18 luglio 2019

MEDEA È TRA NOI

 
Abbiamo incontrato “il mito” a bordo di un furgoncino, per le strade di Torino. Imparando che oltre le tragedie legittimate dalla società, si può nascondere una rinascita

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La capitana Antigone. Pochi giorni fa il primo quotidiano nazionale, il Corriere della Sera, titolava così la storia della capitana Carola Rakete, con qualche soddisfazione dei professori di liceo che hanno trovato “applicazione” nel reale di una delle tragedie che insegnano alle classi annoiate.
Ricordo ancora quando il professore chiedeva in una delle sue lezioni durante il corso di Filosofia e Letteratura del teatro in Accademia il caso di una Antigone contemporanea. La sorella di Cucchi, la mamma di Aldrovandi, la sorella di Uva sono un esempio, e alcuni studenti l’hanno capito.
Ma in quale personaggio della mitologia possono rispecchiarsi le migliaia di donne che hanno abbandonato famiglia, paese, cultura per cercare futuro e fortuna in Italia, affrontando, tra terra e mare, dolore e sacrifici? Nel silenzio della nostra politica, solo quando avviene una tragedia o scoppia l’emergenza, i riflettori vengono puntati sul queste vite al margine. Solo allora anche i giornali trovano lo spazio per raccontare la storia di una madre che si getta in mare per sacrificare la vita di suo figlio, o al contrario, disposta a uccidere i propri figli per amore di un uomo che la rinnega. Come nella tragedia di Medea.
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Medea per strada, Marcello Norberth
Un furgone allestito sul retro con otto posti a sedere: si parte dal Teatro Astra di Torino al penultimo giorno della 24ma edizione del “Festival delle Colline Torinesi”, siamo in sette, l’autista comincia a girare per la città, alla prima curva si ferma e carica una ragazza. Lunghi capelli neri, pelle bianchissima e trucco pesante, si accomoda sull’unica poltroncina rimasta vuota, spalle all’autista, di fronte agli altri passeggeri. «Chi siete? Da dove venite?», chiede con un forte accento rumeno e con tono pacatamente isterico. Cerca un dialogo per abbattere una quarta parete che non esiste, mentre i palazzi torinesi scorrono fuori dai finestrini sotto una fredda pioggia estiva in un viaggio per simboliche arterie della città. Inizia così Medea per strada, spettacolo progetto itinerante del Teatro dei Borgia che dal 2016 sta girando tutta Italia.
Le risposte degli spettatori sono laconiche. La nuova passeggera con un sorriso apparentemente naturale e con voce rassegnata si sfoga o si giustifica, in cerca di comprensione: giovanissima, è stata costretta ad abbandonare il piccolo paese della campagna rumena dove era cresciuta per cercare fortuna in Italia, il paese dei sogni dove segue un bel ragazzo dai folti capelli rossi incontrato al di là dell’Adriatico, suo amante e magnaccia, che la mette incinta. Lei lo ama, i suoi grandi occhi intensi ti penetrano mentre lo descrive, si annullano mentre si spoglia, sognano quando pensa ai figli, si agitano quando concepisce la vendetta. Il racconto, iniziato come una chiacchierata tra sconosciuti costretti in un piccolo spazio, vive un’intensa trasformazione grazie soprattutto alla ipnotica Elena Cotugno che dopo una lenta scalata verso il climax emotivo, abbandona i panni di una seducente Medea per indossare quelli di una Lara Croft, spogliandosi dei suoi vestiti, della sua faccia e della sua vita. Una rapida trasformazione che diventa significante della messa in scena e della tragedia. 
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Medea per strada, Marcello Norberth
Il Teatro dei Borgia, con la drammaturgia di Elena Cotugno e Fabrizio Sinisi e la regia di Gianpiero Borgia, accende i riflettori su una Medea contemporanea che vive ai margini della nostra comunità: lo spettatore è partecipe, confessore e complice involontario, e alla fine incapace di scindere il bene dal male perché anch’egli colpevole. La morte dei figli assume in questa riscrittura della tragedia greca i connotati di una liberazione, una rinascita dopo una vita di dolore legittimata dal silenzio della società. 
Giulia Alonzo

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