02 febbraio 2019

Le distanze di Rauschenberg

 

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Al LACMA – Los Angeles County Museum of Art – viene presentata l’opera di Robert Rauschenberg (Port Arthur 1925 – Captiva 2008) The 1/4 Mile (or 2 furlong piece) una sorta di autoritratto realizzato fra il 1981 e il 1998. Un quarto di miglio (402,3 m) o due furlong (che è una misura locale ormai in disuso) è la distanza tra la casa e lo studio a Captiva, l’isola della Florida dove l’artista ha vissuto nei suoi ultimi decenni: la distanza tra vita privata e dimensione artistica.
Nel suo completo svolgimento – per un totale di circa 400 metri lineari di lunghezza – l’opera passa per essere la più lunga del mondo ed è composta da 190 parti, oltre due pannelli tridimensionali, alcuni elementi indipendenti e una registrazione audio di suoni ambientali, il tutto realizzato nel corso di 17 anni.
L’installazione 1/4 di miglio funziona come una retrospettiva del suo lavoro, con sequenze articolate di tecniche, materiali emotivi utilizzati dall’artista nel corso della sua carriera con riferimenti a serie passate: i primi Combines gli ibridi di oggetti trovati negli anni ’50 e ’60; gli assemblaggi di scatole che ha chiamato Cardboards negli anni ’70; i Gluts degli anni ’80 in metallo. I materiali spaziano da tessuti e indumenti dai colori vivaci, immagini di atleti e attrezzature sportive a barili di petrolio, i neon, ombrelli, cartelli stradali, oggetti di arredo mentre le immagini sono tratte dai media e dalle fotografie dell’artista.
L’opera è stata esposta un po’ ovunque sia durante la sua lenta accumulazione per esempio nella Ace Gallery di Los Angeles, al Metropolitan Museum, al Museum of Fine Arts di Houston e, dopo il suo completamento nel 1998, alcune parti del lavoro sono state esposte al Guggenheim Museum di Bilbao al Massachusetts Museum of Contemporary Art (MASS MoCA) di North Adams.
Ma questa è la prima presentazione complessiva in occidente che segue quella all’Ullens Center for Contemporary Art di Pechino nel 2016, completa a meno di alcuni pannelli che furono censurati (per un’immagine poco rispettosa del presidente Mao e per un simbolo erroneamente scambiato per una svastica), organizzata dal LACMA con la consulenza della Robert Rauschenberg Foundation.
Se per l’evento di Pechino era molto rilevante esaltare e valorizzare la continuità e la maturazione rispetto all’esperienza del ROCI (Rauschenberg Overseas Cultural Interchange) il programma di viaggi, ricerche ed esibizioni che tra il 1984 e il 1991 portò l’artista in oltre dieci Paesi, per dare vita a una serie di lavori, raccolte di materiali e collaborazioni con artisti e artigiani locali, molti dei quali si possono ancora riconoscere nel 1/4 Mile questo di Los Angeles vuole essere un tributo al lavoro della maturità dell’artista. Infatti nonostante l’interesse per le sue opere successive agli anni ‘70 si sia affievolito, come dimostrano le scelte delle sue grandi retrospettive, questo corpus contiene la ricchezza e la varietà della sua produzione e dimostra la padronanza sugli strumenti di rappresentazione e di comunicazione e sugli infiniti materiali di cui si era appropriato nelle ultime fasi. L’opera quindi non è una “serie” ma una sequenza nella quale ricompaiono le serie delle sue origini e i tanti percorsi delle successive fasi della sua lunga esperienza artistica ricomposti in un discorso di rimandi complesso e articolato, pieno di citazioni da Michelangelo alla grecità, al dada, alle violenze delle dittature.
Michael Govan curatore della mostra, con Katia Zavistovski ha detto di aver saputo del lavoro «Probabilmente dagli anni ’80, quando Rauschenberg lo stava facendo», e da allora aveva desiderato presentarlo. «La cosa meravigliosa è che è personale, come un libro di memorie, ma anche connesso, dipanato sul mondo intero…si vede l’emergere del globalismo attraverso il lavoro, il suo interesse nei media, nei trasporti e nei viaggi nello spazio. Dal punto di vista di oggi, è come Internet, con le informazioni che ne volano fuori. Tutto sembra indicare che il mondo si sta riducendo e l’accesso alle immagini si è ingigantito».
L’allestimento nei grandi e luminosi spazi dell’ala Broad Contemporary Art Museum, progettata da Renzo Piano, con la luce naturale dagli shed vetrati sul bianco neutrale delle pareti e sul parquet chiaro – che ha ricalcato quello già adottato per la mostra di Pechino – propone un percorso continuo dal primo pannello all’ultimo un loop che si richiude: una soluzione lineare, corretta che tuttavia forse non fa risaltare la complessità dei messaggi e delle suggestioni. Se mai dovesse approdare in Europa – evento ben auspicabile in memoria del suo intenso coinvolgimento nella vicenda artistica europea – sarebbe interessante tentare un allestimento meno algido, scegliendo uno spazio più drammatico e connotato per esaltare il gioco delle evocazioni e dei rimandi di quest’opera ancora così aperta e permeabile. (Giancarlo Ferulano)

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