25 maggio 2019

A Casa Emergency, le ferite dell’Afghanistan raccontate dalle immagini di Giulio Piscitelli

 

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«Immagini che tentano di celebrare la forza delle vittime, in un atto di accusa contro una guerra, troppo lunga, troppo normalizzata». Così il fotografo Giulio Piscitelli (Napoli, 1981) racconta l’Afghanistan che, dal 2001, è lo scenario del conflitto tra talebani e governo supportato dalle truppe Nato, prima con la missione International Security Assistance Force, poi con l’operazione Resolute Support Mission. 
Questa è solo l’ultima fase di una guerra che nel 2019 entra nel suo 41mo anno, vedendo susseguirsi, di volta in volta, diverse fazioni e interventi. Un lungo conflitto, che ha lasciato, negli anni, segni indelebili sul Paese: evidenti, nella distruzione portata dagli scontri, oppure latenti, come le mine nascoste nel territorio e gli Ied-Improvised Explosive Devices, gli ordigni esplosivi improvvisati. Ma quello che provocano le armi e la sofferenza che devono sopportare i sopravvissuti, solitamente sono avvolti dal silenzio e dall’oscurità. Si contano i morti, senza conoscerne i nomi e i volti; si citano i feriti negli scontri, ma chi ha notizia di qual era la loro vita fino a quel drammatico istante? 
Giulio Piscitelli porta alla luce queste ferite, i volti, i corpi e i nomi delle vittime. E li avvolge in un bianco che sottolinea l’innocenza di chi è stato colpito improvvisamente: mentre giocava con il suo aquilone nel campo coltivato dal padre, come Hamed (11 anni) oppure, semplicemente, mentre dormiva nel letto della sua camera, come Noorahad (12 anni). 
“Zakhem” – titolo della mostra fotografica in esposizione a Casa Emergency di Milano fino al 9 giugno -, in Dari, vuol dire “ferite”, che vengono rappresentate nelle immagini in due modi: nel momento del soccorso e dell’intervento chirurgico cui sono sottoposte le vittime nei centri chirurgici di Emergency a Kabul e Lashkar-gah, nell’Helmand, e nel dittico formato dalla foto della persona ferita, accostata all’immagine dell’oggetto che l’ha colpita. Proiettili rimasti perfettamente interi oppure ordigni, mine e razzi andati in mille pezzi, provenienti non solo dai talebani ma anche dai militari che dovrebbero difendere la popolazione o, addirittura, da entrambi i fronti, secondo la testimonianza diretta di Piscitelli, raccolta nel catalogo della mostra. 
I suoi due viaggi in Afghanistan, al fianco di Emergency, hanno permesso di indagare il rapporto tra le vittime e la guerra che si insinua nella vita quotidiana, portando nelle sue immagini la necessità di testimoniare la sofferenza ma anche la cura fornita dai medici delle strutture create da Emergency, dove, inoltre, viene formato e inserito il personale locale. L’associazione è presente in Afghanistan dal 1999, curando da allora quasi 6milioni di persone ed era l’unica organizzazione internazionale operativa sul luogo, nel 2001, allo scoppiare dell’ultimo conflitto, tuttora in corso. 
Come ha affermato Gino Strada, chirurgo e fondatore di Emergency: «C’è chi fabbrica e usa armi per distruggere esseri umani e c’è chi cerca di rimetterne insieme i pezzi». Di un Paese, di una popolazione e di un racconto in cui finalmente vengono poste al centro le persone e il loro diritto alla vita. (Annamaria Serinelli)

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