07 dicembre 2018

Generazione San Lorenzo

 
“Scuola di San Lorenzo. Una Factory romana” si inaugura oggi alla Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi, a Jesi

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Il progetto espositivo odierno riunisce idealmente quel gruppo di artisti che, nella Roma degli anni Ottanta, occuparono le stanze abbandonate dell’ex pastificio Cerere con i loro ateliers, donando nuova linfa vitale al caseggiato industriale situato nell’omonimo quartiere della città. Gli artisti della scuola di San Lorenzo, così definiti da Achille Bonito Oliva, Domenico Bianchi, Bruno Ceccobelli, Giovanni Dessì, Giuseppe Gallo, Nunzio, Piero Pizzi Cannella e Marco Tirelli sono in mostra con un nucleo di opere realizzate negli ultimi dieci anni che testimoniano il progresso della ricerca portata avanti da ognuno di loro. L’esposizione è a cura di Giancarlo Bassotti, con il contributo critico di Marco Tonelli che abbiamo intervistato per la nostra anteprima.
Il titolo della mostra è “La Scuola di San Lorenzo. Una Factory romana”. Ma siamo sicuri che sia stata una “scuola” e, soprattutto, una Factory?
«Non più né meno “scuola” di quella di via Cavour degli anni Venti, di quella del Portonaccio dei Cinquanta, di quella di Piazza del Popolo dei Sessanta, tra l’altro tutte nate a Roma. Si tratta più che altro di un termine evocativo e che mette in comunicazione ereditaria questo gruppo con altre situazioni simili e conclamate. “Factory” è in senso allusivo: di fatto questi artisti hanno occupato una ex fabbrica, il Pastificio Cerere, e lì hanno realizzato i loro studi, laboratori, hanno costruito un’identità artistica e dato forma culturale a un quartiere degradato quale era, soprattutto all’epoca, quello di San Lorenzo, ma vivo e pieno di energia».
Ci puoi descrivere il percorso espositivo?
«Le opere (selezionate dal gallerista Gino Monti, dal curatore Giancarlo Bassotti con la consulenza degli artisti) provengono tutte da collezioni private, rappresentano vari momenti del percorso degli artisti e non seguono temi specifici. Cosa del resto impossibile vista la diversità delle personalità dei sette pittori in mostra (Ceccobelli, Gallo, Nunzio, Pizzi Cannella, Bianchi, Tirelli, Dessì)».
Maurizio Fagiolo dell’Arco individuò un file rouge che parte dalla Scuola romana di via Cavour, passa per quella di Piazza del Popolo e approda a San Lorenzo con la sua Scuola. Sei d’accordo con questa visione?
«In parte ho già risposto, ma di fatto non esiste un file rouge, bensì atmosfere. Un fatto curioso e ben noto: molti degli artisti di San Lorenzo (in particolare Ceccobelli, Dessì, Nunzio, Pizzi Cannella, Gallo) si sono incontrati per la prima volta e frequentati durante l’esperienza dello spazio autogestito della Stanza tra il 1976 e il 1978, che si trovava al civico di via Cavour 295: al 325 era situato l’appartamento di Mafai e Raphael dove è nata la Scuola di via Cavour. Di certo, al gruppo di San Lorenzo è mancato un teorico o un critico autorevole di riferimento, come nel caso di Longhi e De Libero per quelli di via Cavour. Ma, per esempio, alcune atmosfere di Scipione possono rientrare nella pittura corrosa di Pizzi Cannella o in quella accesa e fremente di Ceccobelli». 
Ritieni che la Scuola di San Lorenzo e, in particolare, i suoi esponenti, abbiano avuto il giusto riconoscimento in Italia e un’adeguata storicizzazione? Pensi che abbiano subito un pregiudizio anche per la scelta di medium definiti da alcuni “tradizionali”? 
«Sperone, uno dei loro galleristi della prima ora, insieme a Fabio Sargentini e Ugo Ferranti, ha dichiarato che il gruppo è più forte dei singoli, almeno in termini di mercato, attrattività ed effetto pubblicitario. Diciamo che hanno in parte scontato gli antagonismi sul mercato e sulla storia con i colleghi della Transavanguardia (per lo più loro coetanei, ma di maggior successo internazionale proprio perché hanno usato “mezzi tradizionali”). Credo, tuttavia, che i percorsi dei singoli siano stati a volte erranti, non sempre omogenei, con scelte libere anche verso le etichette e, quindi, più difficili da inquadrare. Questo può averli penalizzati, ma mostre come quella di Villa Medici a Roma nel 2006, la retrospettiva del Mart di Rovereto del 2009, le presenze importanti, grazie agli auspici del critico gallerista Mario Diacono, in prestigiose collezioni quali la Maramotti, sono un buon viatico per il loro posizionamento storico nell’immediato futuro».
Se possiamo considerarla una Scuola, chi sono oggi gli epigoni della generazione storica che esponete in questa occasione?
«Poiché non si è trattato di una “scuola” (nel testo in catalogo l’ho definita infatti “generazione San Lorenzo”) non possiamo neanche concepire l’esistenza di veri e propri epigoni. I vari artisti di area romana che sono stati assistenti o hanno avuto relazioni di vari tipi con gli studi e gli artisti del gruppo di San Lorenzo (Marco Colazzo, Mauro Di Silvestre, Veronica Botticelli, Luca Padroni, per dirne alcuni) più che epigoni direi che hanno trovato in quei pittori, comunque di successo nazionale e internazionale, prova di un’identità di appartenenza, di una comunità di condivisione linguistica nel mezzo pittorico». (Cesare Biasini Selvaggi)

INFO
Opening: ore 18
La Scuola di San Lorenzo. Una Factory romana
a cura di Giancarlo Bassotti, con il contributo critico di Marco Tonelli
dall’8 dicembre 2018 al 19 marzo 2019
Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi
Palazzo Bisaccioni 
Piazza Colocci 4, Jesi (AN)
Ingresso libero
orari di apertura: lunedì-domenica 9:30-13:00 / 15:30-19:30
tel. 0731.207523 – www.fondazionecrj.it 

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