04 gennaio 2019

Una costellazione di architettura e musica. Quintus Miller e Fritz Hauser per la chiusura di O

 

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L’entusiasmo riscontrato dal pubblico durante gli eventi del festival Ō Musica, Danza, Arte, organizzato dal Museo Nazionale Romano – diretto da Daniela Porro – in collaborazione con Electa è il risultato di un progetto ben riuscito. La programmazione, sviluppatasi dal 14 settembre al 14 ottobre sotto forma di incontri serali, e dal 21 ottobre al 16 dicembre in appuntamenti settimanali domenicali, ha visto più di quaranta artisti internazionali protagonisti sia alle Terme di Diocleziano che al Planetario. Performance, installazioni ed eventi vari hanno dato nuova luce al sito archeologico sviluppandone le sue qualità. Cristiano Leone, Direttore Artistico del Festival, attesta «Ō è un progetto di valorizzazione di un luogo storico, le Terme di Diocleziano non sono un teatro, né uno stadio, ma uno straordinario museo. Il limite di questa rassegna è la sua forza: più che elitaria è “intima”, il che ha consentito al pubblico di creare un vero legame con gli artisti». 
Protagonisti dell’ultimo evento della rassegna organizzato il 16 dicembre al Planetario sono stati l’architetto Quintus Miller e il compositore percussionista Fritz Hauser, che abbiamo raggiunto per un’intervista. L’architetto ha sviluppato per Ō un’installazione ad hoc dove il pubblico è stato accompagnato a passeggiare in un’”insolita costellazione”. Un mondo altro dove le associazioni insolite sono la base della creatività e dell’ingegno dell’architettura. 
Le riqualificazioni urbane sviluppano aree abbandonate riadattandole per i cittadini, i primi “giudici” di queste rigenerazioni. Volevo sapere, in base alla sua carriera e in base alla sua esperienza, quali domande si dovrebbe porre un architetto? In che direzione sta andando l’architettura, oggi? 
Quintus Miller: «L’architettura di oggi proietta e progetta la nostra cultura e la nostra società verso il futuro ma questo parte sempre dal passato. Noi partiamo sempre da quello che c’è stato prima e questa per me è la base. Si deve ben ricercare il contesto, il sito, la situazione urbanistica e architettonica ma anche la società e – sulla base di questo – si possono progettare o anticipare le possibilità per il futuro. Allora, per me, quello a cui bisogna pensare è: dove sono, su cosa lavoro, quali sono i miei mezzi; per capire come sarà la città appropriata per il futuro». 
Come, secondo lei, si può ampliare lo spazio civile? Come può essere amalgamato alla natura? 
QM: «Secondo me con tutti gli interventi dell’essere umano nella natura, il paesaggio diventa un territorio culturale perché non è più natura ma cultura che prende in mano l’ambiente e il territorio. Su questo dobbiamo fare concorrenza perché non c’è un’abbondanza di spazi. Certamente c’è bisogno che lavoriamo su una stratificazione del tessuto urbano. Come è stata stratificata Roma in più di duemila anni con una storia e una cultura continua che percepiamo e viviamo. La memoria è presente e si avverte dappertutto. Questa getta le basi per poter andare avanti ma dobbiamo essere coscienti che l’ambiente è compromesso e non lo dobbiamo sprecare troppo perché ci sono ancora altre generazioni e la nostra terra è talmente preziosa che, quando si taglia, dobbiamo essere coscienti che ogni taglio si vedrà per i prossimi cinque mila anni. Oggi noi possiamo guardare le rovine romane e possiamo capire come vivevano. Noi dobbiamo essere coscienti che per il futuro non bisogna sprecare nulla». 
Per l’installazione fatta ad hoc per il Festival Ō Musica, Danza, Arte, qual è l’esperienza che il pubblico interiorizza? Su che cosa vuole che rifletta? 
QM: «Che l’architettura è una risposta dell’architetto alla società. Che noi non siamo Archistar, che non siamo quelli che hanno inventato tutto da soli, che l’architettura è qualcosa legata essenzialmente alla società. Io offro un servizio alla comunità che rappresenta un modo di vivere, la sua struttura in un ambiente costruito. Allora lì ci vuole un cambiamento tra la società e il ruolo dell’architetto. Questo è un lavoro di associazione di elementi. Questo perché mi è stato sempre richiesto di creare ambienti urbanistici e che la società capisca il mio intervento, ecco perché devo partire – sempre – dal preesistente e a quello associare nuove cose, nuovi elementi, è questa l’invenzione! Mettere due cose insieme che non erano ovvie ma che attraverso questo atto di unione diventa una realtà, una realtà della società». 
Una realtà che poi attraverso lei e l’architettura del suono sviluppa un’esperienza extrasensoriale per i partecipanti. Come si è trovato a connettere la musica, simbolo per eccellenza di poesia ed evocazione, alla realtà architettonica che, seppur essenzialmente materica, suscita emozione? 
Fritz Hauser: «Per me l’architettura è stata sempre la base della mia musica perché senza spazio non ci può essere musica. Questo vuol dire che la risonanza e il riverbero di uno spazio definisce in grandi parti anche la musica che si produce. In più ci sono i materiali che per me sono molto importanti ed essendo un percussionista ne sono strettamente legato quando li tratto, quando li utilizzo e provo a far uscire dei suoni. La collaborazione tra architettura e musica per me è stata sempre vissuta in maniera naturale. La collaborazione con Quintus Miller si è sviluppata in un concerto fatto all’interno di una delle sue costruzioni e abbiamo deciso di installare questo dialogo parlando – non solo – di grandi edifici ma anche di temperatura, di profumi, di materiali, del “tocco e del peso” degli oggetti, tutto quello che è estremamente importante per capire l’architettura di oggi». (Valentina Muzi)

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