23 febbraio 2019

Intervista al giovane artista italiano (semplice)

 
Il sistema dell’arte sotto la lente di Giulio Alvigini, ideatore di “Make Italian Art Great Again” che a Bologna ci ha regalato una visione di quel che significa l’ossessione della presenza

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Giulio Alvigini, l’ideatore della celebre pagina Instagram e Facebook Make Italian Art Great Again, ha presentato durante Artefiera la sua prima personale bolognese negli spazi di Porto dell’Arte. Il sistema dell’arte italiano, proprio mentre si consumava uno degli appuntamenti del contemporaneo più attesi, è stato messo ancora una volta sotto una lente di ingrandimento dall’artista, arrivando a risvolti come sempre in equilibrio perfetto tra l’ironico e l’irriverente.
Dall’1 al 3 febbraio è stato possibile visitare a Porto dell’Arte la tua personale Portobello dell’Arte a cura di Irene Angenica. A cominciare dalla scelta del titolo, è stato subito evidente che i lavori presentati e il progetto espositivo sono stati pensati considerando la peculiarità dell’ambiente, l’appartamento di via del Porto a Bologna in cui il project space è attivo dal 2016, e coerentemente con la tua ricerca, stravolgendo qualsiasi aspettativa del pubblico per trasformare la visita in una sorta di “caccia al tesoro”.
«Con Portobello dell’Arte — il cui titolo rimanda esplicitamente al noto programma televisivo condotto da Enzo Tortora, oltre che ad un sottile gioco di parole con il nome dello spazio espositivo — mi interessava costruire un campionario di prodotti improbabili “made in Italian Art World” che andassero a delineare un’ipotetica cosmologia ironica di oggetti da inserire mimeticamente/memeticamente negli spazi di Porto dell’arte. La pratica site specific, attitudine principale di tutta la programmazione del project space bolognese, si è dimostrata decisiva nella progettazione e nell’ideazione di una messinscena in bilico tra la neutralità di un display Ikea e il vissuto di un’atmosfera quotidiana: dallo zerbino Artefiera al “Calendario Pirelli Hangar Bicocca”, passando tra le pantofole “Artribune-Exibart” e la “copertina” in pile di Flash Art, viene a comporsi visivamente la spazialità di un possibile “appartamento di un ossessionato del sistema”».
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Giulio Alvigini, Portobello dell’Arte
Il sistema dell’arte e i suoi attori sono soggetti privilegiati all’interno della tua ricerca e pratica artistica, ne hai una conoscenza approfondita e servendoti di un sarcasmo intelligente nei tuoi lavori ne stravolgi le logiche. La conoscenza delle dinamiche del mondo dell’arte è fondamentale, ma come sei arrivato a renderlo centrale nella tua produzione? 
«Fin dall’inizio della mia formazione ho approfondito e studiato le logiche, le dinamiche e le contraddizioni del sistema dell’arte, probabilmente sbilanciandomi su determinati approfondimenti e problematiche, fino a farne diventare un’effettiva ossessione. La mia produzione si costituisce di una consapevolezza strutturale del sistema che in maniera tautologica e “metadiscorsiva” va a riflettere — e talvolta a parodiare — il percorso di imposizione e accettazione del proprio lavoro all’interno della cornice sociale dell’arte. In pratica, ho adottato certe mie ossessività e isterie legate alle sovrastrutture del sistema, alla mia attitudine per la beffa, la battuta e l’autoironia».
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Giulio Alvigini, Portobello dell’arte
Make Italian Art Great Again segue un linguaggio memetico sfrontato, impertinente e un po’ cinico. Trovi un punto di contatto tra questo atteggiamento e la tua pratica artistica? E soprattutto, consideri Make Italian Art Great Again un progetto artistico vero e proprio?   
«Mi sono avvicinato al linguaggio dei meme da outsider, condizione che tutt’ora sento di interpretare: sono un “normie”, ovvero un banalizzatore dei format e delle possibilità sovversive dell’immagine memetica. Tuttavia, credo sia stato proprio in quella componente beffarda, scorretta e irriverente che caratterizza tale linguaggio il punto di contatto con le mie riflessioni sull’arte. Oggi trovo fondamentale leggere Make Italian Art Great Again come parte integrante della mia pratica artistica. All’inizio, a causa dell’impossibilità di prevedere o definire l’effettiva portata semiotica della pagina, tendevo a descriverla come deriva parallela a quello che era il corpus di opere precedenti. Attualmente mi sembra necessario e inevitabile inscrivere questa parentesi memetica a tutta quella temperatura ironica, sarcastica e destabilizzante che caratterizza il mio lavoro». 
Camilla Compagni

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