11 gennaio 2019

Perché c’è un lapislazzulo tra i denti di questa donna? Forse era un’artista dell’XI secolo

 

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Un nuovo contributo per la storia dell’arte potrebbe arrivare da un dente. O meglio, dai residui di polvere di lapislazzulo trovati nell’arcata dentale di una donna vissuta in un monastero tedesco tra il X e l’XI secolo. I medievisti pensano che gli amanuensi fossero generalmente uomini di chiesa, monaci dediti al loro lavoro altamente specializzato ma, se questa scoperta dovesse essere confermata, si dovrebbe riconsiderare il ruolo avuto dalle donne nel ricopiare quei bellissimi testi che, oggi, appaiono ancora in tutto il loro splendore. 
Esaminando lo scheletro di una donna tra i 45 e i 60 anni, ritrovato nel complesso monastico di Dalheim, in Germania, Anita Radini, del dipartimento di archeologia dell’Università di York, è rimasta letteralmente scioccata, nello scoprire del tartaro dentale di una insolita e scintillante colorazione blu. Come riportato da Artnet, i test hanno poi rivelato che si tratta di polvere di lapislazzuli e la causa più probabile è che la donna lavorasse come artista, leccando il pennello o inalandone i residui aerei, mentre macinava la costosa pietra blu oltremare, usata per creare il raro pigmento. «Si tratta della prima prova diretta dell’uso di pigmenti da parte di una religiosa in Germania», ha scritto Radini in un articolo pubblicato sulla rivista Science Advances. Per spiegare la presenza della pietra, ci sono state anche altre teorie. Per esempio, in manoscritti greci e islamici il lapislazzulo era prescritto come medicina ma, in Germania, non era un trattamento noto in quel momento e, inoltre, la finezza della polvere suggerisce un processo di macinatura specifico per il pigmento. «Solo agli scrivani e ai pittori di eccezionale talento poteva essere affidato un pigmento del genere», ha detto alla CNN Alison Beach, storica della Ohio State University. 
La scoperta significa che le donne religiose potrebbero essere state più comuni di quanto si pensasse in precedenza. Sfortunatamente, il monastero di Dalheim venne distrutto da un incendio nel XIV secolo, senza lasciare ulteriori prove della vita delle suore che vivevano lì o delle loro attività artistiche. Gli studi in questo campo sono complessi, considerando il numero limitato di libri superstiti, la documentazione precaria e la tendenza degli scrivani a lasciare i propri lavori non firmati ma questa scoperta potrebbe rappresentare un nuovo punto di partenza, anche verso altri campi. Il ritrovamento indica infatti che la pietra preziosa, che proveniva principalmente dall’Afghanistan e la cui disponibilità nell’Europa medievale si credeva piuttosto limitata, doveva diffondersi più rapidamente di quanto pensato, arrivando in Occidente attraverso la Via della Seta.

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