23 febbraio 2019

Il Padiglione iracheno alla Biennale di Venezia mostrerà gli orrori espressionisti della guerra

 

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Sarà Serwan Baran a rappresentare l’Iraq alla 58ma Biennale di Venezia ed è la prima volta che il padiglione iracheno, allestito in Ca’ Del Duca e commissionato per la quarta volta dalla Ruya Foundation, verrà affidato a un singolo artista. «È un passo importante, per l’Iraq, essere rappresentati da un solo artista alla Biennale di Venezia. L’opera di Baran è sia una testimonianza personale delle sue esperienze che un commento universale sulla condizione dell’umanità. Sono felice anche di far conoscere il singolare stile espressionista di Baran, la cui pittura ha un grande significato nella storia dell’arte moderna irachena», ha dichiarato Tamara Chalabi, presidente e cofondatrice della Fondazione Ruya e co-curatrice della mostra. 
Di origine curde, Baran è nato a Baghdad nel 1968 ed è considerato tra i più influenti artisti iracheni della nuova generazione. Fondamentale, nella sua formazione, l’esperienza come soldato duranti i conflitti negli anni ’80 e ’90, durante i quali è stato costretto a rappresentare artisticamente le vittorie dell’esercito iracheno, come parte del programma di propaganda filogovernativa. In seguito, quelle stesse immagini sono diventate una materia da decostruire, verso il grottesco e l’astrazione. 
Per il Padiglione alla Biennale di Venezia, Baran presenterà Fatherland, un progetto che restituirà la sensazione di una zona di guerra, in linea con lo stile oscuro della sua pittura. L’esposizione sarà caratterizzata da un monumentale dipinto, The Last Meal, che rappresenta una vista a volo d’uccello di un campo di battaglia. Verranno incorporati elementi come uniformi militari irachene, donate all’artista dalle famiglie dei caduti durante la varie guerre che hanno tormentato l’area: quella tra Iran e Iraq, la seconda guerra del Golfo e l’offensiva contro l’ISIS. La mostra includerà anche una scultura, The Last General, una replica in argilla a grandezza naturale di un generale dell’esercito in una scialuppa di salvataggio. Simile a una mummia in un sarcofago, questa scultura ricorda la brutalità dei capi militari e sarà un tributo agli uomini morti, diventati parte della terra. 
Nel suo progetto, Baran interroga i modi in cui la nozione della Patria è stata usata per giustificare gli orrori della guerra e i sacrifici dei soldati. Attraverso questa inchiesta sull’abuso del concetto di patria, la mostra esplora anche la natura dell’uomo, i suoi limiti e le sue derive bestiali.

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