20 febbraio 2019

Mendini lo sapeva

 
Un omaggio all’eredità del grande designer, curioso sperimentatore di nuovi materiali, visionario, ironico e colorato creatore di oggetti poetici ed emotivi

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Del milanesissimo Alessandro Mendini (1931-2019), architetto e designer, artista e intellettuale ludico e riflessivo al tempo stesso, resterà il suo sorriso gentile, lo sguardo poetico sul mondo e sulle cose, resteranno i suoi mobili e gli ambienti, le pitture, le installazioni e le architetture cariche di simboli e intrecci narrativi e inventivi. 
È volato via il “piccolo principe” dai modi pacati del design italiano, un elfo visionario contro l’anonimato della produzione seriale, che ha unito il lavoro, l’innovazione, il pragmatismo e la progettazione con la creatività, in oggetti dai contenuti emozionali. Al centro del suo progetto c’è “corpo, psiche e spirito”, diceva, l’oggetto come parte dalla persona che lo rappresenta. Il suo spirito libero ha attraversato la seconda metà del Novecento con ironia, sfumando con i colori il grigiore delle linee funzionaliste, ingabbiate in schematismi ideologici. 
L’anno scorso, in una intervista rilasciata al Corriere della Sera, Mendini si era paragonato a Geppetto, seppure colto e cresciuto negli agi di una famiglia della Milano bene e in mezzo a opere d’arte. Gli zii erano i coniugi Boschi Di Stefano, proprietari di una preziosa collezione. Mendini tra i protagonisti delle esperienze del design radical con Globe Tools (1973), fondatore di Alchimia, di Memphis (1981), è stato una voce fuori dal coro in compagnia di Ettore Sottsass, Robert Venturi, Achille Castiglioni, Riccardo Dalisi e di altri progettisti innovatori. Ha diretto le riviste ” Casabella” (1970-1976), “Modo” (1976-1979) e “Domus” (1980-1985), quando Milano diventò la capitale del design italiano, della cultura e dell’impresa, rilanciando l’economia della Penisola puntando sulla progettazione della creatività.
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Alessandro Mendini, Poltrona Proust
Autore di saggi, articoli e raffinato teorico mai allineato ad alcuna ideologia, è stato fedele al principio di rinnovamento del design italiano come sismografo della quotidianità, non soltanto con oggetti poetici che hanno rivoluzionato il gusto e i consumi dell’epoca ma anche con mostre come “L’oggetto banale”, alla Biennale di Venezia del 1980. Nel 1989 fondò, con il fratello Francesco, l’Atelier Mendini, in via Sannio, a Milano: una bottega della creatività all’insegna dell’ibridazione di nuove tecniche, linguaggi e discipline, dove la curiosità era la madrina del suo operare e la ricerca di nuovi materiali era la regola. Da lì sono usciti i pezzi più celebri del design italiano, poi realizzati per aziende come Alessi, Bisazza, Cartier, Swarovski,Venini, Zanotta e Samsung. La sua poltrona Proust (1978) è una icona tra le più copiate al mondo, di forma settecentesca e ricoperta da un tessuto puntinato da colori ispirati a un quadro di Paul Signac. Una texture unica che contraddistingue questo oggetto che attacca e dissolve le tradizionali connotazioni del design razionalista – originalità nella forma, funzionalità, produzione in serie – in chiave trasgressiva. Questa originale texture diventerà nel corso del tempo la cifra stilistica distintiva anche in molti altri suoi progetti, dalla scala del Museo Groningen in Olanda all’orologio Swatch Lots of dots, applicata alla produzione seriale, riproducibile all’infinito.La stessa poltrona dal 1989 viene prodotta dall’Atelier Mendini.
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Alessandro Mendini, Groninger Museum, Paesi Bassi, 1994
Pluripremiato, Mendini ha ricevuto il Compasso d’oro nel 1979 nel 1981 e un riconoscimento dell’Adi alla carriera nel 2014, l’onorificenza dell’Architectural League di New York, la laurea honoris causa al Politecnico di Milano, dove si è laureato, e l’European Prize for Architecture Awards, nel 2014. Nel 2017 ha illustrato un libro di Erri De Luca, il dissacrante Diavoli custodi. Tra le tante sfumature del suo pensiero raffinato, sono magistrali le sue riflessioni sul kitsch, da non sottovalutare. Chi non ricorda il suo cavatappi Anna G (1994), dedicato alla designer Anna Gilli, il cui volto e silhouette sono stati motivo ispiratore per questo oggetto-personaggio, prima anonimo e poi tra i più famosi al modo, realizzato per Alessi. Se pensiamo a questo oggetto giocoso, con le braccia levate, ancora sorridiamo e, forse, per una frazione di secondo torniamo bambini. E questo, Mendini lo sapeva…
Jacqueline Ceresoli

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