31 gennaio 2003

Noi Puffi siam così: comunisti!

 
Una burla? Una profonda analisi socioantropologica? Un esperimento mediale o un'operazione artistica in rete? Un sito analizza per filo e per segno lo scopo del famoso cartone animato: indottrinare l'occidente. Al credo rosso...!

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Il potere, in tutte le sue forme, si è reso conto immediatamente della forza pedagogica e propagandistica di cinema e cartoon prima, del mezzo televisivo poi. In questo senso, i media hanno raccolto l’eredità di altre arti, ma decuplicandone la forza nel momento stesso in cui si sono posti come strumenti di comunicazione di massa. Il cartoon in particolare si è dimostrato uno strumento efficacissimo, proprio perchè, anche quando non si propone come mezzo di propaganda esplicita (come i cartoni americani degli anni ’40), semplicemente costruendo un mondo, trasmettendo valori, disvalori e stili di vita, riesce a plasmare a livello inconscio le mentiPrimo Piano Puffi comunistigiovani degli spettatori rendendo quasi implicita l’adesione, nell’età adulta, ad un determinato paradigma politico. Difficile dire quanto i cartoon della Disney, di Hanna & Barbera e della Warner abbiano contribuito alla diffusione del modello americano nel mondo. Con l’epopea di racconti dedicati a Disney, campione di tradizionalismo e di maccartismo anticomunista, i Wu Ming hanno sottolineato acutamente le componenti di tradizionalismo, arrivismo sociale, capitalismo bieco e segregazione razziale che formano il sostrato morale delle storie di Paperino e Topolino. Basterebbero a dimostrarlo un paio di frasi del Paperino ribelle di “Canard”, quando descrive il deposito (‘Ho sempre odiato l’arroganza di quel cassone con la “$” sbattuta in faccia alla città’) e commenta l’inettitudine dei tre nipotini (‘Certo, stronzetti, nel “Manuale delle giovani marmotte” non c’è niente sulla lotta di classe!’).
Il fronte avverso, ovviamente, non poteva essere da meno, e i media sono stati uno dei campi di battaglia preferiti della guerra fredda; e se è vero che il realismo socialista e la statuaria monumentale si sono rivelati arme piuttosto spuntate, i ‘Protocolli dei Savi di Sion‘ hanno dimostrato, ai tempi dello zar, una capacità di manipolazione mediatica non da poco. Così almeno sostiene Cristian Fineschi, che vede nei protocolli l’illustre precedente di un’altra operazione comunicativa, l’indotrinamento delle nuove generazioni occidentali ai principi del comunismo attraverso un cartoon: i Puffi.
Il mondo inventato da Peyo, come spesso capita in fumetti e cartoni (basta guardare il villaggio felice di Asterix, o il mondo subacqueo della Sirenetta), ha in effetti i caratteri di una piccola utopia, un modello di vita armoniosa. Ma Fineschi, che ha realizzato il sito nel 2000 insieme all’amico Christian G. Guiggiani, non si ferma a questo. Sostiene non solo che la loro società ripropone fedelmente il modello bolscevico, ma arriva a identificazioni come quella che vede in Grande Puffo il barbuto Marx e inPrimo Piano Puffi comunisti Quatrocchi l’intellettuale dissidente Trockij (che non a caso viene sistematicamente buttato a calci fuori dal villaggio). Inoltre, il cartone non sarebbe una semplice incarnazione degli ideali di sinistra di Peyo, ma una precisa strategia di indottrinamento delle masse per preparare un futuro asservimento. C’è di che divertirsi, e nel complesso la storia ricorda più una sceneggiatura di Carpenter (‘Il seme della follia‘), in cui i comunisti han preso il posto degli alieni, piuttosto che una storia vera. Eppure, Cristian sembra esserne convintissimo, e lo dimostra con tutta una serie di dettagli sparsi qua e là non solo nell’ipertesto sui puffi, ma in tutto il suo sito personale: figlio di una famiglia ungherese rifugiata in Italia, Cristian disegna se stesso come un ragazzo di destra, visceralmente anticomunista, contradaiolo (è senese) e misogino (il pezzo sulla ‘teoria della gangia‘ è anch’esso da antologia), fanatico ma anche timoroso delle ritorsioni che potrebbero seguire alle sue deliranti teorie (i comunisti sono dappertutto).
Primo Piano Puffi comunistiBeffa mediatica o capolavoro di paranoia? La scelta è difficile, anche perchè i più illustri precedenti nella direzione della beffa (penso a Luther Blissett) non si possono allineare certo alle stesse posizioni. Le beffe di Luther erano disseminate di punti deboli, lasciati ad arte a maggior discredito di chi abboccava; inoltre una beffa non ha paura di inventare false prove che rafforzino la sua tesi, mentre Cristian è pieno di cautele (quando avrebbe potuto inventare rapporti tra Peyo e le gerarchie sovietiche, o produrre documenti inesistenti); infine, una beffa gioca coi media, approda sui giornali, fa sensazione, mentre il suo articolo è rimasto a lungo su un sito personale (non sarà che questo articolo faccia parte del gioco?) Tutto ciò indebolisce la beffa, e rafforza l’idea che sia veramente convinto di ciò che dice: rendendo pertanto l’eventuale beffa ancora più efficace.
Così, l’intero lavoro barcolla come un funambolo sul filo sottile tra verità e finzione, beffa mediatica e terrorismo culturale. Risultando godibile anche a chi, come me, non la pensa come lui, nè sui puffi nè tantomeno sulle gange.

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domenico quaranta

[exibart]

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