23 febbraio 2019

La pietà della luce, nelle opere di Ettore Frani in mostra al PAN di Napoli

 

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Ettore Frani presenta a Napoli una serie di lavori inediti appartenenti all’ultimo periodo di ricerca, incentrati sulla luce e sul mistero. È sempre stata la luce l’elemento caratterizzante di tutto il suo percorso. Una luce che nasce dagli abissi e trascende la consueta rappresentazione degli oggetti, che s’insinua tra le pieghe della realtà per far emergere la tensione e l’evanescenza della natura. Non una rappresentazione pseudo-fotografica e puntuale del dato reale ma una verifica intima e al contempo catartica di un altrove possibile. 
Una rappresentazione della desolazione e anche della solitudine svelata con una tecnica minuziosa e oscura, con immagini che si coagulano in una nuova forma generosamente metafisica. Non c’è più niente di naturale in quella luce che avvolge gli oggetti. Dell’oscurità dell’essere al mondo e del diafano dissolvimento delle cose, rimane soltanto il mistero della trasformazione e l’urlo del nostro precario destino. 
La pittura di Ettore Frani, come scrive Andrea dall’Asta, si fonda sul concetto di una rivelazione, di una speranza avvolta da un segreto che sta per avverarsi e che si compie al cuore del quotidiano. Una energia espressiva e uno spazio scenico intimo nascono essenzialmente dal disagio della vita, caratterizzato espressamente dalla caduta e dalla trasfigurazione. Così, un umile piatto o un semplice brandello di stoffa presentati in dittici e trittici diventano l’apparizione muta di un divenire provvisorio, in vista di una possibile ascesi purificatrice. Dopo il grido dell’umano, ora s’intravede la luce, il muto dialogo delle cose. Una condizione decisamente contaminata dal dubbio e dall’essenza che si rigenera da un assorto mistero interiore e contagia le forme e le cose per divenire momento degnamente chiarificatore e assieme ierofantico. 
La luce intesa come materia insostanziale e sensibile non si ferma in superficie ma trascende il dato reale toccando il vasto ventre oscuro della profondità e della solitudine alla ricerca della passione e della purificazione. Sono opere di una struggente perfezione e malinconica bellezza che nascono tra un momentaneo abbaglio di luce e una conseguente e improvvisa apparizione di un’ombra disfatta che inonda d’un tratto e s’incarna in un’eco sordo per poi svanire nell’inconsistente evanescenza dell’indefinito. Insomma, spazi oscuri e intimi della vita dell’uomo che sono luoghi dello spirito in un vuoto avido che assorbe e ingoia il reale per poi decantarlo in una sacrale e sofferta presentazione. 
Una sorta di calma apparente e assoluta, una materia mentale piuttosto fredda definita nell’assoluta immobilità, pian piano ci conduce alla vertigine della contemplazione stupita di un universo di luce che nel suo farsi e disfarsi si tramuta in ascesi e forse anche speranza. Si direbbe poesia dell’anima raccontata con una flebile voce nel silenzio più intimo a raccordare gli umori nascosti e oscuri della vita, in cui un tempo del tutto provvisorio e estraneo, accoglie il lato nascosto dell’essenziale a svelarci, oltre la corporeità delle cose e della natura, la loro primigenia essenza insostanziale, a consegnarci la misura inespressa dell’attesa precaria e fragile del reale nella dimensione più intima e vera del nostro quotidiano esistere. (Sandro Bongiani
In home: Ettore Frani, L’ombra e la grazia, Viandanti. Ph. Paola Feraiorni 
In alto: Ettore Frani, La pietà della luce, L’altro sguardo, Evaporazione. Ph. Paola Feraiorni

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