16 giugno 2019

Site specific, per Basilea

 
Attualità dei nostri tempi, e dell’arte. Una riflessione su “Parcours”, il progetto più pubblico di ArtBasel 2019, che porta i progetti di venti artisti a confronto con la città

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Durante Artbasel, quest’anno, l’itinerario di Parcours, curato da Samuel Leuenberger, è composto dai lavori di Lawrence Abu Hamdan, Paweł Althamer, Mathis Altmann, Pierre Bismuth, Jos de Gruyter & Harald Thys, Matias Faldakken, Dan Graham, Laurent Grasso, Irena Haiduk, Camille Henrot, Caitin, Keogh, Germaine Kruip, Ad Minoliti, Antonio Obà, Reto Pulfer, Hassan Sharif, Ron Terada, Daniel Turner, Rinus van de Velde, Cathy Wikes. 
Gli artisti invitati presentano le loro opere in spazi esterni o interni del centro storico. Le venti opere site-specific selezionate rappresentano la complessità variegata del panorama attuale della ricerca artistica. Tuttavia possiamo reperire, malgrado espressioni singolari diversificate, alcuni elementi comuni non tanto nella loro apparenza ma nel riferirsi, senza retorica all’attualità dell’arte e dei nostri tempi. È forse questa una caratteristica essenziale espressa attraverso singolarità di linguaggio e usando tutti i media e i materiali antichi e recenti a disposizione.
Il titolo dell’opera di Lawrence Abu Hamdan, Wissam, è il nome pronunciato dalla voce che si sente in sottofondo. L’artista ha raccolto vicino ad un albero uno dei dittafoni lasciato sul suolo. In Libano, le bande magnetiche delle registrazioni sono utilizzate nei campi per allontanare uccelli e insetti che si avvicinano agli alberi. Nell’installazione, l’artista li ha riprodotti e ridimensionati. Ai veri ma esili rami sono appese foglie di plastica, arance e clementine. Quest’ultime ingannano il visitatore per la loro finta naturalezza. Ricorda l’antica leggenda raccontata da Plinio che narra una competizione fra due pittori attorno alla capacità di rappresentare la natura ingannando sia gli uccelli che l’occhio umano.
I tessuti svolazzanti, con tracce di pittura, e i merletti appesi da Reto Pulfer nella mansarda del Museo della cultura malgrado la loro leggerezza sembrano alludere a quello che resta dell’abitato dopo l’allontanamento degli abitanti. Alcuni prendono casualmente la forma di una tenda, accentuando il sentimento di precarietà. Dopo Gordon Matta Clark, l’arte continua a narrare la storia degli spostamenti umani forzati.
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Mendes Wood DM Antonio Obá © Art Basel
In mezzo ad una grande stanza bianca dalla luce zenitale, giacciono a terra due sagome di tela. Sono tombe sulle quali Cathy Wilkes ha appoggiato qualche ramoscello di rose; prima in fiore, sono rimasti solo i gambi con le spine. Due personaggi piccoli che assomigliano a extraterrestri sono disposti davanti e sembrano guardare nella direzione delle sepolture. La differenza delle dimensioni fa pensare al passaggio di generazione. L’evocazione della morte – della pittura e dell’umanità? – sembra coniugata ad una rinascita, su un altro pianeta. In una stretta intersecazione fra l’attualità dell’arte e quella della storia umana.
In Munsterplatz, si notano le forme insolite di tre sculture in bronzo di Camille Henrot anche se in una di esse sono chiaramente riconoscibili tre punti interrogativi Dancing Circle di Dan Graham: ampio ma leggero grazie alla trasparenza del, vetro, ricorda quello installato a Parigi durante la FIAC 2017 in Place Vendôme. Su una delle facciate della piazza Pierre Bismuth ha installato dieci bandiere intitolate Abstractions. Anche qui la storia della pittura s’intreccia quella dell’attualità. Ogni tela associa i colori di due paesi lontani: la Svizzera con il Burundi, la Norvegia con l’Eritrea, etc. Fra i vari colori, quasi tutte le tele contengono un elemento nero. 
Nel campo sportivo adiacente alla piscina, Matias Falbakken ha installato due opere molto diverse ma che hanno in comune l’uso del materiale da costruzione ed il riferimento alla tradizione della pittura. I mattoni disposti sul suolo evocano la fase iniziale o al contrario quello che resta di una costruzione. Sulla parete, come su un foglio da disegno, l’artista ha tracciato su un piano composto da piastrelle di rivestimento, il viso di un bambino privo di bocca – l’artista danese sa che in latino infans significa «non parla»? – e lo schizzo di quattro mani. La nostra cultura artistica ci porta ad associarli ai frammenti di muro, agli schizzi e i putti presenti nella pittura italiana fin dal medioevo. 
Nell’ambiente totalmente buio creato da Germaine Kruip, campeggia in alto sul fondo, tale un’apparizione, una scultura luminosa. È vietato avvicinarsi. Il fruitore ha l’obbligo di fermarsi a due passi dalla soglia in modo da essere totalmente avvolto dall’oscurità. È quindi impossibile identificare il materiale utilizzato. Ricorda, in una versione radicale, la storia delle opere luminose negli ambienti oscuri, da Lucio Fontana a Olafur Eliasson.
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Perrotin Laurent Grasso © Art Basel
Le opere di Laurent Grasso, Studies into the Past, coniugano iconografie e tecniche pittoriche tradizionali con quelle recenti. Si riconoscono alcuni segni affini, dalla rotondità dei cerchi, al sole oscurato, alla bolla d’aria (video Unlimited) agli occhi di onice. Un occhio scolpito nel marmo è appeso tra le facce di Minerva del Museo delle antichità. Un’allusione all’occhio dipinto sullo sfondo di un autoritratto di Poussin? L’artista non nasconde il suo interesse per la pittura classica quando dipinge quadri che sembrano copie ottocentesche del Rinascimento italiano, introducendo una nota di incoerenza stilistica per via di cerchi e bolle d’aria. In un’altra sala Jos de Gruyter & Harald Thys, premiati alla Biennale di Venezia, hanno appeso in mezzo ai reperti egiziani tre sagome di juta che rappresentano due uomini e una donna. Il titolo, Die Schmutzigen Puppen con Pommern si riferisce a pratiche di potere medioevali. L’opera di Mathis Altmann si sviluppa su tre piani. In alto un personaggio finto riproduce le sembianze di Rem Koolhass, vestito di nero, seduto con la mano sul mento.  
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Galerie Crèvecoeur Ad Minoliti © Art Basel
Nella chiesa diventata museo l’artista brasiliano Antonio Obà ha ricostituito un’opera altrettanto suggestiva disposta come un trittico composto da uno specchio e due dipinti su fondo d’oro. Davanti, giacciono dentro casse in piombo, pezzi neri che da lontano sembrano carbone. L’associazione immediata è con l’opera di Kounellis, ma avvicinandosi si scopre tutt’altro: sono pezzi di legno bruciati in mezzo ai quali si notano statuine di metallo che hanno resistito al fuoco. Non possiamo non pensare all’incendio che nel 2018 ha distrutto il Museo Nazionale di Rio di Janeiro. Sul tavolo che ha funzione di altare un bicchiere a forma di calice accanto ad una bottiglia di alcool. Una denuncia graffiante dei sostenitori dell’attuale governo? L’installazione di Rinus Van de Velde racconta in modo emozionante fatti recenti. Al suolo, il tetto dissestato di una casa affonda nell’acqua nera, sovrastato da una sagoma che coniuga la pietra con la nuvola. Si riferisce all’alluvione drammatica di un villaggio. La costruzione solida non ha resistito all’invadenza dell’acqua piovuta dal cielo. Continua a gocciolare e quindi a compromettere lentamente la tenuta dell’edificio. Se una casa solidamente costruita può diventare così precaria, come può salvarsi chi attraversa il mare su un’imbarcazione di fortuna? 
Più ludici nello stile ma graffianti nell’iconografia la scultura di Pawel Althmer e gli interventi di Caitlin Keogh che decora la parte verticale della scalinata del teatro, i dipinti e il personaggio fiabesco di Ad Minoliti. Espressi in modi molto diversi li accomuna l’uso di un vocabolario figurativo, fiabesco che solitamente appartiene alle illustrazioni della letteratura per l’infanzia.
Michèle Humbert

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