24 maggio 2019

Alla scoperta dell’Istituto Emilio e Scilla Isgrò di Milano, con una guida molto speciale

 

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È una visita guidata molto speciale, quella in programma sabato, 8 giugno, a Milano, in via dei Martiri Oscuri 5, a partire dalle ore 10.30. Speciale per il luogo, l’Istituto Emilio e Scilla Isgrò, che vede finalmente la luce dopo anni di lavoro. Ma lo è ancor di più per l’annunciato cicerone. Sarà, infatti, lo stesso Emilio Isgrò ad accogliere i visitatori (l’ingresso è libero fino ad esaurimento posti) e a illustrare loro la disposizione delle opere, spiegandone genesi e segreti. 
Aperto per la prima volta in occasione di Milano MuseoCity 2019, lo scorso mese di marzo, l’Istituto non ha mai vissuto una vera e propria inaugurazione, questo perché i fondatori, fin dalla fase progettuale, hanno voluto che il suo luogo dialogasse in modo naturale con il contesto urbano, senza clamori né riflettori. Concepito come un dono alla città, si configura come un luogo aperto allo studio e alla cultura, incentrato sui temi cardine del lavoro di Isgrò: la comunicazione, l’identità, la memoria. 
L’Istituto, strutturato come un’interrotta successione di white cube e di pareti bianche, nelle intenzioni dei due intestatari è nato per assolvere a un duplice compito. Da un lato, quello dell’archivio, ovvero, preservare e diffondere la memoria della cinquantennale attività di Isgrò, tra le più interessanti e complesse del secondo Novecento italiano ed europeo. Dall’altro, quello propriamente museale: raccogliere ed esibire alcune delle testimonianze più rappresentative di quell’attività affinché tutti possano trarne giovamento, non solo una sparuta élite di fortunati collezionisti. Un tentativo di conoscenza e democratizzazione della cultura, dunque, a cui Isgrò tende da sempre, stimolando il pubblico ad una riflessione profonda sull’identità individuale e collettiva, sulle dinamiche sociali contemporanee e sui loro rapporti con la storia della cultura, sia essa quella antica della sua Sicilia o quella recente dei quotidiani o dei rotocalchi. 
Strumento principe della sua analisi è naturalmente la cancellatura, elemento antinomico attraverso cui cela per rivelare, nasconde per preservare, nega per ribadire. Un simbolo, oramai, più che un segno, capace di identificare Isgrò tanto quanto i tagli e le bottiglie rievocano Fontana e Morandi. «La cancellatura – ha detto Isgrò – non è uno stile ma è un linguaggio, o meglio, è un progetto di vita». E di questo suo progetto di vita è ora parte integrante l’Istituto che porta il nome suo e di sua moglie. Non un luogo glamour ma uno spazio destinato alla riflessione e alla ricerca. 
Il percorso, progettato dallo stesso artista, degno dei migliori musei di arte contemporanea, raccoglie circa cento opere che saranno esposte a rotazione. Una serie di capolavori rimasti nelle mani del loro creatore con il preciso scopo di farne dono alla collettività, sottraendo così l’idea alla commercializzazione perché, come ha detto lo stesso Emilio, «la forza delle idee è più forte del mercato». Si parte dalla prima cancellatura del 1964 e si arriva ai lavori recenti, da Mantra siciliano per Madonne toscane (2008) al Seme d’Arancia, ultimissimo approdo dell’artista in termini teorici, nato nel 1998 come omaggio alla sua Trinacria. 
Un percorso che mostra la perspicacia e la coerenza della ricerca dell’artista, anticipando, almeno a livello immaginifico, la grande mostra che Isgrò sta approntando alla Fondazione Cini di Venezia e che sarà inaugurata subito dopo l’estate. Poco o niente si sa eppure già si annuncia come un evento imperdibile. (Carmelo Cipriani)

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