12 aprile 2019

Gli spuntini di Duchamp. Voci e fotografie di Linda Fregni Nagler al Teatro della Triennale

 

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The classroom, il centro nomade d’arte ed educazione ideato da Paola Nicolin, mira a sondare un nuova forma di dialogo, scambio e confronto tra artista e pubblico. Come? Ponendo l’artista al centro, di un’ipotetica aula scolastica in cui possa raccontare il proprio lavoro attraverso metodi interattivi in un rapporto diretto e colloquiale, perlopiù con giovani universitari e pubblico interessato. 
Il settimo progetto di The classroom, prodotto da FOG-Triennale Milano Performing Arts, durante l’Art Week, ha visto la partecipazione della fotografa, instancabile ricercatrice e collezionista compulsiva, Linda Fregni Nagler (Stoccolma, 1976). Con Things that Death Cannot Destroy, sul palcoscenico del Teatro della Triennale, si è venuta a creare uno dimensione intima e ipnotica, in memoria di Massimo Buffetti, amico degli artisti e fondatore di CAP-Contemporary Art Projects, realtà vicina a the classroom. 
Il buio immobile avvolge ogni cosa. Il sipario chiuso fa da superficie per una doppia proiezione di lanterne magiche. Gli spettatori, posizionati nel boccascena, ascoltano una voce monocorde ma vigorosa che scandisce la didascalia riportata sui vetri originali delle immagini. Questi sono mossi ritmicamente, dall’artista e da un’assistente, dentro gli chassis delle lanterne. Immagini e suono procedono all’unisono, in una concatenazione perfettamente armonica e vitale. 
Ciò che si manifesta è una sequenza, lontana dall’essere lineare o narrativa, che parla di forme. Forme che ricordano e chiamano altre forme. Forme che attivano un campionario di universo ordinato per grandi temi: flora e fauna, tecnologia e natura, architettura formale e abbigliamento. I capitoli possono essere intervallati da vuoti narrativi, da scritte (“pausa di qualche minuto. Saranno serviti leggeri spuntini”) o da Marcel Duchamp. Sì, perché a Linda Fregni Nagler, che del padre dell’arte concettuale acquista tutte le foto che trova, interessa come vengono rappresentate, per esempio, le finte zollette di zucchero di Why Not Sneeze Rose Sélavy (1964). 
Se la fotografia è da considerarsi al pari di un oggetto, che passa di mano in mano, creare significa, come sostiene Duchamp, includere l’oggetto selezionato in un contesto nuovo. È il principio di appropriazione secondo cui l’oggetto fotografico individuato subisce un dirottamento per una volontà specifica; dunque, il capitolo arte in Things that Death Cannot Destroy serve da pretesto formale per costruire la sequenza. «L’immagine è un potenziale oggetto surrealista», racconta Linda Fregni Nagler ad un folto gruppo di studenti delle accademie d’arte ammaliato dalla potente magia visiva. La stessa che catturò l’artista nel 2008, punto di svelamento e partenza. 
Things that Death Cannot Destroy, progetto in itinere giunto al suo nono episodio, nasce infatti dieci anni fa da un’impressione ed evoca una sensazione. Dopo aver assistito a una sublime proiezione di fotografie autochrome presso il Museo d’Orsay di Parigi, Linda decise che proiettare immagini era il metodo giusto e intuì che i vetrini sarebbero sopravvissuti, come le costellazioni e le piramidi, al decadimento – le cose che la morte non può distruggere – e a una certa idea di mondo. 
L’attitudine di Linda Fregni Nagler alla giustapposizione e al mixaggio è in equilibrio tra ironia e ricercatezza e la sua postura per decifrare il mondo è perfettamente simmetrica. come «Per intervenire sulle immagini, bisogna rimanere in ascolto», sono parole che suonano come una folgorante rivelazione fatta da un’artista il cui sogno è di mettere presto in scena una performance con sei proiezioni e tre voci, che sia «come un uragano che duri un’intera giornata». (Petra Chiodi)

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