18 maggio 2019

Senza corrente, senza paura, con tanta energia. A Milano, apre la prima edizione di BienNolo

 

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Ieri, sotto un uggioso cielo grigio fumo di Londra, come se fossimo in pieno autunno, è stata inaugurata la prima edizione di BienNolo, nell’Ex laboratorio panettoni Giovanni Cova, un edificio industriale abbandonato che si sviluppa su circa 1600 mq, di cui 800 scoperti, dove è crescita una vegetazione spontanea, insieme a muffe, erbe rampicanti e pozzanghere d’acqua. Qui manca la corrente elettrica ma le pareti trasudano energia grazie alle opere di 37 artisti, per lo più al di sotto dei 35 anni. 
In via Populi Uniti, al numero 11, dalle 12 alle 20, c’è stato un flusso di persone continuo, curiosi di ogni età, cultura e provenienza, tanti gli abitanti del quartiere, attratti e straniti dall’evento più atteso in questo anomalo maggio: l’inaugurazione della prima Biennale d’arte contemporanea a Nolo, nel distretto a Nord di Loreto piu cool di Milano. 
Questa location della creatività è già nota per RadioNolo, un radiogiornale, il GirNolo, un giro turistico organizzato per le strade del quartiere, il Festiva musicale di San Nolo e, fino al 26 maggio, anche per BienNolo, la cui prima edizione ha il difficile titolo #eptacaideiafobia, ed è curata da ArtCityLab di Rossana Ciocca e Gianni Romano, che da tre anni si occupa di arte urbana, Carlo Vanoni e Matteo Bergamini. I curatori formano un gruppo coeso che condivide la passione per l’arte diffusa e il loro obiettivo è favorire la coesione sociale tra differenti etnie che vivono in questa area metropolitana complessa ma vivibile, per trasformarla in un cantiere aperto della creatività, dove l’arte è strumento da condividere. NoLo è stato il distretto più instagrammato durante le ultime edizioni del Fuori Salone del Mobile e, in particolare lo è stato proprio l’ex laboratorio Cova, aperto al pubblico solo in occasione di eventi, dove si trovano le proposte di opere e oggetti più originali, legati a tematiche ambientali e alla sostenibilità. 
Al titolo ostico della prima biennale d’arte contemporanea milanese ci si abitua subito, se si continua a pronunciarlo come uno scioglilingua, quasi una formula magica di un film di Harry Potter. Il termine deriva da una parola di origine greca e indica la paura del numero 17, una fobia insita nel costume italiano e difficile da spiegare ai tanti stranieri che vivono in questo distretto multietnico. Ecco perché, per l’opening, si è scelto appositamente venerdì 17. Una manifestazione che era sembrata scanzonata ma, in realtà, è decisamente seria – nelle intenzioni degli artisti invitati dai curatori – a declinare le paure in generale, le piccole e grandi fobie che perseguitano il nostro tempo dispotico ma affascinante. 
Il successo di BienNolo conferma che l’arte può ricoprire il ruolo di agente sociale, come un alimentatore di energizzante ottimismo – anche se manca la corrente elettrica – per volontà della ragione e attitudine ironica, soprattutto in tempi nefasti. E quando un progetto è un po’ folle, al di fuori dei parametri istituzionali e apparentemente imprevedibile, il sogno vince su tutto, “sfiga” inclusa. I curatori hanno dimostrato che la determinazione nel perseguire l’obiettivo, con il sostegno di artisti, collezionisti e privati, fa bene all’arte. E si trasforma in un progetto concreto, quando diventa un’azione partecipata e condivisa dalle persone e pensata per la città. 
Così, ieri sera, contro tutte le previsioni meteo e lo sciopero dei mezzi pubblici, il miracolo è accaduto. Nell’ex Cova, erano tutti lì a condividere una mostra davvero imprevedibile, fresca e leggera, anche soavemente critica, che sarebbe piaciuta al Barone rampante di Italo Calvino, a Pippi Calzelunghe e a Gianni Rodari. L’attitudine di questa mostra si rispecchia nelle opere, anche di grandi dimensioni, tutte a loro modo poetiche, intense e alcune strazianti, per lo più realizzate con materiali poveri. Tutte le opere dialogano con l’edificio e così ogni dettaglio può diventare l’elemento scatenante di riflessioni, cariche di contenuti e paradossi. Sta a voi trovarli. Tutte le opere vivono di luce, perché parte dell’edificio non ha il tetto e bisogna armarsi di tempo e di pazienza – oggi anche di ombrello – per scovare qua e là, nei luoghi più reconditi dell’ex laboratorio fatiscente, opere che sorprendono per profondità ed effimera bellezza. 
Tra le altre, fa sorridere la parata di cicche colorate e profumate di Serena Fineschi, con Flowers (VIXI), Trash Series. Incanta il filo spinato di boccioli di rose rosa profumatissimi di oltre 200 metri, The Wall of Delicacy (ode to America), di Giuseppina Giordano. Ipnotizzano le Costellazioni (in cattività) di cactus inchiodati al muro di Carlo Dell’Acqua. E fate attenzione al video che affianca l’opera ambientale che emette un suono inquietante, prodotto da corti circuiti elettrici generati un alimentatore di corrente che sarebbe piacito a Zorio. Spiazzano gli odori concettuali e prelevati nel quartiere dalla Premiata Ditta. Non annusateli ma immaginateli. Giovanni Gaggia ci invita a Sconfinare. Come? Scopritelo vivendo l’opera e l’artista. Sergio Limonta con Solo la bandiera, ci fa riflettere sull’identità dell’Italia, senza retorica e con sagace ironia. Non sbaglia un colpo Adrian Paci, con Il silenzio delle piante, in linea per tematiche ambientali con la Nazione delle Piante di Stefano Mancuso, di scena alla Triennale di Milano. Cercate Pharmakon, di Alessandro Simonini, opera raffinata, d’attitudine filosofica e anche un po’ cinica, con giochi di specchi e di riflessioni. 
È meditativa la Città ideale di Massimo Uberti, noto per installazioni realizzate con tubi bianchi al neon, ospitata in stanza oscurata nel piano ipogeo dell’edificio industriale, in cui centinaia e più lumini posati a terra formano una sforzinda di tensione spirituale. Va vista Apocalisse…21!, di Francesco Bertelè, ai piani alti dell’edificio ma fate attenzione ai gradini! Porteresti poi a casa il Dono di Stefano Boccalini; ci piace vedere questa parola trasformata in un vaso contenete erbe mediterranee e altre piante. Nerita, di Mario Airò, è difficile da trovare ma ne vale la pena.
Occhio alla programmazione, perché fino al 26 maggio sono previsti diversi eventi, tra i quali segnaliamo Mi Abito a BienNolo, un progetto di Fondazione Wurmkos onlus, vincitore del premio “Prendi Parte! Agire e pensare creativo”, a cura Gabi Scardi. E poi performance (25 maggio) nell’ex laboratorio, dove le delizie sono molte e non sempre dolcissime, ma tutte testimoniano di una rigenerazione sociale e umana in corso. E sui muri esterni, a destra e a sinistra del grande cancello una mostra quotidiana di dieci manifesti (un’affissione diversa al giorno, fino alla prossima domenica), che sarà sarà chiusa da Paola di Bello. E se la paura vien pensandola, qui si esorcizza sorridendo con ironia delle proprie fobie, seguendo il fil rouge della mostra, che sembra anche essere: non prendiamoci troppo sul serio! (Jacqueline Ceresoli)
In alto: Massimo Uberti, Città ideale, candele, durata 9 ore. Foto di Fabrizio Stipari. Courtesy BienNolo

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