26 febbraio 2019

Cosa sono quegli strani bozzi sulle opere di Georgia O’Keeffe? Te lo dice una app

 

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Le opere di Georgia O’Keeffe sembrano essere afflitte da una strana malattia della pelle. Alcuni ricercatori si sono accorti che centinaia di piccoli bozzi sono comparsi sulla superficie pittorica di molte opere della grande artista statunitense, moglie di Alfred Stieglitz e famosa per la sua lirica sintesi di astrattismo e realismo. In effetti, O’Keeffe si era accorta di queste particolari escrescenze già in vita, visto che iniziarono a emergere già durante la stesura dei pigmenti ma si credeva fossero dovute ai residui di sabbia del deserto del New Mexico, dove era solita dipingere. Allo stesso modo la pensavano restauratori, storici dell’arte e conservatori, almeno fino a oggi. 
Un team multidisciplinare di scienziati della Northwestern University e del Georgia O’Keeffe Museum di Santa Fe ha finalmente determinato la reale causa delle protuberanze: si tratta di carbossilato metallico, derivante da una reazione chimica tra gli acidi grassi utilizzati come un legante per la vernice e gli ioni metallici trovati nel piombo e nello zinco dei pigmenti. Secondo Dale Kronkright, responsabile della conservazione del museo, ci sarebbe poi una correlazione tra gli spostamenti delle opere e le sporgenze, ‹‹Più i dipinti hanno viaggiato, maggiori sono le possibilità di ritrovare sporgenze più grandi e numerose››, ha spiegato a The Art Newspaper. 
I ricercatori hanno anche sviluppato una app per iPad e smartphone in grado di mappare la struttura tridimensionale della superficie delle tele di O’Keeffe e rilevare eventuali dossi che non provengano dalle pennellate o dalla consistenza della tela. Basandosi su una fonte di luce, come quella dello stesso display del cellulare, la fotocamera acquisisce una serie di immagini e le processa analizzando anche la struttura superficiale della tela, sottraendo il colore per rilevare eventuali deviazioni di forma non correlate a pennellate o a tessiture. L’immagine viene quindi elaborata da algoritmi che forniscono informazioni sulla densità, sulla dimensione e sulla forma delle sporgenze. 
Uno strumento del genere, così facilmente reperibile, eliminerebbe la necessità di attrezzature ingombranti e costose, normalmente utilizzate per mappare la superficie di un dipinto. Inoltre, potrebbe essere usato anche in altri casi, visto che queste minuscole protrusioni, che in alcuni casi portano anche allo sfaldamento della patina, sono state rilevate su numerosi dipinti, come quelli Rembrandt e Van Gogh. La prima restauratrice suggerire l’ipotesi che il fenomeno potesse avere una spiegazione chimica fu Petria Noble, nel 1996. In quegli anni, Noble lavorava al Mauritshuis de L’Aia, per il restauro di alcune opere di Rembrandt e notò escrescenze simili sulla famosa Lezione di Anatomia del dottor Nicolaes Tulp.

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