18 gennaio 2019

TEATRO

 
Cuore di tenebra o del potere di un “classico”. Intervista al regista Pete Brooks
di Valentina Cirilli

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Tutti ricorderanno una delle pagine della fortunata edizione de l’Espresso del 28 giugno 1981, in cui Italo Calvino, nell’esortare alla lettura di un classico, parlava di esso come di “un’opera che provoca incessantemente un pulviscolo di discorsi critici su di sé, ma continuamente se li scrolla di dosso”. Riscritto, drammatizzato, a volte tradito e strumentalizzato: quanto è travagliata la vita di un classico? Leggiamo in momenti diversi e spesso, quella fitta trama di rimandi e connessioni che la personalissima disposizione delle parole di un autore suggerisce, ci porta alla scoperta di significati differenti. Capita, però, che uno scrittore ci chieda di porci al di fuori dei fatti espressamente narrati per coinvolgerci in qualcosa di più grande, di più universalmente condiviso. Uno di questi fu senz’altro Joseph Conrad e la controversa ricezione delle sue opere ne è la fedele testimonianza. 
Nello spazio desolato e sospeso di un’Europa senza tempo, la compagnia inglese Imitating the dog ha trasferito l’avventurosa vicenda del protagonista di Cuore di tenebra, il capitano Marlow, in un originalissimo adattamento che conferma il tratto assolutamente inedito e autentico caratterizzante l’estetica del gruppo. Lo spettacolo, frutto di una coproduzione con Marche Teatro e Cast, è andato in scena al Teatro Sperimentale di Ancona, all’interno della rassegna Scena Contemporanea che da qualche hanno è entrata a pieno titolo nella programmazione della fondazione anconetana. 
L’impianto drammaturgico della pièce si divide tra il procedere del racconto di un Marlow che veste i panni di una donna africana e lo sguardo estraniato di una compagnia di cinque attori che tentano di metterlo in scena; un gioco meta teatrale introduce lo spettatore nel cuore della delicata questione interpretativa che non ha mai smesso di tormentare questo testo conradiano. La regia di Pete Brooks e Andrew Quick, gli storici fondatori e direttori della compagnia, punta a sottolineare i significati più strettamente politici di esso inserendolo a pieno nel dibattito intorno ai cambiamenti sociopolitici che hanno caratterizzato il panorama europeo negli ultimi anni; non di meno sulla sempre più convinta affermazione di una pericolosa coscienza razzista. Un’operazione che rivela una necessità e opportunità di attualizzazione ma che rischia di lasciare inascoltata la preziosità di quell’universo metafisico di cui la diegesi conradiana non è che la facciata più superficiale. Per la grande complessità ermeneutica Cuore di Tenebra si apre, infatti, ad un duplice livello di analisi: la connotazione politica e colonialista del viaggio di Marlow offre la possibilità al suo autore di indagare quell’universale capacità dell’uomo di connettersi con la parte più oscura di sé stesso. Un viaggio in cui la dimensione fisica dei luoghi attraversati dal narratore cede presto il posto a un’indagine psicologica intorno ai volti nascosti delle pulsioni umane che nella messa in scena della compagnia inglese non trova spazio alcuno. 
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Keisha Greenidge, Morgan Bailey in Heart of Darkness, photo Lara Virgulti
L’iconicità del linguaggio di Joseph Condrad, quella straordinaria capacità della sua scrittura di saper “parlar d’altro” ben descritta da Dacia Maraini, derivante da ciò che egli stesso definì “un sentimento romantico della realtà” a lui proprio, rende sfuggevole l’apparente semplicità dei suoi racconti. Una peculiarità quest’ultima che se da un lato disegnò la grandezza della sua poetica, dall’altro lo pose al centro di numerosi fraintendimenti e mal interpretazioni, soprattutto a partire dall’avvento della letteratura post colonialista. La trasposizione scenica di Imitating the dog, tuttavia, si contraddistingue per una potente carica espressiva. Linguaggi diversi si mescolano: il cinema incontra la forma del fumetto in un sistema di schermi che, oltre ad amplificare lo straordinario lavoro degli interpreti in scena, inserisce alcune sequenze filmiche a cura di Simon Wainwright in grado di aprire la strada a una molteplicità di orizzonti immaginativi. 
Non uno ma tanti gli interrogativi nati dalla visione di Cuore di tenebra che il regista Pete Brooks si è reso disponibile a rispondere nell’intervista che pubblichiamo di seguito. 
Il vostro adattamento insiste in particolar modo sulla valenza politica dell’esplorazione di Marlow, in linea con molta letteratura post colonialista, tra cui l’aspra lettura critica dello studioso nigeriano Chinua Achebe che denunciava l’intento razzista di alcuni passaggi del testo di Conrad. A tratti lo spettatore ha quasi l’impressione di trovarsi di fronte ad un vero e proprio processo all’autore polacco. Da quale lettura dell’opera siete partiti per la costruzione dell’allestimento? 
«Come qualcuno afferma nello spettacolo, esso sembra una buona occasione per svelare la verità intorno all’impero; l’Inghilterra vede l’impero in maniera quasi sentimentale, romantica il che ci aiutare a spiegare il perché dei suoi attuali rapporti conflittuali con l’Europa. Mettere in scena un’opera come Cuore di tenebra necessita di una lunga ricerca; man a mano che il progetto procede affiorano nuove tematiche, tra le quali il dibattito intorno al razzismo e la grandezza delle atrocità avvenute in Africa. Crediamo che il nostro spettacolo parli principalmente di fascismo, di ciò che succede quando i più forti si sentono autorizzati ad imporre la propria volontà sui più deboli. Disegniamo analogie tra l’olocausto e quanto accaduto nello stato libero del Congo. Penso che sia un’analogia molto appropriata: Leopoldo II del Belgio non fu migliore di Hitler, ma per arrivare ad ammettere questo dobbiamo avere il coraggio di porci delle domande scomode sul perché del comportamento degli europei nei confronti dell’Africa».
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Keisha Greenidge and Matt Prendergast in Heart of Darkness, photo Lara Virgulti
Nello spettacolo il protagonista Marlow veste i panni di una donna nera africana diversamente dal personaggio originale pensato da Conrad. Qual è il motivo di questa scelta?
«L’idea di cambiare la razza di Marlow e di ribaltare la geopolitica della vicenda è stato per noi il mezzo che ha reso possibile l’intero progetto; è stato quasi assiomatico. Non avremmo voluto né potuto portare avanti l’allestimento con una protagonista bianca occidentale. Trasformare Marlow in un personaggio femminile di colore rende più evidenti alcune relazioni drammaturgiche. Nella dimensione geopolitica capovolta dello spettacolo i protagonisti bianchi mostrano una speciale referenza verso Marlow, proprio in ragione della sua diversa razza e cultura. Una deferenza che non sarebbe potuta affiorare se fosse stato un uomo. Non avremmo potuto immaginare la scena finale con Kurtz recitata da un Marlow impersonato da un uomo bianco; essere nei panni di una donna lo rende capace di una compassione e un distacco che difficilmente sarebbero venuti fuori se fosse stato un personaggio maschile. La nostra Marlow ascolta le parole di Kurtz, si commuove e alla fine lo uccide con un colpo di pistola. Un personaggio maschile non avrebbe avuto la stessa determinazione nello scivolare così velocemente verso il finale. Lo spettacolo tratta altresì dei problemi che nascono dall’adattamento di un testo pensato per un nuovo linguaggio in un tempo storico diverso da quello in cui è stato concepito. Più di altri classici lo sguardo critico del romanzo di Conrad è cambiato nel tempo, non solo per l’interpretazione di Chinua Achebe; noi vogliamo riconoscerlo e mostrare come un testo possa divenire intertestuale e che non si possa fare a meno oggi, leggendo Cuore di Tenebra, di ritrovarsi nelle posizioni di Chinua Achebe o di pensare a “La terra desolata” di Thomas Stearns Eliot o ad “Apocalypse now” di Martin Scorsese».
Anche in questo spettacolo si mantiene salda la fusione tra performance dal vivo e tecnologie digitali che ha caratterizzato l’impronta originale dei vostri precedenti lavori. In “Cuore di tenebra” lo sguardo dello spettatore è chiamato a dividersi tra i diversi schermi presenti sulla scena sui quali vengono proiettati i gesti e i movimenti degli interpreti. Come avete portato avanti il lavoro con gli attori e in che modo essi sono arrivati a interagire con la complessità della scenografia?
«Lavoriamo in stretta connessione con gli attori e con i nostri principali performer. Morven Macbeth, Laura Atherton e Matt Prendergast lavorano in questo modo da anni.  Morgan Bailey e Keicha Greenidge sono nuovi in questo metodo di lavoro ma entrambi vengono dalla recitazione televisiva che è stata per loro di grande aiuto. Morgan, oltre ad essere un attore, è anche un regista abituato a operare e interagire con la tecnologia. Gli interpreti danno un enorme contributo al progetto nel momento in cui ci pongono delle domande complesse sul perché stiamo facendo qualcosa in quella precisa maniera, quando ci comunicano le loro impressioni e, ovviamente, nel loro essere creativi. Gran parte del contributo dei performer arriva prima del debutto ma succede spesso che si aspettino di portare le loro idee in scena durante il debutto stesso anche se non è sempre facile accontentarli. Sappiamo di pretendere molto da loro ma in cambio hanno la possibilità di sentirsi pienamente responsabili e partecipi della costruzione dell’intero spettacolo, non solo della propria performance».
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Keisha Greenidge and Matt Prendergast in Heart of Darkness, photo Lara Virgulti
Cuore di tenebra è anche uno spettacolo che attraverso l’espediente della meta teatralità mette a nudo il processo difficoltoso di un regista nel mettere in scena un testo classico e le decisioni che ne derivano: l’interpretazione dell’opera e la sua attualizzazione. Potresti spiegarci la tua personale maniera di approccio a un testo classico e alle difficoltà maggiori che ti si presentano?
«Attraverso questo spettacolo ci interessa far capire al pubblico i motivi che sottendono le variazioni che abbiamo operato nei confronti del testo originale. È indispensabile per lo spettatore capire che tutti i cambiamenti drammaturgici sono stati attentamente ponderati e che sono stati introdotti per una precisa ragione. I testi classici presentano la particolare difficoltà di essere ben conosciuti dalle persone le quali si aspettano di vederli rappresentati secondo l’idea che si sono costruiti leggendoli. In Inghilterra c’è una lunga tradizione nel riadattare Shakespeare e altri drammi classici e il pubblico è pronto ad apprezzare anche gli allestimenti più innovativi. L’operazione diviene molto più difficile per i romanzi classici come Cuore di Tenebra».
Qual è la fonte di ispirazione principale per i vostri progetti?
«Qualsiasi cosa. Ci interessano molto i racconti. Leggiamo molto, guardiamo parecchi film e graphic novel. La drammaturgia delle opere tradizionali è quella che ci interessa di meno, solitamente».
Che cosa vi piacerebbe lasciare al pubblico che assisterà al vostro spettacolo?
«Ci piacerebbe portare il pubblico a soffermarsi su tutte quelle cose che prima non aveva preso in considerazione o consentirgli di guardarle sotto un’altra luce. È bello sapere di non essere soli nel coltivare i propri pensieri perché si ha la sensazione che molte di quelle cose di cui abbiamo paura e che ci inquietano siano condivise da altri. Come compagnia abbiamo spesso il timore di non riuscire a comunicare al meglio le nostre idee e ci auguriamo sempre che il pubblico possa trovare il nostro lavoro emozionante, commovente e bello».
Valentina Cirilli
Heart of Darkness
da Joseph Conrad
una creazione di imitating the dog
scritto e diretto da Andrew Quick e Pete Brooks
proiezione e disegno video Simon Wainwright
costumi Laura Hopkins
disegno luci Andrew Crofts
musiche Jeremy Peyton Jones
collaborazione di ricerca Elnathan John, Testament, Michael Greaney
con Laura Atherton, Morgan Bailey, Keicha Greenidge, Morven Macbeth, Matt Prendergast
produzione imitating the dog, MARCHE TEATRO and CAST. Supported by Arts Council England, Lancaster Arts at Lancaster University and Theatre by the Lake

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