02 marzo 2019

I manifesti funebri dei migranti comparsi a Napoli ci interrogano sul ruolo dell’arte

 

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È l’alba. Napoli si risveglia tappezzata di manifesti funebri. I pochi nomi dei defunti appaiono esotici, lontani e quasi finti ma le morti, descritte brevemente sui fogli di carta, sciolgono subito il mistero: è tutto vero, si tratta di migranti, quei figli di n.n. che hanno attraversato il mare e lì hanno trovato la fine. Ancora una volta. Conosciamo bene quei luoghi di approdo e scomparsa, Cala Pisana a Lampedusa, tutto il Canale di Sicilia, Riace, posti che, piazzati sopra un manifesto mortuario, hanno davvero un altro effetto. Più duro, più deciso, più grave. 
L’installazione – perché lo è e senza dubbio – di cui non si conosce l’autore, sembra avere delle stazioni precise e, simbolicamente, la mano di un artista ha occupato il suolo napoletano nel silenzio notturno, partendo da Pio Monte della Misericordia a Piazza Bellini e passando per Piazza Dante e il Museo Archeologico fino al lungomare, inevitabilmente. Luogo di svago, di riflessione, di salvezza. Il mitologico ruolo del mare che inghiottisce i temerari, riappare più forte che mai. In effetti ritornano, in una specie di nuova età buia, tutti i risentimenti più arcaici di una società che ribolle continuamente. E non è un fremito positivo, non è euforia né vento di rivoluzione, piuttosto è un rimestare nelle passate ideologie, senza criterio, come farebbe uno studente impreparato. Tornano in superficie quelle amenità e bassezze che il mondo voleva aver seppellito per sempre. 
Chiedersi cosa possa fare l’arte contemporanea in questo scempio delle idee sarebbe stupido. La domanda è di sicuro mal posta. La mobilitazione, anche quella artistica, non segue regole di utilità e scopo; ci si muove quando non si può non farlo, è presto detto. Ci chiediamo per questo se a tale installazione ne seguiranno delle altre, diverse e più grandi, frutto di un’intraprendenza decisiva nell’esprimere dissenso. 
Un uomo passeggiando lo dice quasi tra sé: c’è un’energia non ancora disinnescata a Napoli. Non è l’aria frizzante di fine inverno a suggerire certe frasi a effetto, non è la speranza che il disgelo porta con sé, sebbene proprio di un’aria si stia parlando, di un vento anarchico che qui soffia ancora, perpetuo, irascibile, recidivo. È vero, Napoli conserva un desiderio di libertà che ispira tutti quanti ed è per questo che in una città in cui ogni cosa è sottosopra, in cui nondimeno lo sfascio ha l’effetto della barriera difensiva, appare l’ennesimo avamposto di una resistenza incredibile e granitica al potere. (Elvira Buonocore)

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