18 aprile 2019

TRE DOMANDE A…

 
A Milano c’è anche BITCORP for ART. Ce lo racconta Greta Scarpa
di Ilona Barbuti

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Ai piani alti di via Besana 11 la vista dà le spalle alla città un po’ più giù e prende altre sembianze, mentre lo sguardo affonda in pensieri spontanei, e sorride. 
BITCORP for ART è un progetto a cura di Greta Scarpa per BITCORP, società 4.0 che mette a disposizione i propri spazi come un display espositivo libero, al cui interno è possibile lavorare anche in maniera site-specific. 
Com’è nato BITCORP for ART?
«BITCORP for ART– risponde Greta Scarpa – nasce quest’anno negli spazi della società di Corporate Intelligence che lo ospita, ovvero BITCORP, sulla scia delle esperienze dei già noti Studio Iannaccone o NCTM per l’Arte, che utilizzano i propri spazi lavorativi per ospitare mostre d’arte contemporanea. La differenza è che BITCORP si è insediata nei suoi uffici da meno di un anno e lo spazio di conseguenza non è connotato e stratificato, e questo ci consente una grande libertà». E continua: «Abbiamo scelto di dedicare il progetto ad artisti giovani sia italiani che internazionali, per indagarne in maniera approfondita il lavoro, senza imporre un tema. Inoltre, di volta in volta BITCORP for ART acquisisce un’opera, iniziando così a costruire una piccola collezione sostenendo gli artisti in maniera attiva».
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Così Romance di Luca Loreti (1990) rompe il ghiaccio presentando gran parte delle opere della serie #Holes e una scultura inedita, un “volto mostruoso” fatto di compensato dipinto e sorretto da una struttura in ferro. «Nel 2016 ho iniziato a realizzare sia i pezzi rosa che le sculture bidimensionali – spiega Loreti – ed è la prima volta che li presento insieme in una mostra personale. In modo ironico accosto i termini “pittura” e “scultura”, perché obiettivamente i pezzi a parete sono delle sculture mentre la scultura è a tutti gli effetti una pittura su tavola. Questo mi permette di dare un’emotività differente alle opere e di creare una relazione tra loro, fatta anche di dissonanze». In #Holes le superfici a campitura piatta ospitano anatomie minime generate dall’effetto della ruggine sul ferro, metafora chimica che coinvolge il tema della sessualità e quello delle relazioni, in un gioco di rimandi vario, tra Cultura Pop, Manga e tradizione giapponese: «Anche il fumetto americano, quello italiano, i cartoni animati dei primi anni ’90 o quelli anni ’70 e ’80 che davano in replica, le copertine dei  dischi che ascolto…Per il ciclo #Holes l’ispirazione tecnica maggiore deriva dal tatuaggio tradizionale americano. La sfida per fare un buon tatuaggio tradizionale sta nel riproporre sempre gli stessi soggetti in modo chiaro e riconoscibile, ma avendo l’ago di una determinata misura. Per realizzare il disegno sulla lastra uso il mio dito, quindi una misura di segno standard. Una volta fatta la linea non posso più tornare indietro, se non ricominciando tutto il processo da capo. La fase di progettazione è molto lunga proprio perché devo realizzare un disegno che possieda meno linee possibili ma la giusta tensione formale». Tensione che dalle singole opere si estende al tutto, al movimento ‘dilatato’ ricreato sulle pareti che diviene precisa scelta allestitiva. Orny fa capolino da un’altra stanza, “in tutta la sua fragilità”, scrive il suo autore, ma solo se alla visione frontale si privilegia quella a 360 gradi. 
Perché in quest’occasione hai deciso di scrivere un testo? 
«Mi sono accorto che da quando ho iniziato a realizzare questo ciclo ne ho sempre parlato in modo tecnico. Volevo donare alle opere un po’ della magia che la pittura possiede quando narra una storia». Ridiscendo le scale senza sapere che direzione prendere. 
Ilona Barbuti

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