03 febbraio 2019

Bologna/ “Punteggiatura”. Un libro ricamato

 
Intervista a Muna Mussie, che ha raccolto cinquanta donne del mondo in Emilia, per raccontare un “altro mondo”, il loro. Restituendo vita con la scrittura

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Muna Mussie l’ho incontrata per la prima volta a Santarcangelo nel 2015, nell’ambito della 45esima edizione del Festival, diretto allora da Silvia Bottiroli; partecipava al progetto Time has fallen asleep in the afternoon sunshine di Mette Edvardsen, ed è stata il “mio” libro. Avevo scelto Lessico Famigliare di Natalia Ginzburg, un volume che vuol dire molto per me e, credo, anche per lei. Ed è buffo e singolare come adesso siamo tornate a parlare di libri perché Punteggiatura è un libro collettivo che riflette su sé stesso in quanto oggetto libro. Questo progetto artistico è uno dei molti nati in seno a Right to the city, prima tappa del progetto bolognese Atlas of Transition Biennale curato da Piersandra di Matteo, che abbiamo seguito e di cui abbiamo parlato qui. Probabilmente solo nell’ambito di questo progetto poteva nascere un manufatto così poetico e denso che al contempo usa e scardina l’arte del ricamo, da sempre annoverata come attività femminile, dando voce a delle donne in maniera non convenzionale. 
Dopo questa intervista, ho incontrato di nuovo Muna a Santarcangelo, per l’edizione 2018 del Festival, diretta da Eva Neklayeva e Lisa Gilardino, dove l’artista ha presentato il suo lavoro perfomativo Oasi. In quei giorni Punteggiatura è arrivato a Santarcangelo, è stato esposto presso la Biblioteca Comunale Antonio Baldini e presentato da Muna Mussie durante il rito del caffè sotto il portico del ristorante Zaghini, in un incontro informale durante il quale il pubblico ha potuto sfogliare il libro. 
Punteggiatura torna a Bologna, luogo che lo ha visto nascere, e lo ospita la Biblioteca delle Donne, luogo fondamentale per la nascita del progetto, nell’ambito di Art City. Fino al 3 febbraio sarà possibile vedere e consultare il libro, in presenza di alcune delle autrici che incontreranno i visitatori. Qui tutte le informazioni.
Com’è nata l’idea del libro? E perché proprio un libro?
«Da anni possiedo una macchina da cucire digitale acquistata con l’intento di trascrivere sotto forma di ricamo parole e segni da indossare. FFMM è il primo progetto sviluppato da me e l’artista Flavio Favelli nel 2007 attorno a questa idea; si tratta di una collezione di abiti su cui sono trascritte date, luoghi, numeri di telefono, targhe appartenenti alla storia pubblica o privata di noi tutti. La collezione è stata presentata alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e al Museo Marino Marini. Assieme al progetto FFMM, ho creato diversi quadretti o piccoli oggetti che seguono le stesse intenzioni. Nel dicembre 2017 Piersandra Di Matteo, curatrice di “Atlas of Transitions Biennale Right to the City” mi chiese di pensare a come mettere in dialogo la mia ricerca sul ricamo con i saperi più tradizionali del ricamo legati a differenti culture. Mi segnalò “La scuola delle donne” come luogo fulcro per intessere questo dialogo; la Scuola delle donne è uno spazio del quartiere Pilastro di Bologna, in cui donne migranti, di diverse generazioni e provenienze, possono imparare l’italiano, incontrarsi e organizzare laboratori. Questo tipo di scuola, dove le donne non solo vanno per imparare ma possono anche insegnare qualcosa sulla loro cultura, il loro sapere e il loro trascorso, mi ha suggerito di lavorare sull’idea di libro. Punteggiatura vuole evidenziare questo scambio di posizioni. A partire dalla Scuola delle donne il raggio di collaborazione si è ampliato a dismisura grazie ad una rete di realtà differenti tra cui La biblioteca delle Donne, diverse cooperative sociali, il coinvolgimento prezioso di aemila ars (tipico merletto bolognese) e il sostegno di Santarcangelo dei Teatri». 
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Punteggiatura, Muna Mussie
Che struttura ha il libro?
«Punteggiatura è un meta libro, un libro che parla di se stesso attraverso chi lo scrive. È un contenitore estetico, non un catalogo ordinato. Affinché risultasse un libro plurale, corale ho fatto la scelta di suddividere il libro per capitoli/domande rivolte in prima persona:
Cos’è un libro per me?
Cosa vorrei scrivere a chi mi leggerà?
Cosa vorrei si sapesse di questo nostro tempo?
Cosa vorrei non si sapesse di questo nostro tempo?
Cos’è la verità per me?
Cosa non è la verità per me?
La prima cosa che ricordo di avere imparato a fare?
La prima cosa che vorrei insegnare a chi verrà dopo di me?
Ad ogni capitolo /domanda ho elencato tutte le risposte raccolte dalle differenti donne seguendo un ritmo dettato delle argomentazioni sollevate e dall’ intensità o leggerezza dei toni. La macchina da cucire che abbiamo utilizzato per il testo scritto ha dato forma a quella che era la mia idea iniziale di libro di stoffa: un vero tessuto sociale. La macchina da cucire ha trascritto su ogni pagina di stoffa i pensieri di queste donne, da punto a punto, da lettera a lettera, seguendo un moto e criterio del tutto arbitrario che ha dato vita a traiettorie irregolari e caotiche ma unite da un unico filo conduttore».
Chi sono queste donne?
«In tutto ho avuto la possibilità di incontrare e parlare con una quarantina di donne provenienti da più Paesi: Nigeria, Camerun, Albania, Serbia, Moldavia, Italia, Cina, Russia, Iran, Palestina, Guinea, Congo, Marocco, Eritrea, Etiopia, Argentina, Lettonia, Somalia, Costa D’Avorio. Alcune di queste donne vivono da più generazioni sul territorio bolognese, sono libraie, casalinghe, nonne, artiste, ex o attuali insegnanti, amiche di infanzia, attiviste, alcune sono venute a Bologna per studiare al Dams e non possono neanche immaginare di ritornare agli usi e costumi del proprio Paese di origine. Alcune non possono più tornare nel proprio Paese per motivi politici e di guerra; altre, invece, sono nate qua e parlano il bolognese; altre ancora sono arrivate a Bologna da poco dopo aver attraversato mesi e anni di viaggi atroci tra un confine e l’altro. C’è chi durante la lunga peregrinazione è stata in carcere e chi ha dato alla luce figli in tre differenti stati europei. Alcune donne sono in attesa di ricongiungimenti famigliari e di avere una casa non in condivisione con altre famiglie. Alcune sono donne desiderose di imparare bene la lingua per poter trovare presto un lavoro. Alcune lavorano già da anni, chi come infermiera chi come badante, chi ha aperto una propria attività. Alcune sono studiose di dialetti africani, altre sono giovanissime donne che ancora devono finire la scuola dell’obbligo ma già sperano di avere in futuro un figlio laureato. Alcune sono appassionate di moda e vorrebbero vestire il mondo con colori sgargianti. Alcune si ritrovano periodicamente per lavorare i ferri l’uncinetto e scambiare un’infinità di chiacchiere. Alcune intrecciano filati di cotone e altre intrecciano capelli». 
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Punteggiatura, Muna Mussie
Quale è stato il processo che ti ha portato alla realizzazione di questo libro?
«A partire dal febbraio 2018 ho iniziato a contattare diverse realtà che a Bologna ospitano donne migranti: molti passaggi sono stati lunghi perché si tratta di cooperative sociali con regolamenti interni propri e con grandi responsabilità rivolte alla tutela delle donne ospitate. All’inizio è stato facile scoraggiarsi, anche per alcune resistenze da parte di chi non riusciva a capire fino in fondo il progetto, per me era impossibile dare un’immagine chiara di ciò che sarebbe stato il libro dal momento che si trattava di un work in progress collettivo tutto in divenire, basato su incontri interviste, passaparola, ricerche estemporanee, rincorse telefoniche di settimane. Era come chiedere ad un documentarista in procinto di girare di mostrargli a monte ciò che sarebbe stato il risulta del documentario. Non potendo imporre giorni orari prestabiliti mi organizzavo di volta in volta, accogliendo ciò che era la disponibilità di ognuna e con il massimo rispetto. È stato questo il passo che ha segnato tutto il processo di costruzione. Varcati i primi scogli si è aperto veramente un mare. Quasi ogni giorno per circa tre mesi ho percorso la città e la periferia per incontrare e rincontrare queste donne, tra scuole, piazze, biblioteche, librerie, parchi, bar e le case delle donne stesse. Ovunque andassi sono stata accolta con una fiducia insperata: chi diavole ero io dopo tutto per domandare cose? Eppure con ognuna si è aperta sempre quella fessura di verità propria che tutt’ora oltre ad emozionarmi mi lascia felicemente sorpresa. Per me il diritto alla cittadinanza è stato anche questo, vivere intimamente i luoghi della propria città, viverli anche così privatamente, in un rapporto a due dove ci si incontra si scambia del tempo assieme, si beve un caffè e ci si concede all’altro. Terminata la raccolta di tutto il materiale scritto si è entrati letteralmente in stampa-ricamo. Nulla è andato immediatamente come immaginavo, i problemi tecnici sono stati tanti poiché nessuna delle sartorie, laboratori o piccole aziende tessili contattate, aveva ancora realizzato un prodotto del genere. Più mi avvicinavo alla realizzazione finale del libro e più mi sentivo spaesata. Non capivo più cosa fosse il libro, che funzione avesse, quale fantasticheria ci avesse accompagnato fin lì e quale valore artistico oltre che sociale potesse avere. Insomma cercavo di razionalizzare tutto l’amore e il rifiuto che si prova per le cose che ti attraversano fino alle viscere». 
Come hai lavorato con le donne che hai incontrato?
«Ho individuato alcune domande per me topiche che permettessero alle donne incontrate di parlare di se stesse e allo stesso tempo di fare un’analisi del mondo circostante.  La prima domanda che ho posto è stata “Cos’ è un libro per te?” Era importante che chiunque avesse la propria consapevolezza e padronanza dell’oggetto che si andava creando. A seguire le altre domande: Cosa vorresti scrivere a chi leggerà questo libro in un futuro remoto? Cosa vorresti si sapesse di questo nostro tempo? Cosa vorresti non si sapesse di questo nostro tempo? Cos’ è la verità per te? Cosa non è la verità per te? Qual’ è la prima cosa che ricordi di avere imparato a fare? Qual è l prima cosa che vorresti insegnare a chi verrà dopo di te? Attraverso queste domande, ho cercato di mettere in campo dinamiche di spostamento del pensiero che riflettessero sul binomio qui e là, presente e passato, positivo e negativo – non solo come unica conseguenza del fenomeno migratorio ma come conseguenza naturale della vita stessa – e di lanciare questi pensieri in uno spazio emotivo comune che guardasse assieme al futuro, per dargli un futuro. Mettere per iscritto i pensieri e saperi di queste donne con un processo tanto intricato come è stato Punteggiatura ha voluto dire per me marcare in profondità un luogo, segnarlo in maniera indelebile. La maggior parte delle donne le ho incontrate singolarmente mentre altre a piccoli gruppi. Dopo un primo incontro conoscitivo, i dialoghi sono continuati in modalità estremamente colloquiale, a tu per tu o per iscritto. Oltre allo scambio di pensieri le donne coinvolte sono state invitate a creare un loro ricamo su una propria pagina di stoffa. Non tutte avevano abilità in merito, o desiderio di cimentarsi, per questo alcuni ricami bozze di ricami (carichi di messaggi) sono stati delegati al laboratorio sartoriale a cui mi sono appoggiata e a mani abili. Ho scelto io il tipo di tessuto su cui operare, un lino bianco avorio e tela di fusto, una buona base perché neutra e resistente. Questo era il contenitore a disposizione di tutte le partecipanti, le parole, i disegni e colori dei ricami, sono tutto loro frutto. Il libro è stato in fine rilegato a mano con spago di lino».
Paola Granato

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