11 dicembre 2018

L’alchimia della contemplazione. Carlo Dell’Amico alla Fondazione Stelline di Milano

 

di

La Fondazione Stelline a Milano ospita Contemplare, un progetto site specific comprensivo di elementi eterogenei, realizzato da Carlo Dell’Amico (Perugia, 1945), artista poliedrico, post poverista, interessato a processi di mutazione alchemica dei corpi, tra significati esoterici complessi, in dialogo con l’identità, la memoria, l’oblio, l’utopia e l’espressione del fallimento di civiltà astoriche che hanno tradito la natura. 
Spazio, tempo, trasfigurazione del processo di cambiamento dei materiali, dualità tra spirito e materia, visibile e non visibile, contrapposizione tra metropoli e natura, vita, morte e rinascita, sono le tematiche sottese a Contemplare, dal latino “osservare nel tempo”. Il suo tempio sui generis invita lo spettatore a ricercare un passaggio, viatico tra una possibile soglia materiale e spirituale attraverso il corpo, agente percettivo e conduttore di energia vitalistica e mente, incubatrice di significati diversi. 
La mostra è suddivisa in tre atti in un unico spazio. Nella prima sezione, all’entrata della Fondazione, primeggiano sette grandi mappe a muro, chiamate Mafkhat (dal geroglifico che significa “all’interno di” e “vero”), di civiltà sepolte e riemerse dall’oblio, che configurano i sette mondi antichi, secondo uno schema universale, in cui spicca una spiga di grano dorata in bronzo, sulle superfici delle opere cariche di rimandi alla dea Iside e alle rappresentazioni egizie di Osiride e ai processi di rinascita della natura. Sulla parete d’ingresso, processi alchemici di trasmutazione tra il visibile e l’invisibile si manifestano nella struttura Processione, composta di casse colorate distanziate verticalmente una sull’altra, 5 colonne di 8 elementi ciascuna, attraversate da barre luminose di luci led, oblique. Al centro della sala, taglia in senso trasversale una imponente struttura orizzontale, è La mensa concepita con 100 elementi di casse colorate e consumate dal tempo, parti di alveari o melari, con cromie simili ai pantoni industriali, oggetti alchemici ancora esalanti gli odori di cera e di miele, come una barriera che allude a una società ideale in cui l’uomo è il centro dell’esistenza, in rapporto al terzo occhio delle api, portatrici di una diversa visione e percezione della realtà. Questa opera corrisponde all’altezza di un tavolo e alla lunghezza di 880 centimetri, la mensa dipinta nel Cenacolo di Leonardo a Santa Maria delle Grazie, poco distante dalla Fondazione Stelline. La mensa culmina con la forma stellare Ennade, composta da nove colonne di altrettante casse ciascuna che insieme al tavolo disposto in senso trasversale: due corpi distinti che, se visti dall’alto, evocano la forma della cometa, in cui l’Alpha e l’Omega convergono, segnando la fine e l’inizio comprese nell’esistenza. L’artista rivisita il Cenacolo, inteso come un rituale collettivo interrotto dall’annuncio del tradimento che gli Apostoli accorpati in gruppi di tre sembrano commentare. A muro si ripropone questo schema tripartito con una serie di piccoli bronzi disposti in modo analogo a quello del dipinto leonardesco, “incorniciati” da quadri di luce proiettata sul muro, dove fanno capolino 12 teschi aperti sormontati da colonne-candele, simbolo di un nuovo tempio oltre il corpo. Una linea al laser rossa, proiettata sulla parete alla stessa altezza della mensa, definisce un campo visivo suggestivo. A sinistra, un altro teschio allude alla figura centrale del Cristo, avvolto in lamine bronzee, simile a una maschera, affiancato da un tubo al neon disposto verticalmente. 
Questo tempio esoterico si conclude con una forma stellare sospesa nel vuoto, composta da due triangoli soprapposti di neon bianco, sottendendo il ricordo del cosmo. Una stella che dovrebbe squarciare il buio, le tenebre, nonché citazione alle stelle di Gilberto Zorio che, però, non abbaglia, perché qui lo spazio non è stato ben oscurato, purtroppo. La mostra pecca di un eccesso di significati complessi, in cui gli elementi luminosi dovevano essere il trait d’union tra una dimensione materiale e immateriale, tra superficie e profondità, oblio e memoria, evocante processi, dialoghi e attese di contemplazione mistica e di nuovi moti dello spirito. 
Verrà inoltre presentato, in occasione del finissage della mostra, il 20 gennaio 2019, il catalogo che raccoglie testi critici di diversi autori e la documentazione fotografica delle opere esposte. (Jacqueline Ceresoli)

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui