16 febbraio 2019

DANZA

 
Alla Scala di Milano il coreografo Angelin Preljocaj evoca, sulla musica di Schubert, il percorso di un viaggiatore verso la fine
di Giuseppe Distefano

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La malinconia, la nostalgia, la solitudine, la delusione, la disperazione, la speranza, la ricerca di pace. Sono questi i sentimenti che scandiscono il lento e inesorabile viaggio del protagonista dei 24 Lieder di Schubert, Winterreise, che lo conducono fino al suicidio per un’insanabile ferita d’amore (premonizione della morte dello stesso artista, condannato dalla sifilide, avvenuta l’anno seguente della composizione). Anziché nel corpo di un unico interprete, il coreografo Angelin Preljocaj moltiplica su tredici danzatori – sette uomini e sei donne – quella pena per la perdita dell’amata descritta dai testi di Wilhelm Müller. Sono corpi agíti da emozioni umbratili, da languori e palpiti, scanditi dal trascorrere dell’inverno e dell’autunno, le stagioni in cui s’identifica l’animo dell’eroe romantico. E hanno i colori alterni di quella natura – affrontando vento, gelo, neve, pioggia – le scene e i costumi di Winterreise, la nuova opera del sessantaduenne coreografo franco-albanese creata per il Teatro alla Scala di Milano. Una leggera neve cinerea cade per tutto il tempo del balletto, mescolata all’ocra delle foglie autunnali, al nero e al bianco delle lunghe gonne e dei body luccicanti, più avanti color amaranto, e al grigio delle vetrate che s’apriranno luminose con proiezioni autunnali per richiudersi in ultimo come lame di un otturatore fotografico. Preljocaj entra dentro il cuore dei Lieder dando forma astratta alle note del pianoforte e del canto del compositore austriaco plasmandole nei corpi dei bravissimi danzatori scaligeri. Linee eleganti e rigorose, pas de deux e pas de trois si alternano a scene corali, con movimenti lenti e dinamici, plastici, energici e statici, a riempire anche gli spazi di silenzio, sempre frementi, mossi da un moto interiore. Preljocaj colloca sia il pianista, James Vaughan, che il basso-baritono, Thomas Tatzl, su una parte della scena quali soggetti drammaturgici della partitura coreografica, con il cantante dapprima mescolato ai ballerini, poi collocato su un rialzo accanto al pianista, quindi ritornato sul palcoscenico camminando all’indietro su una passerella centrale, e infine di nuovo in prossimità del pianoforte. 
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Winterreise
L’effetto totale dello spettacolo è una risonanza riverberante tra danza musica e parole, una scrittura impressionista che pur non volendo descrivere o narrare ciò che i testi raccontano, ma solo evocare quel pessimismo cosmico che gradualmente s’impossessa del “viandante” schubertiano, porge tuttavia degli elementi simbolici che suggeriscono appigli ai contenuti delle liriche. Troviamo dei fogli sbandierati in mano, e poi uniti a formare una parete, per il Lied Die post, l’attesa di una lettera d’amore che non giungerà mai; dei segnali stradali fosforescenti per Der Wegweiser che fanno tingere di rosso tutta la scena, a indicare la ricercata pace del protagonista “…lungo le vie si levano segnali, guidano verso le città; e altrove io mi dirigo senza pace, ma cerco pace”; le cornacchie per Die Krahe con dei danzatori in nero col volto coperto; i ventagli sventolati da due donne facendo ondeggiare i ragazzi al vento come delle bandierine, per il lied Die  Wetterfahne (La Banderuola), dove la musica cita lo stridio di una banderuola scossa dal vento; o, ancor più platealmente, il calare di tre pianeti colorati per Die Nebensonnen che il canto così descrive: “Tre astri ho visto in cielo, intensamente li ho osservati; erano così immobili, pareva non volessero allontanarsi da me”. Dopo il funereo il finale con le donne in camicioni bianchi che spargono manciate di cenere ricoprendo i corpi degli uomini a terra, rimane, infine, il solitario suonatore d’organetto al quale il protagonista si rivolge: “…Vecchio misterioso, e se venissi con te? Accompagneresti i miei canti col tuo organetto?”. Di Preljocaj, figura di maggior spicco nel panorama dei coreografi emersi dalla grande ondata della Nouvelle Danse francese anni Ottanta, conosciamo la poliedricità e duttilità nell’intelligenza del corpo, ammiriamo il gusto raffinato per l’astrazione formale del movimento, il suo segno acuminato, intriso al tempo stesso di sensualità e di rimandi narrativi sottesi, allusivi, ellittici. Ritroviamo tutto questo anche in Winterreise, suggestioni sì ma senza particolari momenti che suscitino forti emozioni, forse per i molti quadri dei Lied che si aprono e chiudono e che spezzettano l’unicum tematico e quindi compositivo, sfilacciando visivamente la tensione drammatica. Rimane comunque uno spettacolo importante (ancora in scena l’1 e 2 marzo 2019) che mette ulteriormente in luce la bravura dei danzatori del Ballo scaligero capace di innovare il proprio profilo tecnico e artistico in senso contemporaneo, rispettando però le peculiarità dei danzatori, specie se di base classica, illuminandolo di sfumature fresche e di progettualità differenti. 
Giuseppe Distefano

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