01 giugno 2019

bolle e ceramica

 
Non si ferma l’interesse al contemporaneo di Montelupo Fiorentino. Tour tra due mostre, a cinque anni dalla nascita della Fondazione Museo del paese toscano

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Il piccolo comune fiorentino di Montelupo è celebre in tutto il Mediterraneo, sin dal tardo Medioevo, per la produzione di ceramica, terracotta e vetro e per la varietà di colori utilizzati: verde ramina e bruno manganese, blu cobalto dell’Umanesimo, giallo dell’oro moresco e il cosiddetto “rosso di Montelupo”, misterioso e alchemico. 
In tempi recenti, la cittadina ha deciso di dare nuova linfa al suo patrimonio artigianale con un progetto e un cantiere; “Sculture in città” e “Materia Montelupo”. Entrambi promossi dalla Fondazione Museo Montelupo, in 5 anni hanno permesso l’avvicendarsi di moltissimi artisti contemporanei che hanno realizzato sculture site-specific disseminate in strada (Gianni Asdrubali, Bertozzi e Casoni, Loris Cecchini, Ugo La Pietra, Hidetoshi Nagasawa, Lucio Perone e Fabrizio Plessi) oppure che hanno consolidato, in un’operazione sinergica di scambi e contaminazioni con le maestranze e imprese locali, la pratica del cantiere d’arte e della residenza d’artista. Sotto la sapiente guida del ceramista faentino Carlo Zauli, le Ceramiche Artistiche il Giglio, per esempio, si sono confrontate con Chiara Camoni (Piacenza, 1974) nella realizzazione di oggetti al tornio su dimensioni e scala industriale. Vasi rivestiti da due smalti a base di cenere di tradizione cinese e vasi-sculture a doppia faccia che richiamano, per la mancanza di un punto di vista privilegiato e per l’uso di archetipi, le 6 sgargianti stele in terracotta e maiolica dipinte di blu, giallo e ocra di Ugo La Pietra (Pescara, 1938) che incorniciano la piazza del Museo della Ceramica. 
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Crespina raffigurante resurrezione dei Morti. Montelupo 1575-80, Brescia, Complesso di San Salvatore e Santa Giulia
Del resto, come racconta la seconda sezione della mostra “Di tutti i colori”, ora inaugurata al Palazzo Podestarile, le produzioni ceramiche contemporanee di Montelupo hanno vissuto fasi di ampio respiro e creatività, soprattutto grazie all’uso del colore, ma non solo. Anche i rapporti con i Buyers americani, specializzati nell’impacchettamento (confezioni e depliant) e nella vendita oltreoceano, furono indispensabili. Negli anni ’50/‘60, le principali manifatture, che sono Bitossi Ceramiche (in collaborazione con Ettore Sottsass), Luciano Mancioli (con cui l’ungherese Eva Zeisel realizzò i prototipi Belly Button Room Divider) e le Ceramiche Artistiche Fanciullacci, si cimentano sia con uno stile strettamente legato alla contemporaneità sia con uno veramente moderno, sempre attuale, come ci spiega Marina Vignozzi Paszkowski, curatrice (insieme ad Alessandro Mandolesi) della mostra e dell’archivio della Manifattura Bitossi. i Ceramisti collaboravano con i designer e gli artisti, mentre gli imprenditori, per lo studio delle materie prime, con i chimici e gli ingegneri in una trama di saperi che permetteva un altissimo grado di sperimentazione. Nasce così la celebrata serie “Rimini Blu” della Bitossi o il design Pop, tutto colori e linee, degli anni ’80 di Matteo Thun per Memphis Design. 
Coscienza storica e sfida, intesa come ingegno e innovazione, sono i tratti salienti dello spirito di Montelupo.
Se la ceramica è vecchia quanto l’uomo, le bolle di sapone sono un gioco che dura da secoli senza mai mutare. Ce lo dimostra “Bolle di sapone – forme dell’utopia tra Vanitas, arte e scienza”, esposizione appena inaugurata alla Galleria Nazionale dell’Umbria che, per la prima volta, dedica alla bulla saponata un percorso tematico di 60 opere tra il Cinquecento e la contemporaneità, con prestiti importanti da istituzioni nazionali ed internazionali, pubbliche e private. Tutto nasce da un sogno e poi un libro (“Bolle di sapone. Tra arte e matematica”, Bollati Boringhieri, 2009) di Michele Emmer, matematico, studioso e regista, figlio di Luciano Emmer, noto per i suoi documentari d’arte e per i caroselli degli anni sessanta. 
L’allestimento, che come sottolinea il direttore della Galleria Nazionale Marco Pierini, è “il più riciclato che si potesse immaginare”, perché riutilizza parti di altre mostre secondo un principio di rigenerazione etica, esalta le connessioni interdisciplinari tra pittura, matematica, fisica, architettura, e persino cinema e pubblicità all’interno del panorama iconografico delle bolle di sapone. La mostra si lega anche alla storia del territorio grazie al suo partner principale nonché mecenate, Antonio Campanile, manager di SACI Industrie S.P.A che da quasi cento anni produce, per l’appunto, saponi artigianali. 
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Orciolo da farmacia, Fine XIV secolo, Montelupo, Museo della Ceeramica
È proprio alla diffusione del sapone in Europa che si deve l’inizio del viaggio della bolla di sapone attraverso la tela nei dipinti del 1500 di ambito nordico, nello specifico l’Olanda del Secolo d’Oro. Allegoria della Vanitas e Memento Mori, la bolla seduce i pittori (tra i tanti Jan Bruegel il Giovane, Karel Dujardin e Hendrick Goltzius) in malinconiche e raffinatissime composizioni di nature morte, teschi, clessidre e Homo Bulla, puttini o fanciulletti più moderni che, soffiando il sapone attraverso una cannuccia, richiamano metaforicamente la caducità dell’esistenza e la fragilità umana. Non solo i pittori, la bolla cattura anche gli scienziati, come Isaac Newton raffigurato da Pelagio Pelagi (“Isaac Newton scopre la rifrazione della luce”, 1827) su precisa commissione del collezionista bresciano Paolo Tosio, nell’istante in cui scopre il fenomeno del colore sulle lamine di sapone. 
Il colore è, come per la ceramica di Montelupo, uno dei motivi principali della fascinazione esercitata dalle bolle di sapone sugli artisti dell’epoca fino a tutto il XX Secolo (Man Ray, Giulio Paolini e gli illustratori di Affiche pubblicitarie), nonostante le difficoltà di resa tra trasparenza e vivaci cromatismi. Accade nella bolla (“Bolla di sapone”, 1927) con cui gioca la rubiconda e paffuta bambina raffigurata dal Cagnaccio di San Pietro, in cui i riflessi cangianti e variopinti assimilano alla perfezione il tono gioioso dell’intero quadro. Oppure nel “Autoritratto con bolle” (1900), seppur con meno vigore e spensieratezza, in cui il pittore espressionista Max Beckmann osserva teneramente un gruppetto di bolle che si libra sopra la campagna tedesca.   
Il gioco delle bolle pulsa, finalmente, di vita. 
Petra Chiodi

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