre creduto che il valore pubblico della mia arte risiedesse nel tentativo di far riemergere sensazioni legate alla memoria storica, interpretandole visivamente in chiave moderna. I murales, e la street art in generale, entrano in dialogo con le comunità e i muri acquisiscono il duplice valore artistico e sociale. L’edificio decorato diviene quindi veicolo di messaggi legati alla storia, all’aspetto socio-culturale del luogo in cui è collocato».
Passato e presente come convivono nei tuoi lavori?
«Di solito quando vengo invitato a dipingere faccio una ricerca sul luogo con cui interagirò e mi documento sulla sua storia. Il recupero di identità e di valori dimenticati è affidato troppo spesso a metodi di trasmissione obsoleti che peccano di stimoli concreti, creando per lo più distanza e disinteresse, specialmente nei giovani interlocutori. L’arte iconografica – unitamente alla potenza espressiva e dirompente che la street art possiede – può, invece, diventare un giusto e potente mezzo di comunicazione universale».
Essere un artista indipendente offre molta libertà, ma a quali difficoltà si va in contro?
«Di sicuro è una scelta che comporta diverse difficoltà e richiede forza nel far fronte a chi non condivide gli stessi obiettivi, ma allo stesso tempo regala parecchie soddisfazioni. Sapere di poter raggiungere risultati con le mie sole forze mi fa andare avanti con la dignità e la consapevolezza d’avere qualcosa in cui credere e lottare».

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Chekos’art
Come è avvenuto il passaggio dal writing alla street art, dalle tag e al figurativo? Qual è la prossima frontiera della tua sperimentazione?
«Non ho mai pensato a me stesso come a un writer, piuttosto come a un artista che si esprimeva con gli spray.  Poi, tra la fine degli anni ‘90 e i primi anni del 2000, spostandomi più verso il centro di Milano (zona Navigli), ho sentito l’esigenza di realizzare dei lavori maggiormente intellegibili. Desideravo spingere la mia ricerca verso nuovi orizzonti e, ispirato dai lavori di Keith Haring, Jean-Michel Basquiat, Andy Warhol e Roy Lichtenstein, ho cercato di realizzare qualcosa di diverso. È così che è avvenuto il passaggio agli sticker, ai poster e soprattutto agli stencil».
Come nasce il motivo circolare, quasi ottico, che conferisce dinamicità ai volti che dipingi divenuto cifra inconfondibile dei tuoi lavori?
«Dopo anni di ricerca nello stencil e di sperimentazione delle varie tecniche, mi sono reso conto che le linee circolari mi rappresentavano maggiormente, così ho ricercato una forma ottica e circolare.
Lo stile optical sviluppa molteplici percezioni: da lontano lo spettatore ha l’impressione di star osservando una fotografia, avvicinandosi, invece, le linee e la modulazione del colore si ampliano, rendendo meno nitida l’immagine dipinta. Una tale alterata possibilità di percezione visiva, suggerisce e stimola l’immaginazione».
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Chekos’art
‘Campagna salentina’ realizzato da 167/B street, Anas e Comune di Galatina: è il primo muro in cui inserisci elementi naturali del paesaggio?
«Sì, è da un po’ di tempo che volevo rappresentare un paesaggio; è una nuova ricerca che sto portando avanti. Dopo tanti anni di lavoro trascorsi ad utilizzare i volti di diversi personaggi, sento l’esigenza di realizzare qualcosa di diverso avvicinandomi a temi come la natura e il paesaggio, sviluppando le caratteristiche dei luoghi in cui intervengo, pur restando fedele alla mia poetica».
‘Op Street’ è la tua personale inaugurata il 12 ottobre presso Portanova 12 (BO): contenuti e aspettative? ‘Op’ sta per?
«Ultimamente sto cercando di sviluppare la mia ricerca lavorando alla ‘op art’ o arte ottica. È un’arte essenzialmente grafica, basata su una rigorosa definizione del metodo operativo. L’artista vuole ottenere, attraverso linee collocate in griglie modulari e strutturali diverse, effetti che inducono uno stato di instabilità percettiva. In tal modo, esse stimolano il coinvolgimento dell’osservatore.
Negli anni passati ho partecipato a diverse collettive anche al fianco di autori di fama internazionale, ora sono curioso di mettermi alla prova con una mia prima mostra personale. Ad oggi sono soddisfatto del riscontro ricevuto».
Chekos non solo artista, ma anche fondatore di 167/B street, co-fondatore di South Italy Street Art e art director di BFake: le tue giornate sembrano infinite. Come fai a conciliare tutto e quale aspetto del tuo lavoro ti dà più soddisfazione?
«È vero, sono sempre immerso in qualcosa, a volte diventa stressante, ma ciò mi permette di avere molte soddisfazioni. Sono spesso in cerca di nuove sfide e nuovi progetti. Anche da bambino, non riuscivo mai a stare fermo e tranquillo! La parte che mi piace di più nel mio lavoro è dipingere murali, mi fa sentire libero. Viaggiare, osservare, interagire, imparare ‘in modo informale’ è la mia accademia delle arti e della vita. Essendo la mia un’arte da autodidatta, sono sempre alla ricerca di nuovi vocabolari in giro per le strade».
 
Maria Chiara Wang

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