05 giugno 2019

Sfogliando gli spazi visionari di Luca Gilli. Presentato il volume sul Musée d’arts di Nantes

 

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La fotografia instaura relazioni tra interno ed esterno, tra luoghi che esistono e non esistono, in cui lo sguardo soggettivo dell’autore diventa l’opera, intrecciando visioni e racconti, tra micro e macro storie. Se la luce, nell’arte della fotografia, è il medium che configura visioni soggettive plurime, quella di Luca Gilli è la dimensione sospesa del dubbio, riconoscibile per evasione dal realismo fotografico e inclusione dello spazio astratto. La sua è una scrittura luminosa, surreale, lattea, diafana, quasi abbacinante, che trasfigura lo spazio e paradossalmente lo annulla. 
Gilli, classe 1965, dopo la laurea in Scienze naturali e attività di ricerca per l’Università di Parma, dal 2004 si dedica all’oggettività del falso fotografico, con la proposta di infraspazi immobili, immaginati da Georges Perec, dove tutto inizia e finisce nello stesso istante. Tale punto zero della visione si racconta in un piccolo libro dai grandi potenziali espressivi, da collezionare per tutti i cultori di fotografia come linguaggio aperto a imperiture ri-definizioni di estensioni spazio temporali stranianti. 
Gilli, discepolo di Luigi Ghirri, non disdegna contaminazioni pittoriche con il realismo magico e perturbante di Felice Casorati e con la metafisica di Giorgio Morandi, mescola documentazione ed evocazione in soluzioni visive stranianti. Il volume Musée Apres (Vanillaedizioni), a cura di Matteo Bergamini, nasce in occasione della documentazione fotografica del cantiere del Musée d’art di Nantes, dal 2014 al 2017, con l’obiettivo di mostrare, più che l’architettura in sé nel processo di edificazione, il luogo della visione, lo spazio-quadro come schermo di intrecci possibili tra reale e immaginario, dove non tutto è come sembra. 
Sophie Levy, Direttrice e conservatrice del Musée d’arts di Nantes, nel testo pubblicato in catalogo evidenzia come e perché, nel lavoro di Gilli, si attui un gioco visivo, una sfida tra l’autore e lo spazio per ritrovare il luogo esatto dello scatto, con il fine di rimettere tutto in discussione. Dal micro al macro, Gilli trascende il realismo dello spazio fotografico, seppure riconoscibile per alcuni dettagli formali, lo spazio museale si inscrive in una dimensione di luce abbagliante. Alcune immagini mettono in scena tracce di un passato sotteso, come la panca di velluto, le aste per appendere i quadri, il pavimento, in cui primeggia il biancore di grandi spazi, muri di un’architettura mentale, in cui i volumi, le linee, le superfici cromatiche di ogni singolo oggetto sembrano “scolpire” il luogo della percezione dello spazio, che diventa, nel musée après, la sostanza del vedere, presenza e assenza insieme. 
Questa anomala documentazione in cui tutto rimane per lo più indecifrabile, evoca l’essenza dello spazio museale senza definirla, richiama la sua funzione di mostrare allo spettatore esperienze di conoscenza, riflessione e attitudini di sguardi soggettivi degli artisti che non rappresentano il mondo ma lo presentano con nuova sensibilità e introspezione. 
Delle fotografie di Gilli non si deve parlare e non occorre spiegarle, sembrano all’apparenza facili ma, in realtà, con poetica leggerezza, sono complesse anche dal punto di vista esecutivo e formale. Nelle sue immagini, si esplora il potenziale espressivo dell’innesto misterioso tra luogo e sguardo, capace per sensibilità e attitudine di crere identità visive silenti, sacrali , durature, enigmatiche e surreali perché contestualizzano l’atemporalità dell’arte. 
Chi volesse attraversare, oltre che sfogliare, può visitare anche la mostra in esposizione fino al 9 giugno, all’Università Bocconi nell’ambito di BAG-Bocconi Art Gallery, con altre fotografie di Gilli. (Jacqueline Ceresoli)

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