02 dicembre 2018

Lettere 2.0

 
L’Italia che verrà: il paradosso dell’analfabetismo funzionale nell’epoca dei prosumers, e una serie di “investimenti” percorribili per un tema decisamente politico

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Per chi non lo sapesse, esistono due tipologie di analfabetismo: il classico (non saper leggere né scrivere) e il funzionale, che ne rappresenta, per così dire, la versione contemporanea (avere la capacità di leggere e di scrivere ma non avere la capacità di capire il contenuto del testo).
Paradossalmente, l’analfabetismo funzionale è una piaga molto più insidiosa di quello strutturale: se in quest’ultimo caso ci si trova, infatti, di fronte ad una mancanza “oggettiva”, in quello funzionale, si affronta una condizione silente che può essere anche spesso correlata ad uno scarso livello di attenzione, sminuendo il fenomeno. Ma è proprio questo il punto.
Nella nostra società dell’informazione, un individuo che non è in grado di capire ciò che legge è tendenzialmente un pericolo per se stesso e per gli altri. 
Per capire come combattere questa condizione, è necessario innanzitutto avviare una forte politica di prevenzione. E non c’è prevenzione migliore della lettura.
Gran parte dei consumi culturali, infatti, richiedono un investimento che è precedente al consumo e non necessariamente legato ad un beneficio certo. Fuor d’accademia: quando andiamo al cinema (pur se abbiamo visto tutti i trailer) non sappiamo se il film per il quale paghiamo ci piacerà. Allo stesso modo quando compriamo un libro, andiamo a teatro o compriamo un mp3.
Ma c’è di più. 
Nel caso della lettura, oltre all’investimento monetario è necessario sostenere un investimento cognitivo. In altre parole, per poter apprezzare un libro, prima dovremo comprarlo (o recarci nella più vicina biblioteca) e poi dovremo leggerlo. 
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E-Reader in biblioteca
L’atto di leggere costerà fatica. Soprattutto ai bambini che tenderanno quindi ad associare alla lettura una gamma di sensazioni che vanno dalla frustrazione alla noia.
Come prevenire un meccanismo di questo tipo?
Insegnando loro il “piacere della lettura”.
Per farlo sarà necessario agire soprattutto fuori (e prima) dell’attività scolastica. Sarà necessario insegnare loro il piacere di “ascoltare un racconto”.
Non è una questione di distrazione o affini. È una questione di piacere. Gli esseri umani tutti rispondono ad una logica di questo tipo: non resta altro che mostrare ai bambini che la lettura di un libro può generare piacere e saranno disposti a sostenere il costo di impegno necessario per ottenere il beneficio sperato.
Il piacere derivante dalla lettura di un libro è diverso da quello che può generare guardare un video su YouTube. Ma se nel primo caso è necessario sostenere uno “sforzo”, nel secondo dobbiamo soltanto restare “passivi”. 
Questo è un vero e proprio paradosso. Per anni, la sigla “2.0” sottolineava la rivoluzione dell’industria dei contenuti: basta fruizione passiva, ora tutti potranno avere una fruizione attiva della cultura!
In realtà le cose, probabilmente, non stanno seguendo proprio questo percorso. Ed è una riflessione che ripone al centro del nostro dibattito culturale il ruolo che strumenti “tradizionali” della cultura e del tempo libero possono (e devono) avere nella nostra cultura contemporanea.
Si pensi alle biblioteche e al necessario ri-pensamento di cui dovrebbero essere oggetto.
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Biblioteca Nazionale Marciana, Venezia
Ad oggi sono poche le biblioteche che riescono davvero ad avere un impatto sulla vita quotidiana degli individui e i motivi sono tantissimi: dalla riduzione del nostro tempo libero alla mancanza di capacità di management ed innovazione che contraddistingue molte delle strutture di pubblica lettura.
Questi problemi non possono essere risolti con una nuova e maggiore assegnazione di risorse economiche, che spesso rappresenta più una “spugna sulla coscienza politica” che una vera e propria soluzione. 
Ri-pensare le biblioteche implica in primo luogo uno sforzo da parte degli operatori rivolto alla comprensione di cosa, nelle loro routine, è sbagliato. Non è facile. Ma è altrettanto difficile credere che se le persone non leggono la colpa sia solo dell’ignoranza e di internet.
È necessario avviare “pilot-test”, misurare l’efficacia di iniziative disparate e ridurre al minimo il “lavoro inutile” che tuttavia viene condotto per rispondere a logiche burocratiche. È necessario altresì creare nuovi modelli di biblioteca, nuovi servizi che possano permettere alle persone di “unire l’utile al dilettevole”, ed inserire così la biblioteca all’interno dei loro “percorsi urbani”. 
L’introduzione di soluzioni di pagamento all’interno dei tabaccai o dei supermercati, rispondono ad una logica di cross-selling (mi reco in un luogo per ricaricare “il cellulare” e associo l’acquisto di un bene o servizio non sostitutivo). E se questo vale per una caramella, o una liquirizia, perché non potrebbe valere per un “libro” in prestito?
Forse è una provocazione, ma neanche troppo. Ma è fuor di dubbio che una prospettiva nuova vada costruita e creata per questo settore. 
Operazione certo non facile, e nemmeno “indolore”, è vero. Ma al centro di questo dibattito c’è la capacità di una nazione di poter comprendere ciò che conta all’interno di un testo, e non è cosa da poco. 
Stefano Monti

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