30 aprile 2019

A Roma, cento ali bianche e oro di Riccardo Monachesi, per ricordare Antonio Canova

 

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Tra grandi e piccole, sono cento le ali con cui lo scultore Riccardo Monachesi riempie lo spazio Canova 22, in via Antonio Canova 22, a Roma, che sorge nel luogo che fu la fornace del maestro del Neoclassicismo e in cui, secondo quanto annota Francesco Hayez nel 1890, nel suo libro di memorie, «il Canova faceva in creta il suo modello» e poi lo cuoceva. Della sua originale destinazione d’uso, l’antica camera di cottura conserva inalterata tutta la suggestione, con una pianta circolare coperta da un’alta cupola, dotata di un’apertura verso il cielo dalla quale fuoriuscivano i fumi della combustione. 
Un luogo difficile da abitare artisticamente con il linguaggio contemporaneo, che Monachesi sapientemente anima con un frullo d’ali sospese a mezz’aria tra il pavimento e la volta. Sono le ali di “Amore e Psiche”, la scultura che Antonio Canova modellò proprio qui prima di tradurla in marmo, nella iconica versione che tutti conosciamo, conservata al Louvre di Parigi. E “Diverso Amore, Diversa Psiche” è il titolo della mostra aperta il 9 aprile e di cui oggi alle ore 18 c’è il finissage, curata da Gianluca Peluffo, che conclude il ciclo “Fuochi Incrociati. Forze Sciamaniche Fra Spazio Terra e Corpi”, che ha visto alternarsi una staffetta degli artisti: Danilo Trogu, Mara Van Wees e Monachesi, appunto. Peluffo nel suo testo critico parla di «un amore esclusivo ma ecumenico, una psiche come centro dell’individuo, in bilico dentro l’opposizione fra intimità e monumentalità, tragedia personale e dramma collettivo». 
Al visitatore si offre l’esperienza di un momento di sospensione, in cui la scultura vince la forza di gravità e si fa leggera, aerea, trasognata. Le ali che Monachesi moltiplica usando la creta, il materiale privilegiato della sua ricerca, realizzando calchi a partire da uno stesso modello rispondono a un meccanismo tipico della sua produzione, che fa della ripetizione, della serialità e della modularità il suo punto di forza, assecondando un istinto più architettonico che plastico. La creta, smaltata di bianco e impreziosita da pennellate d’oro, stavolta perde però la sua pesantezza terrea e si eleva sulla testa del pubblico, fino a comporre una nuvola disordinata che un movimento d’aria trasforma in un tintinnabulo tanto grande quanto prezioso, con la complicità degli echi che la cupola amplifica. 
Nella smaterializzazione del contemporaneo, i corpi canoviani sono scomparsi e al loro posto restano solo le ali, moltiplicate in un gioco di proiezioni di ombre contro il bianco della volta, che ha preso il posto della fuliggine. A completamento dell’installazione, sono disseminate negli altri ambienti di Canova 22 tre grandi coppie di ali declinate nelle varianti cromatiche del turchese, del cobalto e dell’oro e una serie di monotipi su carta. (Francesco Paolo Del Re)

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