20 aprile 2019

Il peso della colpa

 
Parla Tania Bruguera, nel segno di una est-ética che possa creare nuovi paradigmi dell’arte partendo dalla necessità del presente, e riattivando un corpo dis-omogeneo dal potere

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Alla seconda edizione di Atlas of Transitions Biennale a Bologna, intitolata HOME, curata da Piersandra Di Matteo e promossa da Ert – Emilia Romagna Teatro Fondazione, l’artista e attivista cubana Tania Bruguera ha realizzato due progetti speciali che hanno percorso trasversalmente una dieci-giorni caratterizzata da una partecipazione larga e meticcia: referendum, performance intesa come “arte di comportamento” che vede l’attivazione di una campagna referendaria urbana sul tema dell’abbattimento dei confini e School of Integration, una scuola temporanea di trasmissione di saperi guidata dalle comunità straniere residenti in città, che propone un capovolgimento di chi ha il diritto di presa di parola. Riportiamo un estratto del talk con l’artista, condotto da Elisa Del Prete e Piersandra Di Matteo, Est-ética e diritto dei migranti – redazionato in collaborazione con Alessandra Saviotti.
Spesso le tue opere affrontano questioni legate a migrazione, potere, censura, temi che in nuce troviamo già tutti sin da Tribute to Ana Mendieta. 
«Io stessa sono una migrante, sono cubana. Il migrante mi pare la figura che oggi merita la nostra attenzione, come nel secolo scorso al centro dell’interesse è stato il lavoratore. Da molti anni lavoro su un’idea di “est-ética”. Il riferimento è all’etimologia, il prefisso latino est, che significa “è”, messo in relazione alla parola etica. Sono interessata alla creazione di nuovo paradigma etico nell’arte, in particolare mi sono soffermata a indagare l’estetica del potere, le sue rappresentazioni e le diverse strategie impiegate. L’ho fatto sia dalla prospettiva della vittima sia impossessandomene come agente. Una dei miei primi lavori, ad esempio, è stata la realizzazione di un quotidiano a Cuba, cosa proibita e oggetto a censura. Ho anche fondato una scuola, ambiti su sui si esercitano le strategie di potere dello Stato, oppure ho lavorato sul mettere alla prova la propaganda del potere, svelandone l’inganno. Per esempio nella performance Tatlin’s Whisper #6 (Havana Version) ho messo a disposizione del pubblico un microfono per 1 minuto, senza censurare nessun intervento».
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Tania Bruguera – courtesy CHEAP street poster art – ph Michele Lapini
Che cosa è successo?
«Nel 2014, 86 persone sono state arrestate, mi hanno vietato di entrare in tutti i musei di Cuba e hanno dichiarato pubblicamente il fatto di non riconoscere il mio lavoro come arte. Si tratta proprio di questo: creare una situazione politica attraverso l’arte. È l’arte che produce conseguenze reali. La forza sta proprio nell’individuare il “momento politico” nel quale è possibile gettare i semi per una azione trasformativa».
…o simbolica come nella performance El peso de la culpa?
«Con questo lavoro mi sono soffermata simbolicamente sulla sottomissione dei Cubani. Coperta da una carcassa di pecora, mischiavo terra, sale e acqua facendone polpette che poi mettevo in bocca. “Mangiar terra” a Cuba significa esser in una situazione disperata. Senza uscita. In questo caso ho proposto un’azione fortemente simbolica che potesse generare una risposta politica attraverso una sensazione corporea, capace di agire a livello empatico».
La dimensione corporea e quella dell’affetto sono al cuore nella tua ricerca.
«La questione del corpo è fondamentale. Il corpo è dove esperiamo il potere e la relazione che abbiamo con quel potere. La realtà è nel corpo e le emozioni sono un forte strumento politico. A Cuba abbiamo avuto il politico più capace nell’emozionare, Fidel Castro (Trump è l’esatto opposto). Arte e politica si incontrano nella sfera degli affetti. Con l’opera Referendum, ad esempio, ho voluto hackerare un altro dispositivo politico, quello del referendum appunto, per stimolare l’immaginazione su un tema politico e provocare un sentimento di reazione. La stessa cosa con il progetto realizzato alla Tate Modern in cui ho lavorato sull’idea di empatia forzata: che cosa succede se incontriamo qualcuno in una stanza molto piccola in cui non si è indotto a piangere (grazie a un composto naturale)? Che relazione stabiliamo con l’altro? Lo abbracciamo? Ridiamo? Si può provare un sentimento al posto di qualcun altro? Spesso le mie opere lavorano sull’empatia. Abbiamo un corpo e con quello sentiamo: il mio corpo, empaticamente, diventa corpo collettivo».
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Via Irnerio 7 | courtesy CHEAP street poster art | ph Michele Lapini
Un corpo che attraverso l’esperienza estetica si riattiva politicamente. 
«Viviamo in un tempo di omogeneizzazione del corpo collettivo, in cui siamo ovunque e da nessuna parte nello stesso momento. Uno degli altri aspetti su cui ho lavorato a Londra è stato proprio questo: possiamo creare qualcosa insieme, attraverso i nostri corpi, anche se non la pensiamo nello stesso modo? Per cui ho ricoperto il pavimento della Turbine Hall con un inchiostro termo-cromico che svelasse l’immagine di un migrante, soltanto attraverso il calore dei corpi di 200 persone stese a terra. Attraverso il corpo voglio assumermi una responsabilità, se uno spettatore mi dice: mi sento come te, allora io mi chiedo come anche altri corpi possano essere coinvolti».
Centrale nella tua ricerca è la dimensione pedagogica, spazio da rinegoziare costantemente nel segno del disapprendere o di nuove configurazioni relazionali?
«Ho capito che per creare un corpo collettivo tramite il mio lavoro avrei dovuto disimparare tutta la mia educazione. Per questo ho creato un lavoro come Catedra de Arte de Conducta a Cuba, dedicato alla creazione di un curriculum artistico alternativo rispetto al contesto formativo accademico cubano. Sul progetto Referendum presente qui a Bologna: non sarebbe bello votare per qualcosa che importa veramente senza essere soggetti alle propagande opportunistiche del momento? Da qui il tema “confine” e la domanda: “Dovremmo abolire i confini?”. Penso che un mondo senza confini sia fattibile: per le merci e per i ricchi lo è già e la tecnologia per farlo esiste già. E allora? Perché se sei ricco/a puoi comprare la cittadinanza in UK e invece se sei ricco/a di creatività ed idee, no? Ancora una volta è una questione politica».
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Est-ética e diritto dei Migranti_Talk con Tania Bruguera_ph Enrico De Stavola
E in che modo invece il secondo tuo progetto presentato a Bologna indaga questo rapporto?
«School of Integration lavora sull’intersezione tra arte e pedagogia. E anche in questo caso il progetto si impossessa di una struttura di potere. Dal 2005 provo a proporre questo progetto. Per lungo tempo nessuno ha voluto realizzarlo, ma ecco in Italia, una città aperta come Bologna lo accoglie per la prima volta come un progetto pilota. Il mio riferimento è alla “transculturazione”, concetto sviluppato da Fernando Ortiz secondo cui quando due culture si incontrano ne producono una nuova. L’idea è quella di attivare una serie di lezioni e incontri per conoscere i saperi delle altre culture. Abbiamo lavorato con associazioni straniere che hanno proposto il tema di ogni lezione per intercettarne conoscenze e pratiche, e diffonderle. School of Integration non esisterebbe senza il dialogo con le comunità e i migranti che sono i veri depositari del progetto, grazie alla presenza di una serie di realtà che già lavorano su questi temi è stato il luogo ideale per iniziare e sperimentare questa scuola alla rovescia».
Quindi l’artista come attivatore di corpi collettivi? 
«Attraverso il mio lavoro artistico cerco di attivare processi di cui le comunità locali possano beneficiare, che si possano autosostenere nel lungo termine attraverso il passaggio di testimone, perché a un certo punto devo lasciare il contesto in cui mi sono inserita. Questo mi fa pensare al mio intervento di artista, quindi da una posizione privilegiata, al servizio del corpo collettivo. All’ultima Manifesta12 a Palermo ho lavorato con gli attivisti No MUOS e non volevo che comparisse il mio nome. Poi mi è stato detto che era importante che ci fosse per ottenere visibilità e trarne un beneficio e ho accettato. E da qui nasce anche la questione: come possiamo utilizzare i nostri privilegi? Credo che non bisognerebbe accumularli, ma condividerli, condividere privilegi e condividere culture, cioè abbattere confini».
Lorenzo Mori

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