31 gennaio 2019

BOLOGNA / CURARE IL MERCATO

 
Intervista a tutto tondo con il nuovo direttore di Arte Fiera, Simone Menegoi, a poche ore dal via della nuova edizione

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Linguaggi, qualità e corpo dell’opera. Vi è sottotraccia, e neanche tanto, in questa conversazione con Simone Menegoi, una nuova visione critica che ci si augura porti nuove energie alla più antica fiera d’arte d’Italia, quella di Bologna.
A proposito della tua figura di curatore e di critico che ha sempre indagato la relazione tra il contemporaneo e le sue radici storiche, come pensi ti debba e possa occupare oggi di una fiera mercato?
«Ho sempre cercato di evadere dal momento strettamente contingente per collegarmi a esperienze come minimo degli anni ’60 e ’70 e anche anteriori, per ragioni di senso e di prospettiva storica. Occupandomi di una Fiera tradizionalmente forte sulla prima metà del Novecento trovo dei fili, una genealogia di percorsi che mi sono congeniali. Poi, certo, il mestiere è diverso. Ho pensato spesso, ultimamente, a come ci si prepara a dirigere una fiera: in fondo non ci sono scuole e, per quel che ne so, direttore di fiera si è una volta sola. La preparazione si costruisce da un lato frequentando le fiere come visitatori, dall’altro collaborando con le fiere come curatori. E su entrambi i fronti penso di avere qualche titolo. Di fiere, come utente, ne ho macinate parecchie, da piccole manifestazioni di nicchia a grandi fiere come ARCO, Frieze o Art Basel. E poi ho lavorato a sette edizioni di Artissima nell’arco di dieci anni, ricoprendo posizioni anche molto diverse tra loro, da quella di curatore di una grande mostra delle collezioni di Torino e del Piemonte a quella di consulente di Francesco Manacorda per la sezione Back to the Future. Un compito, quest’ultimo, che non consisteva solo nel ripescare astrattamente degli artisti di nicchia degli anni ’60 o ’70, ma nel persuadere i galleristi che li rappresentano a partecipare, nell’ascoltare le loro lamentele circa i prezzi degli stand, nel cercare di rassicurarli sulle possibilità di vendita et cetera. Tutto questo mi ha fornito un background sulla base del quale non mi è sembrato irragionevole misurarmi con questo nuovo progetto. Aggiungo: diventando direttore forse ho cambiato mestiere, ma anche le fiere sono molto cambiate. Negli ultimi anni sono diventate molto più curatoriali di quanto non siano mai state. Vere e proprie piattaforme curatoriali. Bologna è una Fiera di mercato, e deve continuare a esserlo, ma deve affilare ulteriormente suo il versante curatoriale».
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Arte Fiera
E in relazione alla presenza consolidata del Novecento storicizzato, di certo avrai pensato alla circolazione di falsi. Il Comitato di selezione mi sembra sia composto unicamente da galleristi e non vi facciano parte storici dell’arte.
«Il comitato di selezione è composto da galleristi di provata competenza nei rispettivi ambiti (compreso quello del moderno e dell’arte del dopoguerra). Nel caso avessero delle riserve su determinate opere – caso improbabile: le gallerie di modern masters che partecipano regolarmente a Bologna sono note per la loro affidabilità -, chiederebbero informazioni e documentazione supplementari ai diretti interessati. In ogni caso, per contratto la Fiera non si assume responsabilità circa l’autenticità delle opere esposte, che è materia non solo di expertise ma legale».
Il forte segnale forse è già l’indicazione ai galleristi di portare 3 artisti di numero…o 6 negli stand più ampi. Questa mi sembra una direzione curatoriale molto precisa.
«Grazie di averlo menzionato. È una decisione che ho preso nei primi tre giorni del mio mandato».
Sei stato molto coraggioso, non hai temuto di scoraggiare galleristi e mercanti che forse così si sentono costretti a restringere le proprie scelte.
«Ho avuto con i galleristi discussioni a volte animate, ma credo di avere esposto il mio punto di vista con efficacia. Noterai che nella lista dei partecipanti le grandi gallerie italiane di moderno e contemporaneo consolidato, quelle che trovi ad Art Basel o a Frieze Masters, ci sono: non hanno interrotto il loro storico rapporto con Bologna».
…E si notano dei ritorni…
«Ritorni creati, propiziati. In un tempo brevissimo, un mese e mezzo, per fare opera di persuasione. Siamo agli inizi di un percorso. Io sono stato nominato negli ultimi giorni di luglio, ho preso servizio a settembre, e la vicedirettrice, Gloria Bartoli, che sta facendo con me un lavoro enorme, mi ha raggiunto a ottobre per fare una Fiera che inaugura a fine gennaio…Malgrado questo, è una prima edizione dove daremo un preciso segnale di rinnovamento su alcune cose».
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Arte Fiera
Bene, parliamo di tempo, e allora vorrei chiederti che durata ha il tuo contratto.
«È triennale. E tengo a dire che la Fiera ha proposto subito un contratto triennale. Cercavano una persona che volesse impegnarsi in un progetto, e mi hanno immediatamente comunicato che non avrebbe avuto alcun senso un ingaggio per un anno. Mi hanno detto, che possibilità ti daremmo di lavorare, altrimenti…».
È molto significativo, e anche tranquillizzante, visto che durante l’ultima direzione di ArteFiera il contratto annuale ha generato delle problematiche aggiuntive. Ma qual è il criterio generale di questo progetto?
«Ti parlo di alcune linee guida essenziali. Un lavoro che quest’anno è stato possibile fare solo in parte è quello sulle sezioni speciali, che sono lo strumento attraverso il quale una fiera si differenzia dalle altre, e con il quale può rompere il ghiaccio con gallerie che fino ad allora non l’avevano frequentata. C’è poi l’intenzione di approfondire il rapporto con la città e con il territorio, e di lavorare a fondo sul collezionismo italiano e straniero. E c’è l’idea che il baricentro della Fiera possa e debba essere italiano, per ragioni di identità storica ma anche di contingenza critica e di mercato: è un momento in cui il mercato e l’establishment artistico internazionali consacrano non soltanto i maestri italiani del Novecento ma anche, e sempre di più, gli artisti italiani del secondo dopoguerra. Una Fiera storicamente italiana, che gli artisti di cui sopra li ha sempre proposti, deve riuscire a raccogliere questo vento nelle proprie vele».
Critica e mercato concordano sull’arte italiana, ma è ora che anche la politica si attivi per valorizzarla…Ma, parlavi dell’intendimento di intrattenere uno stretto rapporto con la città e il territorio, in questo c’è vicinanza con Lorenzo Balbi, che a MAMbo sta facendo vivere una nuova stagione…
«Io e Lorenzo Balbi siamo perfettamente allineati nel desiderio di fare di Bologna sempre più una città dell’arte contemporanea. Lui ha fatto un gesto importante col lavoro di selezione su Art City, creando un circuito ristretto di proposte di respiro internazionale. Vale la pena di venire a Bologna anche solo per le mostre; se poi c’è anche una fiera, perché non visitarla? E viceversa: se oltre a una selezione di gallerie e di opere interessanti posso proporre a un collezionista un programma collaterale di mostre di alto livello, ho molte più chance di persuaderlo a venire. Certo, per questa edizione io e Balbi abbiamo avuto pochissimo tempo per lavorare insieme, ma nel 2020 potremmo davvero cercare di sincronizzare i contenuti culturali di Art City e quelli della Fiera, e fare un ragionamento complessivo. Per quest’anno c’è un’intesa cordialissima; da questa edizione della rassegna, ad esempio, anche il circuito off-off (“Art City consiglia”) ha un comitato di selezione, e sono stato invitato a farne parte. Aggiungo un’altra cosa circa il rapporto con la città e il territorio: la fiera vara per la prima volta – lo considero un fiore all’occhiello della mia direzione – una mostra di opere delle collezioni istituzionali moderne e contemporanee di Bologna e dell’Emilia Romagna, affidata a Davide Ferri. Sarà un’occasione importante per far conoscere al grande pubblico e agli addetti ai lavori la ricchezza e la varietà delle collezioni emiliano-romagnole».
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Arte Fiera
Un segnale chiaro e forte. Il contemporaneo va analizzato in relazione a ciò che l’ha preceduto, per poterne prefigurare un futuro. E le opere d’arte sono tessere del grande mosaico dei beni culturali italiani.
«Sono d’accordo. Aggiungo che la mostra nasce anche dall’esperienza di cui parlavo prima, quella di aver curato nell’ambito di Artissima una mostra sulle collezioni di Torino e del Piemonte in cui mi ero permesso di creare degli accostamenti liberi da considerazioni filologiche. Il riscontro è stato incoraggiante. Per questo ho pensato a realizzare un’iniziativa analoga nel contesto bolognese, in cui è inedita».
Non credi che occorrerebbe soffermarsi teoricamente sulla necessità di illuminare le matrici storiche del contemporaneo?
«Critici e curatori spesso mettono a fuoco porzioni della storia dell’arte ristrette, e vedono in modo molto sfuocato quel che sta al di fuori del loro campo d’indagine immediato. È un effetto di una specializzazione che tocca tutti i campi del sapere, e a cui è difficile sottrarsi».
Vorrei, per concludere, soffermarmi sull’accorpamento che tu fai in Arte Fiera di video e fotografia, e sulla loro separazione logistica dalla pittura e scultura. Necessità pragmatiche o da una distinzione critica tra matrici linguistiche differenti?
«Se dicessi che è una questione che riguarda essenzialmente le dinamiche di una fiera commerciale, mentirei. So che per molti la questione dei media è retrò; io penso invece che sia interessante, malgrado tutto, porre il problema dei linguaggi. Parliamo, per esempio, di pittura, e vediamo cosa succede. Generalmente la reazione degli artisti a questo genere di stimoli non è “Ma ancora queste distinzioni?!”, bensì “Sì, io mi ritengo pittore” (o scultore, o filmmaker) – anche se poi quello che fanno è ben lontano dall’accezione standard del medium. (Per la pittura, ad esempio, pensa a Katharina Grosse). C’è stato un momento in cui si parlava di “s-definizione” dell’arte e dei suoi linguaggi. Secondo me quei linguaggi sono ancora interessanti come orizzonti di senso, con le loro specificità tecniche e con la loro storia».
Linguaggi, qualità dell’opera, corpo dell’opera. Vi è sottotraccia, e neanche tanto, in questa edizione di ArteFiera, una visione critica che ci si augura porti nuove energie.
«È anche il mio augurio…».
Eleonora Frattarolo
Intervista pubblicata su Exibart.Onpaper 103. Te la sei persa? Abbonati! O vieni a ritirare la tua copia gratuita ad Arte Fiera

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