07 dicembre 2018

Diario di una Biennale al Cairo/5

 
Ultima puntata dall’Egitto. Con un finale a sorpresa, per un’organizzazione “impeccabile”

di

1 novembre
Tomasz mi porta un mango gigante per colazione. In Egitto il mango ha il sapore del frutto dell’oro, dolce e profumato, dipinto di un’ocra che rallegra. Dietro di noi la tela bruciata nell’incendio di Downtown del 1952: un pezzo storico di cui si vantano molto. Il pomeriggio del 1 novembre ad Hoda Shaarawy, Mohamoud arriva (halleluja) con monitor e proiettore. C’è un suo amico ad aiutarlo, poiché tutto questo lavoro è “out of his capacity”. Obiettivamente servivano almeno tre tecnici e molto materiale in più da non disperdere il tempo fra attese e ricerche. Ma “It’s Egyptian time” e “Tomorrow” sono le risposte classiche con cui sperano di risolvere omissioni e ritardi. 
A fine giornata, Animal Cinema di Emilio Vavarella e In search for eternity di Brodbeck & de Barbaut invece funzionano a meraviglia. Vorrei spostare il proiettore, ma non c’è tempo, come non c’è tempo per qualsiasi perfezionamento.
Il primo opening di “Something Else” al Darb – sede centrale – è iniziato e devo affrettarmi. Quando arrivo, entro nel mezzo della performance di Alva Rahna Willemark: un letto e una donna vestita di bianco – l’artista – sdraiata su un altro donna. Sono tentata di procedere, ma decido di rimanere ed Alva si avvicina a me, chiedendomi “Would you like to lie down me as I lie upon you?” Le rispondo di sì e mi muovo verso il letto. 
Una sensazione di dolcezza, riposo e cura insieme. Alva vuole parlare delle donne che si prendono cura del mondo e delle donne per le donne, al di là di ogni violenza verbale e psicologica che si infliggono. 
Faccio un tour: Re Atlas di Hazem El Mestikawy è un lavoro di profonda riflessione politica: il simbolo della stabilità egiziana è stato diviso in tre parti e avvolto di una carta geografica i cui confini sono ridisegnati.
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Hazem El Mestikawy, Re_Atlas, 2018
Problemi ad esporlo non ce n’è perché il governo non comprende il linguaggio dell’arte contemporanea. Nel mentre la National Security egiziana sta intervistando Peter per il suo lavoro (It’s the final countdown): siamo nella parte coopta del Cairo e i messaggi apocalittici vanno frenati. 
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Rodeina Fouad, Terra Nullius
Rodeina Fouad è una giovanissima e talentuosa artista che espone un’installazione sulla tribù Mayangonki Plankru, specie immaginaria per la quale ha figurato la storyline, l’isola remota dove hanno vissuto, la fisionomia, il loro stile di vita, il loro linguaggio.
È tempo di ballare e ci lanciamo nella festa a ritmo di reggae egiziano. Nel vj set sento il respiro totale dell’anima dell’Egitto e forse dell’Africa. 
In direzione Downtown la serata si conclude provando una shisha al cantalupo e un chai tea. 
Il giorno dopo c’è l’opening del mio lavoro “POLIPTOTON”, ma io, grazie ad un’organizzazione impeccabile, non posso partecipare perché ho il volo di ritorno per Roma. 
Elena Giulia Abbiatici 

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