18 febbraio 2019

Irene Fenara a Merano con “Distant Eyes”

 

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“Distant Eyes” è la personale di Irene Fenara (1990, Bologna) che per tre giorni permette un’insolita apertura degli spazi espositivi – chiusi per lavori – di KUNST MERAN MERANO ARTE, a Merano, a una trentina di chilometri da Bolzano. Il progetto, a cura della direttrice Christiane Rekade, trasforma la condizione di stallo dell’attività museo causata dei lavori di rinnovamento del sistema di allarme e di videosorveglianza in un’occasione per collaborare con un’artista che da tempo si occupa di “estetica della sorveglianza” proprio mediante l’uso di materiale proveniente da telecamere di sorveglianza.
Abbiamo voluto scoprire questo evento attraverso due punti vista: quello di Irene Fenara e quello di Christiane Rekade.
Due domande a Irene Fenara: come è nata la mostra? Come è articolato il percorso espositivo?
«Nell’ambito dell’ultima edizione di Art Verona, a cui ho partecipato con UNA galleria, sono stata selezionata per il progetto Level0 da Christiane Rekade, direttrice del museo Kunst Meran Merano Arte, che mi ha invitata a pensare a un intervento speciale per il museo. L’occasione di questa mostra è nata dall’idea di creare una breve apertura eccezionale in un momento particolare per il museo che infatti rimarrà chiuso al pubblico fino a metà marzo per il rinnovamento del sistema di videosorveglianza. In questo momento d’interruzione dell’ordinaria programmazione s’inserisce la mia mostra che si articola in una serie di lavori, alcuni inediti, realizzati negli ultimi tre anni appropriandomi proprio di immagini provenienti da videocamere di sorveglianza non protette e sparse in tutto il mondo. Ho trovato interessante la proposta di sfruttare il momento in cui il museo è incustodito per lavorare sulla sorveglianza e sul controllo con la mostra “Distant Eyes” che riunisce vari progetti anche molto differenti ma accomunati dalla natura e provenienza delle immagini. Sono sempre occhi lontani e distanti quelli delle videocamere, fino al momento in cui non vado a cercali per autoritrarmi. In mostra ci sono, infatti, alcune nuove fotografie dell’ultima serie a cui sto lavorando “Self portrait from surveillance camera” di cui ho esposto le immagini iniziali della serie nella prima mostra curata da Lorenzo Balbi al MAMbo di Bologna. I lavori in mostra sono però soprattutto opere video proprio per marcare il carattere temporale provvisorio della mostra, che presenta un mondo che non si vede, che passa dall’ipervisibilità in rete all’invisibilità reale. Provvisoria anche la natura delle immagini, che scompaiono a un giorno di vita e di cui la mia scelta diventa l’unica salvezza prima che esse svaniscano nel flusso che le cancella ogni 24 ore. In mostra sono presenti molte proiezioni effimere, uno dei pochi medium in grado di sparire completamente una volta accese le luci e spenti i proiettori. Poco e niente da toccare, per una volta in cui si sarebbe potuto toccare impunemente». 
Come si inserisce questo progetto nella tua ricerca? 
«”Distant Eyes” si presenta come una panoramica sulla ricerca che attualmente sto portando avanti sull’estetica della sorveglianza. Recentemente sento di poter parlare delle immagini che provengono da queste videocamere come un materiale, come un mezzo, attraverso il quale posso dire cose anche molto diverse. In tutto il mio lavoro il mio interesse ruota attorno all’atto di visione e alla necessità di disorientare gli elementi assodati nel vedere, per poter guardare in maniera nuova, spesso attraverso l’occhio di una macchina. Mi interessa indagare il guardare nella sua complessità. Cerco un punto di vista che si crea spesso dalla fusione di ottica e geometria del movimento. Al momento seguo principalmente due percorsi: la sperimentazione con la fotografia e la videoinstallazione e di entrambi forzo l’uso per spingermi oltre la consuetudine. Nella mia ricerca utilizzo immagini provenienti da videocamere di sorveglianza e altri dispositivi non necessariamente utilizzati in ambito artistico, degli strumenti tecnologici meno usuali mi interessa la capacità che hanno ad aiutarci a dissuadere l’atteggiamento umano a ricreare qualcosa che abbiamo già visto e interiorizzato. D’altronde l’errore percettivo è una distorsione che appartiene anche all’occhio umano e nel momento stesso in cui creiamo dispositivi che sono in grado di vedere condizioniamo il nostro modo stesso di guardare. Allo stesso tempo sperimento installazioni in relazione all’architettura, legandomi alle idee di orientamento e soprattutto di disorientamento. Credo, infatti, che sia la gravità oltre ai dispositivi tecnologici di vario genere a determinare il nostro modo di vedere». 
Due domande a Christina Rekade, direttrice di KUNST MERAN MERANO ARTE: quali aspetti del lavoro di Irene Fenara l’hanno portata a invitarla per questo progetto? Come si inserisce questa mostra nella vostra programmazione?  
«Ho scoperto il lavoro di Irene Fenara a ArtVerona, dove sono stata invitata in qualità di direttrice artistica di KUNST MERAN MERANO ARTE a selezionare un artista e a inserirlo nel nostro programma espositivo nell’ambito del progetto “Level 0”.
Irene, proposta da UNA Galleria, presentava degli autoritratti di grande formato, realizzati ponendosi di fronte a videocamere di sorveglianza presenti in diversi luoghi. 
Ho trovato affascinante e al contempo inquietante il fatto che lavori a partire da questi dispositivi, riuscendo a manipolarli per i propri scopi. Non solo nel processo di produzione affronta tematiche di grande attualità – ad esempio questioni come quella del voyerismo, del controllo, della privacy – ma il risultato che ottiene è anche estremamente poetico.
Il fatto che KUNST MERAN MERANO ARTE resti chiuso per due mesi per il rinnovamento del sistema di allarme e di videosorveglianza mi è sembrata l’occasione perfetta per invitarla a realizzare un progetto di apertura speciale. I suoi lavori saranno installati tra le sale vuote, accessibili solo per tre giorni in determinati orari.
In questo modo “Distant Eyes” si pone come una bellissima apertura per il nostro programma espositivo di quest’anno, che prevede diverse mostre dedicate proprio alla percezione dello spazio e alla sua messa in discussione». 
Quali saranno i prossimi progetti che ospiterete?
«Il 15 marzo inaugurerà “Da lontano era un’isola”, una sorta di “triplice” mostra personale: saranno infatti proposti tre artisti, Katinka Bock, Giulia Cenci e Philipp Messner – uno in ciascun piano – che proporranno opere e installazioni in stretto dialogo con gli spazi espositivi.
Successivamente, alla fine di giugno, sarà presentato il progetto di Alterazioni Video “Incompiuto – La nascita di uno stile” che, a partire da una lunghissima ricerca sulle opere pubbliche incompiute in Italia, ha reinterpretato appunto l’”’incompiuto” come vero e proprio nuovo stile, in relazione all’architettura ma anche alla moda e alla scultura. Parallelamente sarà proposta inoltre una mostra personale dell’artista tedesca Özlem Altin, che lavora spesso a partire da materiali trovati che rielabora in installazioni, quasi dei collage tridimensionali. In primavera trascorrerà un periodo a Merano dove avrà modo di cercare e raccogliere nuovi materiali.
Infine, la stagione si chiuderà con la mostra realizzata in collaborazione con la NABA di Milano e Unibz di Bolzano “Design from the Alps. Südtirol/Alto Adige, Tirol e Trentino”. Curata da Claudio Larcher, Massimo Martignoni e Ursula Schnitzer, è la prima rassegna completa sulla produzione e sulla cultura del design moderno in questa regione europea transfrontaliera». (Silvia Conta)
Irene Fenara
“Distant Eyes”
a cura di Christiane Rekade
dal 22 al 24 febbraio 2019
KUNST MERANO MERANO ARTE
Edificio Cassa di Risparmio
Portici 163, Merano (BZ)
Opening: 21 febbraio, alle 19
Orari: 22 febbraio 2019, dalle 15.00 alle 19.00, 23 e 24 febbraio 2019, dalle 11.00 alle 15.00
www.kunstmeranoarte.org, info@kunstmeranoarte.org

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