07 marzo 2019

Tempi interessanti, raccontati liberamente. Con un occhio al mercato. Ecco la prossima Biennale di Venezia

 

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«La frase “May You Live In Interesting Times”, titolo della 58ma Biennale d’Arte di Venezia, può essere letta come una sorta di maledizione, nella quale l’espressione “interesting times” evoca l’idea di tempi carichi di sfide e persino minacciosi. Ma è anche un invito a considerare il corso degli eventi umani sempre nella loro complessità, un invito che ci appare particolarmente importante in tempi nei quali troppo spesso prevale un eccesso di semplificazione, generato da conformismo e paura». Queste le parole del Presidente dell’istituzione veneziana, Paolo Baratta, che questa mattina, insieme al curatore Ralph Rugoff, nella gremitissima sala a Ca’ Giustinian, ha presentato la prossima edizione della Biennale d’Arte, che aprirà i battenti l’11 maggio 2019. 
Un’edizione che, come ha precisato Baratta, ricordando la storia e l’evoluzione della Mostra negli ultimi venti anni, è sensibile allo spirito del tempo ma rimane ferma su alcuni punti: per prima cosa aperta e senza confini di sorta, pensata secondo libere scelte e senza influenze dettate dal mercato. In breve, la missione principale è semplice ma non facile: «Offrire agli artisti un luogo di dialogo il più libero possibile e, d’altra parte, offrire ai visitatori un intenso incontro con l’arte». Visitatori che, come sottolineato, per più della metà hanno meno di 26 anni, un risultato da ricordare per festeggiare i vent’anni trascorsi dal 1997. 
Rugoff ha pacatamente raccontato nello specifico la mostra, che includerà opere d’arte che riflettono sugli aspetti precari della nostra esistenza attuale. Secondo il curatore, l’arte, però, non esercita le sue forze nell’ambito della politica, non ferma l’avanzata dei movimenti nazionalisti, dei governi autoritari o cambia il tragico destino dei profughi del pianeta, ma deve essere una guida che ci aiuti a pensare e a vivere in questi interesting times. «La 58ma edizione – ha affermato Rugoff – non avrà un tema di per sé ma metterà in evidenza un approccio generale al fare arte e una visione della funzione sociale dell’arte, che includa sia il piacere che il pensiero critico». 
Quella che è stata annunciata, è dunque una Biennale che assume una visione globale, senza sbavature, con una buona commistione di Paesi, molto sudest asiatico e Cina, oltra e Europa e USA, tra temi che vanno dalle neuroscienze alle questioni di genere, fino all’attenzione verso gli spazi limite, alle pratiche post internet, alla salvaguardia del rapporto con la natura, alla superstizione e alla religione. Una nuova Biennale, allora, distante dalla precedente, quella di Christine Macel, per argomenti e anche per la scelta degli artisti. Ma, nonostante quanto sottolineato da Baratta, con una evidente attenzione al mercato, come si nota dall’altissimo profilo delle gallerie di riferimento degli artisti coinvolti. 
Cos’altro? Gli artisti saranno 79, tra cui Teresa Margolles, Dahn Vo, Tomas Saraceno, Zanele Muholi, Jon Rafman, Hito Steyerl, Carol Bove e le italiane Ludovica Carbotta e Lara Favaretto. E, per la prima volta, le donne saranno in numero maggiore rispetto agli uomini. E poi, 90 le partecipazioni nazionali, 21 gli eventi collaterali e i progetti speciali, tra cui quelli di Carbotta, a Forte Marghera, all’interno dell’edificio chiamato Polveriera Austriaca, e di Joe Tilson, che presenterà un progetto ispirato alle finestre di Venezia per Swatch, anche quest’anno main partner della Biennale. (Nicoletta Graziano)

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