29 aprile 2019

Al Castello Aragonese di Ischia, un’installazione per ricordare la storia delle Clarisse

 

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«Lux aeterna luceat eis, Domine, cum sanctis tui in Aeternum quia pius est. Requiem Aeternam dona eis, Domine, et lux perpetua, luceat eis». Nel 1809, le ultime 16 monache Clarisse viventi nel convento fondato sul Castello Aragonese dalla Badessa Beatrice Quadra, vedova d’Avalos, nel 1577, furono costrette ad abbandonarlo a causa delle leggi di espropriazione dei Beni Ecclesiastici emanate da Gioacchino Murat. Le Clarisse si accontentarono di dimorare presso palazzo Lanfreschi nel borgo di Ischia Ponte, a patto che non vi fossero altre novizie, ultimo sciame della violenza anticlericale con cui la Rivoluzione Francese marchiò per sempre il pensiero e la cultura del suo popolo. 
Franco Lancio sceglie di raccontare l’esistenza di queste sedici donne che avevano donato la loro vita a Dio e vissuto in semplicità tra i giardini del monastero, secondo la regola voluta da Papa Innocenzo IV e seguendo i principali voti di castità, povertà e obbedienza, guardando alla vita eterna come loro prospettiva di affermazione e di vita. Ma, qui, se ne narra la prospettiva di morte. 
16 teli sospesi nella chiesetta dell’Immacolata sul Castello Aragonese raccontano la fine di esistenze di cui nulla sappiano nella realtà, sospese come anime vaganti tra le mura del maniero, distaccate da quei corpi che sono stati adagiati per secoli sulle seggiole del piccolo cimitero a raccogliere i loro umori mortali nel sottostante Putridarium. Accadimento tanto macabro quanto velato del religioso sensus mortis, ben espresso anche dall’installazione sonora costituita dallo scroscio continuo dell’acqua e dalle piccole ampolle contenenti dei pesciolini rossi guizzanti, ultimo sospiro di vita che incrocia il movimento dei teli esposti alla luce, cui fa da controcanto un perpetuo Lux Aeterna di György di Ligeti, cantato da sedici voci che, pur con la stessa melodia e le stesse parole, creano un armonico contraltare musicale. L’installazione sonora di Giampaolo Vitelli immerge nell’esperienza sensoriale totale con cui la mostra è stata realizzata. Dal ritratto figurato delle monache rappresentate dai teli, di cui ci resta un accenno alla loro vocazione, con l’abito monacale e i loro nomi vergati sopra; alle intuizioni sonore date dallo scorrere dell’acqua, che allude al perpetuarsi nel tempo di uno spazio infinito, che narra la fine inconsueta cui venivano sottoposti i loro cadaveri; fino alla percezione della memoria, aiutati dalle tavole rievocanti i capitoli della celebre Bolla papale di Innocenzo IV sulla regola della vita claustrale. (Anna Di Corcia)

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