07 dicembre 2018

Il tesoro del principe. Rubens, Van Dyck e Ribera tornano a Palazzo Zevallos di Napoli

 

di

Pieter Paul Rubens, Antoon Van Dyck, Jusepe de Ribera, Aniello Falcone, Luca Giordano, Mattia Preti, Massimo Stanzione, Jan Both, Jan Miel, Andrea Vaccaro, Annibale Carracci, Abraham Brueghel e altri Maestri, ritornano eccezionalmente a Palazzo Zevallos di Stigliano, nelle stesse stanze dove, a lungo, furono custoditi e, oggi, sede napoletana delle Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo. Trentasei capolavori assoluti, provenienti da musei nazionali e internazionali, molti in prestito da collezioni private e da gallerie di grande prestigio, alcuni mai esposti in Italia. Opere come La Merenda, di Jan Miel, proveniente dal Prado, o come i due Jan Fyt di collezione spagnola. Inediti sono poi i dipinti di Cornelis de Wael, di Orbetto (opera attribuita) e di Vincenzo Gesualdo. L’esposizione “Rubens, Van Dyck, Ribera. La collezione di un principe”, a cura di Antonio Ernesto Denunzio, con la consulenza di Gabriele Finaldi, Giuseppe Porzio e Renato Ruotolo e con un prestigioso comitato scientifico, nasce da un rinnovato interesse sull’argomento del collezionismo storico. La mostra è organizzata in partnership con il Museo e Real Bosco di Capodimonte, in collaborazione con l’Università degli Studi di Napoli L’Orientale e gode del patrocinio del Mibac e del Comune di Napoli. 
Dopo una lunga attività d’indagine, una sistematica ricognizione degli atti notarili, gli studiosi del collezionismo hanno ricostruito le vicende dinastiche ed ereditarie della famiglia Vandeneynden, mercanti fiamminghi attivi a Napoli nel Seicento e proprietari della preziosa collezione d’arte custodita nella dimora di via Toledo. L’inventario delle opere fu redatto da Luca Giordano dopo la morte di Ferdinado Vandeneynden e, prima della frammentazione e successiva dispersione, registra oltre trecento dipinti, tra i quali numerose nature morte, marine, nonché paesaggi e battaglie. 
Degna di nota è la Nascita di Venere (1658-59), un olio su tela di Luca Giordano. La protagonista è l’alma Venus dell’invocazione alla dea con cui si apre il primo libro del De rerum natura di Lucrezio. Nel dipinto si accumulano figure su figure, come i quattro elementi e le quattro stagioni, con la conseguente perdita di chiarezza nella narrazione. L’autore napoletano, nella pennellata corposa, sembra voler emulare i grandi maestri del XVI secolo, come il Tintoretto. Non è da meno il Banchetto di Erode (1650 circa), di Mattia Preti. Il dipinto, un olio su tela di notevoli dimensioni, è uno dei dieci annotati nell’ inventario. Nel quadro di Preti, Salomè arriva sulla scena del banchetto dalla sinistra, con la testa recisa del Battista su un vassoio d’argento, che consegna come un trofeo alla madre Erodiade. Jusepe de Ribera, con il suo Sileno ebbro (1626), di concezione decisamente pagana, presenta una finezza di composizione, colori e luci che giustificano l’iscrizione fiera sulla quale è riportata la sua firma, su un cartellino in basso a sinistra, mentre un serpente lo strappa e se ne ciba, forse, per invidia. Il banchetto di Erode (1635-38) di Pieter Paul Rubens ha ispirato forse Mattia Preti qualche anno dopo. Occupa per dimensioni un’intera parete della Galleria d’Italia. Una straordinaria composizione dotata di movimento, tensione e dettagli turba lo spettatore che si trova proiettato dentro l’opera, precisamente alla festa di compleanno di Erode. Annibale Carracci, nella Scena comica con bambino in maschera (1582), mostra due giovani, una donna e un uomo, che ridono davanti a un bambino in maschera con il viso arrossato e il naso a becco, la barba finta e il cappello floscio con una piuma. In questa scena domestica, il soggetto, il bambino, assume una veste inquietante, che sbiadisce l’immagine della tradizione della Commedia dell’arte. 
Il ricco inventario dei beni di Ferdinando Vandeneynden è trascritto integralmente nel catalogo edito da Silvana Editoriale, per l’occasione della mostra, che sarà aperta al pubblico fino al 7 aprile 2019. (Danilo Russo)

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