28 novembre 2018

Un’incredibile storia di “stars”

 
Dalla Toscana al Vietnam quasi per caso, nel 1968. La vicenda di cinque ragazze e della loro band rivive in un documentario “sensibile”, tra storia, verità politica e amicizia

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Nel novembre del 1968, esattamente 50 anni fa, cinque ragazze toscane, appena ventenni, atterrano all’aeroporto di Saigon nel momento più duro della guerra del Vietnam. Cinque ragazze assolutamente ignare di dove stessero andando, cinque musiciste, componenti una delle rarissime band di sole donne degli anni ’70. Una band di nome “Le Stars”.
Inizia così per Rossella,Viviana, Daniela, Franca e Manuela una avventura incredibile, una vicenda nata da un contratto assurdo che pensavano le avrebbe portate in tournee in zone tranquille dell’Oriente mentre finirono, invece, in quello che era allora l’ombelico del mondo per una guerra terribile.
Ragazze semplici, decisamente normali, con lo spiccato accento toscano delle province di nascita, quelle una volta più operaie e rosse della Toscana fra Livorno, Pontedera e Piombino.
Ecco, questa incredibile storia viene raccontata nel documentario Arrivederci Saigon presentato quest’anno alla Biennale di Venezia nella sezione Sconfini, accolto con quindici minuti di applausi, ed ora presentato al pubblico in alcune sale ben scelte, così come nella serata organizzata a Pietrasanta alla quale hanno partecipato lo sceneggiatore e due delle protagoniste proprio delle “Stars”.
Documentario nato dall’intuito geniale di Giampaolo Simi, autore che ha scovato casualmente questa storia a Livorno e che, con l’aiuto della regista Wilma Labate, ha deciso di raccontarla attingendo ai racconti delle protagoniste ma anche agli archivi AAMOD, Istituto Luce Cinecittà e Rai Teche.
«Sei anni di lavoro preparatorio nei quali abbiamo anche scritto un film vero e proprio. Ma il problema principale in cui ci siamo imbattuti è che nessuno ha mai creduto o credeva che questa storia fosse vera! Ci siamo detti, allora, facciamone intanto un documentario così iniziamo a raccontarla e a far capire che tutto è davvero accaduto», ci dice Simi.
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Arrivederci Saigon, Wilma Labate
È, quindi, dalla viva voce delle protagoniste di questa vicenda che supera ogni possibile fantasia, che ascoltiamo il racconto emozionato di una guerra narrata con l’ingenua emozione di chi vedeva davanti a sé, mentre cercava di suonare blues in una band, solo ragazzi sgomenti e terrorizzati.
Ragazzi che non riusciva ad etichettare nelle vicende politiche del momento, volti di diciottenni con occhi a volte pieni di lacrime, ragazzi che volevano solo tornare vivi a casa esattamente come loro, le cinque ragazze sbarcate improvvidamente a Saigon.
Così accadde che “Le Stars” si trovarono a cantare per le truppe Usa.
In mezzo a basi militari dove arrivavano la sera i corpi di chi avevano salutato la mattina, dove «Il puzzo (come racconta Rossella, la solista) di morte e carogne abbandonate ti entrava dentro, tanto che non te lo sei più riuscita a togliere dalla mente».
Ragazze dalle quali, appena sbarcate, gli ufficiali USA bianchi si aspettavano canzoni italiane classiche, roba da “sole, cuore e amore”, il repertorio italiano ovvio e conosciuto in tutto il mondo.
Ma loro, le cinque giovanissime toscane, invece, suonavano brani soul, musica dei neri, musica non adatta certamente ad ufficiali bianchi dell’America anni ’70 e per questo la loro sorte, se mai possibile, peggiorò ancora perché furono spedite negli avamposti più lontani del Vietnam del Sud, quelli più pericolosi.
Quelli dove erano mandati i soldati afroamericani, i “neri”, quelli per cui le Stars avevano, secondo i bianchi, la musica “giusta”.
Insomma una vicenda che ancora appare incredibile, dove davvero la realtà supera ogni fantasia ed ogni immaginazione. Una storia che non solo gli autori del documentario si augurano possa diventare un film per essere appieno raccontata.
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Arrivederci Saigon, Wilma Labate
«Mi sono ritrovata al centro del mondo – racconta ancora la cantante Rossella Canacchini – Avevo solo sedici anni e mi sono accorta subito che cosa fosse la guerra lì, in Vietnam. Che lì si uccideva solo per non essere uccisi e che è più facile uccidere qualcuno se ti è stato insegnato che il tuo nemico non è un essere umano. Vedevo ragazzi di diciotto anni feriti che piangevano o che rientravano nelle bare la sera. Io non ho mai dimenticato il Vietnam. Quanto ho imparato in tre mesi! Anche come donna e come musicista ho imparato tantissimo. Quando la gente parla di soul o ritm & blues sono parole! Io l’ho vissuto sulla mia pelle cosa vogliano dire davvero. Io ho visto ragazzi di colore che non cantavano il blues perché è bello o gli piaceva tanto farlo, ma perchè gli scorreva nelle vene per il dolore che subivano, per la sofferenza».
«Stavamo sveglie tutte le notti per il rumore degli aerei. Se stiamo qui ci ammazzano», ricorda Viviana Tacchella, chitarrista.
«Credevamo di dover suonare nelle Filippine…invece ci trovammo ad atterrare in un posto dove si vedevano già dall’alto buche, sacchetti di terra, cumuli di legna con un atterraggio in picchiata terribile, che solo dopo ci dissero fosse necessario cosi per sfuggire alla contraerea vietcong. Solo una volta sbarcate capimmo di essere in un aeroporto militare: l’aeroporto di guerra di Saigon! Mai avremmo pensato di doverci stare tre mesi!».
Rientreranno in Italia, infatti, solo nel gennaio del 1969 le ragazze delle Stars. Rientreranno per subire, poi, dopo la vicenda già pesantissima della esperienza in Vietnam anche una sorta di linciaggio politico dell’allora potentissimo PCI.
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Arrivederci Saigon, Wilma Labate
Accusate di aver dato aiuto e sostegno morale con la loro musica alle esecrande truppe Usa!
Nessuna pietà, nessuna comprensione per una storia che le aveva fatte trovare da ragazzine in pericolo e, loro malgrado, all’oscuro e loro stesse vittime. Ci sono voluti cinquant’anni per liberarsi di questo senso di colpa ingiustificato.
Cinquant’anni per far decidere e capire a queste ragazze di aver vissuto una esperienza straordinaria nella quale non avevano nessuna colpa, salvo il desiderio continuo di riuscire ad uscirne vive.
Qualcosa che ha segnato profondamente la loro conoscenza della vita, della morte e del senso profondo dell’orrore della guerra che, vista da vicino, vede solo la devastazione dell’animo umano, della paura di non farcela, soprattutto se hai neanche vent’anni…e non sai neanche perché sei arrivato lì.
Rossella, Viviana, Daniela, Franca e Manuela protagoniste di “Arrivederci Saigon” ma non tutte presenti nel documentario perché, ancora, non ognuna di loro ha avuto voglia a di raccontare. Quelle che sono riuscite a farlo ci hanno fatto il grande dono di uno spaccato di vita italiana che mai avremmo pensato possibile. Con la speranza, come ha detto l’autore Giampaolo Simi durante la presentazione «che prima o poi, con il clamore anche di questo documentario venga fuori da qualche sperduta cantina dell’Ohio o di chissà dove, un pezzo di pellicola che le ritragga a cantare blues a Saigon.
Quel blues che emozionava, sapeva commuovere e arrivava dalla Toscana. Da cinque, incredibili, ragazze toscane.
Milene Mucci
Arrivederci Saigon
Regia Wilma Labate
Sceneggiatura Giampaolo Simi – Wilma Labate 
Documentario
Italia, 2018
durata 80 minuti
Distribuito da Cinecittà Luce
 

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