23 febbraio 2019

A Massa, fa scandalo il Cristo gay di Giuseppe Veneziano

 

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Una petizione di protesta e una veglia di preghiera in piazza, un politico locale che attacca e la difesa del sindaco che ha patrocinato, la censura di Facebook che blocca un’immagine ritenuta offensiva e i giornali che invece ne moltiplicano la visibilità, chi si indigna per un presunto oltraggio subito e chi si sdegna per l’altrui indignazione, chi vuole difendere il sacro dissacrato e chi storce il muso per il pop profano e profanato. 
Un gioco delle parti grottesco e saporito che potrebbe essere ben raccontato da una canzone di Fabrizio De André e, invece, è il contorno polemico e chiassoso della mostra “Storytelling” di Giuseppe Veneziano, curata da Ivan Quaroni, che presenta dal 2 al 24 febbraio, nel Palazzo Ducale di Massa, in Toscana, una selezione di opere degli ultimi dieci anni. Al centro del dibattito e delle giaculatorie è una tela in particolare, uno di quei dipinti sornioni a cui Veneziano ci ha ormai abituati mescolando ironia e citazioni sempre sul filo della provocazione: una crocifissione contemporanea con un Cristo barbuto e capellone acconciato come vuole la tradizione, con indosso però un paio di mutande leopardate recanti sull’elastico in bella evidenza il marchio Dolce & Gabbana. In alto sulla croce, inoltre, il cartiglio I.N.R.I. è sostituito dall’acronimo LGBT, sigla con cui sogliono nominarsi le persone appartenenti alla comunità lesbica, gay, bisessuale e transgender. 
L’icona classica viene trasformata insomma dal pittore per parlare della discriminazione e della violenza nei confronti dei “diversi”. Un’operazione di per sé non scandalosa né inedita  – sono tante le citazioni e ancora di più i tradimenti cristologici del contemporaneo, dai video rinascimentali di Bill Viola all’autoritratto nudo e nero della giamaicana Renée Cox, fino al Piss Christ di Andres Serrano, solo per fare alcuni esempi -, ma a quanto pare sufficiente per scatenare un putiferio in quest’Italietta sempre più oscura e ignorante dove, è utile ricordarlo, sono state riconosciute dalla legge appena nel 2016 le unioni tra persone dello stesso sesso, allineando finalmente il nostro Paese alle direttive europee. 
In mezzo agli strepitii che accompagnano la sua mostra, Veneziano parla un linguaggio chiaro e semplice e, al netto del chiasso di cui poco resta, può ritenersi contento della popolarità guadagnata, permettendosi di affidare al suo dipinto un messaggio politico contro l’omofobia. «L’opera – spiega l’artista a Exibart – è il simbolo di un martirio che si è fatto carico di tutte le ingiustizie che subiscono gli uomini, in questo caso anche degli omosessuali. In 70 paesi nel mondo gli omosessuali subiscono le peggiori torture e vengono puniti con la pena di morte. Gesù è venuto al mondo per salvare tutti gli uomini, bianchi, neri, gialli, lesbiche, gay… senza fare nessuna distinzione». 
Giuseppe Veneziano è un simpatico affabulatore e tirando le somme, al di là delle facili etichette di blasfemia e vilipendio, il suo “storytelling” riesce appieno nello scopo prefisso, narrando i nostri modi boccacceschi mai perduti e mostrandoci semplicemente la logora trama dei pregiudizi che ancora accompagnano il nostro modo di interpretare il mondo e non solo l’arte. (Francesco Paolo Del Re)

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