11 marzo 2019

Acqua e fuoco. Alla scoperta dell’entroterra veneziano, con Marco Martalar e Toni Venzo

 

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Intervista a Toni Venzo e Marco Martalar, protagonisti di “4444 Acqua e Fuoco”, mostra, visitabile fino al 1° aprile a Palazzo Ferro Fini e al Museo Ca’ Rezzonico che, attraverso scultura, arte contemporanea e storia, racconta del legame dei due artisti con le proprie radici e con la propria terra, con un percorso che dall’Altipiano dei Sette Comuni, a Bassano, ci porta fino a Venezia.
Scultura, arte contemporanea, storia passata presente e futura, sono tutti elementi che si ricollegano al forte rapporto che entrambi avete con la vostra terra, dall’Altopiano dei Sette Comuni alla Valle del Brenta. Come ha influito questo legame sul vostro processo artistico?  
M.M: La scultura per me è legata al territorio e alla mia storia, ha creato un vero e proprio intreccio tra presente e passato. Il processo che mi ha portato a bruciare le opere, che poi è ciò che le rende tanto contemporanee, in realtà ha uno strettissimo legame con il passato, dove il fuoco era, e per me lo è tuttora, una elemento che con la sua forza ancestrale accompagnava la vita quotidiana delle generazioni passate. In realtà credo che questo elemento sia qualcosa che ci unisce tutti: ognuno di noi si riconosce nel fuoco, forza in cui ci si perde e ci si ritrova.
T.V: Il legame con la mia terra è rappresentato da due elementi: gli alberi dei boschi e l’acqua del fiume che attraversa la valle. L’albero mi fa da tramite, è attraverso la sua materia che riesco a dare forma al mio sentire e a creare un dialogo con l’esterno, che poi si concretizza attraverso forme che si liberano fluide, che cercano di rappresentare il movimento e il fluire dell’acqua che scorre in un percorso liberatorio verso il mare. Ecco che questa  materia, il legno, che per sua natura è una materia viva e in costante mutamento, si lascia modellare dal gesto creativo,  prende delle forme sempre diverse, e sempre tese al movimento,  si  trasforma ma indica anche che è il percorso stesso e la trasformazione la vera essenza della realtà che non è mai statica ma sempre in continuo divenire. 
L’utilizzo del legno, definito e modellato dal fuoco e dall’acqua, due forze della natura in forte contrapposizione tra loro, sono due elementi che caratterizzano la produzione delle vostre opere. In cosa si differenzia il vostro diverso modo di interpretare e lavorare la materia?
M.M: Credo che il nostro modo di interpretare e lavorare la materia sia opposto, ma allo stesso tempo c’è un equilibrio. Questa cosa si riflette anche sui nostri caratteri: penso che questo progetto debba la sua forza proprio a questa compensazione tra elementi contrapposti, acqua e fuoco.
T.V: Entrambi siamo stati attirati e abbiamo condiviso  un senso di appartenenza  e legame con gli elementi naturali quali agenti attivi nel nostro processo creativo. Per Marco è il fuoco che agisce sulla scultura stessa, per me invece è l’acqua. Da sempre mi ha affascinato il fluire della corrente  come esperienza dei sensi: il rumore e i colori sempre in continua mutazione che accompagnano lo sguardo, ma anche come metafora dell’esistenza umana con il suo continuo divenire e il suo continuo doversi adattare alla forma delle cose e ai fatti della vita. Le mie sculture  danno forma a questo sentire e il fiume è per me un compagno di viaggio. Così anche la mia arte prende forma in un processo che parte dentro di me, dall’osservare lo scorrere dell’acqua.
La tradizione si mescola in questo itinerario composto da avanguardia e sperimentazione. Com’è essere uno scultore oggi? 
M.M: Essere scultore oggi per me è strano perché vedo che l’avanguardia punta più al concetto, al risultato rispetto a quello che poi sarà un oggetto che si impone in uno spazio tridimensionale. Personalmente io sono legato più all’atto creativo.Credo che una volta realizzato il mio compito è stato fatto, il resto lo lascio al mondo. Mi spiego meglio: tutto quello che faccio deve essere fisico deve uscire tra connubio animo mani albero e fuco.Il resto no  è importante anche se sono consapevole che l’arte si sta muovendo usando moltissima tecnologia. A me non interessa perché mi terrebbe distante dal legame che ho con la natura.
T.V: Essere uno ” scultore dell’albero” è un’esperienza artistica particolare parchè questa  materia è viva e chiede rispetto e ascolto. L’albero spesso ci rappresenta , e ci indica a volte la strada per recuperare un legame con noi stessi. Ogni albero ha una sua storia segreta e così anche ogni opera ha un suo messaggio segreto.
L’albero ha delle fibre e delle linee che a volte danno loro il ritmo della creazione, segnano forme , chiamano  vuoti o pieni, io li ascolto e mi lascio guidare. Mi sento accompagnato nell’azione  creativa e spinto sempre alla ricerca di nuove forme che sono veicolo di nuovi messaggi.  Il legno dell’albero , attraverso la scultura , è come il suono che   attraverso le note musicali diventa  sinfonia. 
Credo che nelle forme più astratte , più essenziali  e pure questa materia riesca ad essere protagonista  e  trasmettere la sua poesia. 
Questa mostra ripercorre un viaggio che si snoda nei luoghi dell’entroterra veneziano, quello dell’albero che dalle foreste dell’Altopiano scendeva dalla “Calà del Sasso” e, attraverso lo scorrere del fiume Brenta, raggiungeva la laguna e la Città di Venezia. Due territori uniti dalla gradinata più lunga d’Italia, la “Calà del Sasso”. Com’è stato percorrere insieme questi 4444 scalini?
M.M: Ci sono voluti quasi quattro anni per raggiungere Venezia, quattro anni sudati molto più che per percorrere fisicamente la Calà. Ma un sudore fatto di molte soddisfazioni. Un percorso che a ogni nuova esposizione prendeva forza e slancio. Infatti ora le zattere sono a Venezia e a Venezia il fiume diventa mare…
T.V: È stato un percorso non solo espositivo ma anche di crescita artistica: abbiamo usato la metafora del viaggio non solo riferita alla “fluitazione dei legni” ma anche riferita al percorso tra passato e presente  e al legame che esiste tra arte antica e arte contemporanea. Il nostro progetto voleva raccontare una storia antica che attraverso l’arte contemporanea assumeva nuove forme utilizzando nuovi linguaggi.
Ci piaceva anche l’idea che una scalinata, fatta dalla fatica di uomini che volevano superare ostacoli e barriere naturali, rappresentasse l’elemento di unione. In fondo  anche il nostro “creare” passa attraverso l’azione del “fare” e  del lavoro delle nostre mani.
Ogni esposizione è stata un’esperienza diversa e interessante per quanto ci restituivano i visitatori di fronte alle opere e alla storia che ognuna di esse raccontava. Alcuni erano interessati e incuriositi da come una storia di fluitazione del legname, di tradizione e di economia di territori poteva essere anche protagonista di una mostra d’arte. Altre persone facevano invece il percorso inverso e attraverso le opere  ritrovavano la storia che veniva raccontata. Altri ancora ci raccontavano come le opere  riuscivano a toccare alcuni aspetti del loro ”essere acqua” o “essere fuoco”.
L’esposizione a Venezia è la tappa finale di  questo viaggio ma  è  anche quasi un ultimo pezzo  di un puzzle di storie: Venezia è una città d’arte costruita  con grande eleganza sul ”legno e sull’acqua” da popoli antichi che volevano sfuggire al ”fuoco” e al pericolo della guerre e delle invasioni.
Le opere sono arrivate a Venezia e sono state accolte in due palazzi ricchi di storia, di bellezza e di arte, e con l’essenzialità e la purezza delle forme astratte e contemporanee hanno aperto un dialogo con il passato. 
I legni che un tempo servivano per costruire palazzi, luoghi dell’abitare, e imbarcazioni, mezzi  per viaggiare, oggi diventano opere  d’arte, e si propongono come  oggetti -luoghi dove far “abitare emozioni” e stimoli per far  “viaggiare  nuove  visioni”.

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