01 maggio 2019

Annunciata la shortlist del Turner Prize 2019. Ecco chi sono i finalisti. Con un’anticipazione a Venezia

 

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Il direttore della Tate Britain, Alex Farquharson, ha annunciato la shortlist di quattro candidati che concorreranno per il Turner Prize 2019, tra i premi più prestigiosi dedicati all’arte contemporanea, riservato agli artisti britannici e, dal 2016, senza più limite d’età. Si tratta di Lawrence Abu Hamdan, Helen Cammock, Tai Shani e Oscar Murillo, a prima vista un quartetto piuttosto equilibrato, rispetto all’ultima edizione che, vinta da Charlotte Prodger, era nettamente sbilanciata in favore della videoarte. Al vincitore vanno 25mila sterline, mentre a ciascuno dei finalisti ne spettano 5mila ma, più che il denaro, in questo caso a valere è la gloria. 
Fondato nel 1984, il premio è considerato un indicatore affidabile per quanto riguarda le tendenze dell’arte contemporanea e non manca di suscitare dibattiti anche molto accesi. Nel 2017, per esempio, fece discutere l’attribuzione a Lubaina Himid, non tanto per l’indubbia qualità della sua ricerca, quanto per la sua età già matura – prosaico e forse anche fuori luogo ma tant’è – rispetto alla tradizione del Turner Prize, fino a qualche tempo fa considerato il premio per eccellenza per artisti in rampa di lancio. L’anno scorso, invece, la diatriba si concentrò sui nomi della shortlist, considerati troppo esili. Insomma, in un modo o nell’altro, si trova sempre l’argomento più o meno giusto sul quale dibattere. 
Quest’anno, poi, le critiche si sono mosse con anticipo. A essere preso di mira è stato uno degli sponsor del premio, l’azienda di trasporti Stagecoach, il cui fondatore, Brian Souter, noto per le sue posizioni oscurantiste in materia di omosessualità. In effetti, questa volta le critiche sembrano essere decisamente più motivate e indicano una certa inversione di tendenza, in area anglosassone, per le politiche di finanziamento, solitamente piuttosto spregiudicate nel giudicare la provenienza dei fondi. Potrebbe essere un effetto della vittoriosa campagna di Nan Goldin contro la famiglia Sackler e la sua casa farmaceutica Purdue Pharma, responsabile della produzione dell’OxyContin e tra le società benefattrici di tantissimi musei londinesi come il Victoria & Albert, la Serpentine Gallery e la National Gallery. 
Insomma, temi da discutere ce ne sono già tanti e la mostra dei finalisti dell’edizione 2019 deve ancora aprire. Lawrence Abu Hamdan, Helen Cammock, Tai Shani e Oscar Murillo esporranno in una collettiva che aprirà il 28 settembre, mentre il vincitore sarà annunciato in diretta tv il 3 dicembre, nel corso di una serata di gran gala che, quest’anno, si terrà a Margate, città costiera che ispirò i cieli di William Turner, artista al quale il premio è dedicato, e dove è cresciuta Tracey Emin, nominata al premio nel 1999 con il suo iconico Bed. Per la cronaca, quella edizione fu vinta da Steve McQueen.
Ma chi sono i finalisti? 
Lawrence Abu Hamdan, nato nel 1985 e originario della Giordania, è stato nominato dalla giuria per “Earwitness Theatre”, la sua personale alla galleria Chisenhale di Londra, oltre che per Walled Unwalled e After SFX, rispettivamente una installazione video e una performance alla Tate Modern. Ha fatto parte di Forensic Architecture, gruppo nominato per il premio l’anno scorso, anche se non è stato coinvolto nello specifico lavoro per il quale il collettivo era stato selezionato. Il suo lavoro è incentrato sugli effetti politici dell’ascolto e del suono, utilizzando vari tipi di audio e di canali, per indagarne la dimensione politica e sociale. In particolare, Walled Unwalled sarà presentata nella mostra della Biennale d’arte di Venezia, a cura di Ralph Rugoff, che aprirà la settimana prossima. Ottimo tempismo!
Helen Cammock è nata nel 1970, da madre inglese e padre giamaicano, e l’anno scorso si è aggiudicata la settima edizione del Max Mara Art Prize for Woman. La sua ricerca è incentrata sui temi dell’ambivalenza e del contrasto, tra immaginario collettivo e individuale, tra ricchezza e povertà, tra potere e fragilità. Predilige il linguaggio delle immagini in movimento, che ibrida alla fotografia e alla scrittura. A convincere la giuria del Turner Prize è stata la sua mostra personale “The Long Note”, presso le gallerie Void, a Derry, e IMMA, a Dublino, sulla storia e sul ruolo delle donne nel movimento per i diritti civili a Derry-Londonderry. Questa estate, il 25 giugno, aprirà un’altra importante mostra alla Whitechapel Gallery. 
Oscar Murillo, nato in Colombia nel 1986, è stato nominato per le sue personali “Violent Amnesia”, a Kettle’s Yard, Cambridge, e al Chi K11 Art Museum di Shanghai, oltre che per la sua partecipazione alla 10ma Biennale di Berlino. Il suo stile pittorico è particolarmente apprezzato da Hans Ulrich Obrist, direttore artistico della Serpentine Galleries e tra i critici più influenti al mondo. 
Tai Shani, nata nel 1976, è stata nominata per la sua partecipazione al Festival di Glasgow nel 2018, per la sua mostra personale “DC: Semiramis”, alla galleria The Tetley di Leeds, e per la sua partecipazione alla collettiva “Still I Rise: Feminisms, Gender, Resistance”, a Nottingham. Shani è conosciuta per le sue installazioni fortemente scenografiche, per le performance e per i film. La giuria ha messo in evidenza Dark Continent, un progetto ancora in corso ispirato a un testo protofemminista del XV secolo, La Città delle Dame, scritto da Cristina da Pizzano, poetessa francese di origini italiane.

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