02 febbraio 2004

resoconto artefiera 2004 Arte Fiera 2004

 
Grazie ad una congiuntura favorevole, un paio di scelte azzeccate ed un atteggiamento propositivo giunto, insapettatamente, proprio dal padiglione del moderno, l'inossidabile appuntamento fieristico italiano archivia una buona edizione. E prepara il restyling del 2005…

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Da più parti provengono i segnali di una lenta e progressiva ripresa del mercato dell’arte, agevolata dall’incerta situazione economica internazionale. Il 2003 ha fatto registrare ottime performance per gli italiani Modigliani, Marino Marini, Savinio, Afro, Fontana, Manzoni, Pino Pascali, Boetti, e Transavanguardia, aspettando Merz, la Scuola di Piazza del Popolo e Nicola De Maria. C’è perfino chi ipotizza che, almeno per il mercato dell’arte, l’introduzione dell’euro potrebbe alla lunga portare dei vantaggi.
Sull’onda di questo trend, da più parti sono arrivati segnali di una buona ripresa delle vendite anche ad Arte Fiera.
A latere della kermesse bolognese si è anche discusso, sulle questioni di carattere legislativo legate al mercato dell’arte; tutti gli operatori sono d’accordo sulla necessità di ridurre l’aliquota Iva del 20% che penalizza il mercato rispetto al resto d’Europa e di ridiscutere la norma recente che regola l’esportazione delle opere realizzate da oltre cinquant’anni. E se qualcosa, almeno, è stato fatto a favore della gestione ai privati di siti e musei (art. 33 della Finanziaria 2002) e per la deducibilità delle erogazioni liberali a favore di enti, fondazioni e associazioni per la realizzazione di progetti culturali (L. 342/2000), è anche vero che la poca chiarezza di questi provvedimenti e gli eccessivi sbarramenti, hanno prodotto risultati inferiori alle attese.John Jsaacs
Insomma situazione di sostanziale empasse, con un unico risultato eclatante: tolti i risultati delle aste, in Italia non c’è nessuno in grado di monitorare il mercato dell’arte che, in causa di quanto detto sopra, rimane in larga parte sommerso. Si vende, non si vende, collezionismo su, collezionismo giù: ognuno può dire la sua, che tanto nessuno ha i numeri per smentire. Ci si chiede a chi giovi questa situazione, probabilmente a nessuno.
Giunta alla 28a edizione, Arte Fiera ha avuto un buon successo di pubblico (36.500 visitatori) nonostante l’allarmismo creato dai media per il tempo inclemente; 250 gallerie all’appello, un paio di eventi espositivi di richiamo; soprattutto quello dedicato ai giovani artisti inglesi, Tales of the City, sommato allo speciale invito rivolto alle gallerie londinesi, si è rivelato vincente, bilanciando il disastroso The Balkans di Szeemann, ennesimo episodio di colonialismo culturale all’occidentale. E’ storia vecchia che la ribalta occidentale sia concessa agli artisti dell’est europeo a patto che corrispondano ai luoghi comuni che li vogliono politicizzati, sfigati per le guerre, impegnati con materiali poveri e tecnologie a basso costo. Della serie, anche il mondo dell’arte ha bisogno di lavarsi la coscienza. Basti un esempio per rendere l’idea: l’artista Venera Kastrati (un cognome, un programma) spiega come nell’infanzia vissuta sotto la dittatura avesse imparato ad abbassare la testa e riconoscere le persone dalle scarpe. Ci si chiederà quale opera geniale tale premessa potesse generare; ecco dunque, foto di scarpe (gosh!).
Chiusa l’edizione 2004, la fiera bolognese prepara per il 2005 un restyling da tempo invocato (anche da Exibart): certo è per ora un aumento dello spazio espositivo, per il resto dovremo aspettare. Comunque sia… era ora!

IL GIRO DEGLI STAND

Il contemporaneo (pad. 31-32-34)

Si comincia con la bella sorpresa della personale di Gianni Piacentino da Rino Costa, un classico che sorprende per la freschezza e modernità delle sue macchine speedy.
Tony OurslerLavori nuovi per Marco Neri e Cingolani da Fabjsaglia, buoni entrambi senza clamori, e Franco Soffiantino anticipa la personale di Roni Horn che ha inaugurato il 31 gennaio alla BLM di Venezia.
Da Tucci Russo casca in terra l’installazione di Jan Vercruysse, facendo da pendant al solido frantumato di Caravaggio, ma sono interessanti le 4 fotografie con audio dell’emergente Paolo Piscitelli, dal titolo In cieco-il respiro delle grotte.
Niccoli fa la personale di Jorge Eielson mentre lo Studio La Città gestisce il grande stand con molti David Simpson (scuderia Panza di Biumo) e un albero di sfere di Jacob Hashimoto. L’artista si compiace, fotografa a lungo quel suo gran baraccone.
Alain Le Gallard tira fuori dai magazzini dei piccoli Basquiat e Sprovieri espone, accanto a Kounellis, Nan Goldin, Canavacciuolo e Puppi, l’opera più brutta mai vista di Pintaldi, una piramidona con occhio, accompagnata da un video-documentario autopromozionale dell’artista all’opera.
Un paio di novità da Perugi, il nuovo acquisto Laura Scottini, con le sue gambette di pupazzi su tavola e un cartone animato di Fausto Gilberti, fatto girare su televisorino Brionvega: operazione intelligente.
Da D’Ascanio ci sono i pallidi volti del cinese Zahng Xiaogang e i lavori di Spagnulo, belli ma tutti uguali e presenti in troppe gallerie (6).
Lipanjepuntin fa il solito stand molto fashion, con nero cavallone rampante che si gonfia all’ingresso, orribile opera di Albano Guatti, ma anche un bel video di Mashedo (Tossico della luce), le nuove Pieces di carne di Gligorov, teschini dark inediti di Chiesi e un’originale opera del giovane Nicola Toffolini, sorta serra che, autonomamente, regola clima, luce e rasatura di colture d’erba.
Il sempre ottimo Cecchini fa un bubbone sul muro che si mangia una sedia da Continua e De Carlo, al solito, porta un po’ tutti, Bartolini, Gary Hume, Armleder, Spalletti, Pivi, Marisaldi, ecc. ma almento stavolta li espone quasi decorosamente.
La 20-21 ha nelle tele di Nicky Hoberman un bell’asso della pittura emergente, ma fa fare al ciccione di John Isaacs lo specchietto per le allodole e funziona… classico esempio di opera da fiera.
Punta sull’Arte Povera Christian Stein, con Paolini, Merz e Calzolari, su Baj Giò Marconi, con una personale di opere dagli anni ’60 fino a prima della morte.
Chicca da Curti Gambuzzi, due piccoli Erik Parker, altro nome nuovo della pittura internazionale, da Sperone invece i divertenti pupazzoni di Tony Matelli (la moda è venuta dopo di lui) e preziosi Delvoye (qui i marmi, da La Giarina i tappeti, sull’onda del successo della mostra-scandalo di Prato).
Cardi punta sulla premiata ditta Bertozzi & Casoni, ma ha dei gran bei dittici pop di Tom Sachs oltre ai soliti De Maria e Schnabel. La produzione in serie di quest’ultimo segna il passo rispetto ai vicini Vik Muniz d.o.c.
Buren, in causa della mostra recente, un paio di Mendoza nuovi e una grande tela di Chiasera da Minini, dove però si fanno apprezzare soprattutto il restyling di un vecchio lavoro della Mezzaqui (cartoline-souvenir con le finestre ritagliate da vedere in controluce) e i piccoli divertissement di Simeti, ritagli di scene di guerra dai quotidiani, dipinti di bianco, che lasciano intravedere solo la foto.
Giovani emergenti da Pari e Dispari, con Salvatori, Naciarriti, Spaggiari e Contin, e da Arte e Ricambi, con video dell’artista fotografo Galvani e pitture dellaPierluigi Calzolari videomaker Delfina Marcello. Alla francese Danysz dobbiamo una delle poche cose di pittura digitale di questa edizione; e la personale di Icon Tada è pure dignitosa.
Buono stand per Marella, con un’installazione ambientale di Luca Francesconi (Torno subito parte II) e una sfilza di belle foto: di Li Wei e Weng Fen le più belle.
La Biagiotti scommette anche su Nico Vascellari e fa bene, perché questo le carte buone le ha, con quel suo immaginario gotico e punk, vedremo se riuscirà a giocarsele come si deve.
La personale di Bertozzi & Casoni in corso in galleria, ha fatto sì che Raffaelli potesse disporre di belle opere dei principini della ceramica ma si fanno ammirare gli acquerellini di Oursler, che restano un buon surrogato per chi non possa permettersi un’installazione dei suoi inquietanti personaggi come quella esposta da Lisson.
La ricerca di Bonelli nel campo della pittura qualche perplessità l’ha sempre suscitata, ma stavolta bisogna ammettere che il grande Cingolani esposto è di qualità, l’alligatore a terra di Corrado Bonomi divertente e perfino Paul Beel mostra una vena inattesa. Davide Di Maggio (Mudimadue) rischia sui pezzi pittorici di grande dimensione, ma gli va bene perché l’opera esposta da Nicola Verlato alla Biennale di Praga, Enduring freedom (cm. 250 x 270), prende il volo e non è l’unica.
Ho denti nuove e mutande ci dice Carasi alludendo alle operine autobiografiche della giovane Favero ma si sente aria di rinnovamento nella galleria, con tanta pittura (il ritorno di Pastorello e le buone prospettive di Mario Rizzi.
Bagnai porta la novità delle plastiline e cera su tavola di Francesco Sena, ripulisce i Dormice, divenuti più intimisti, come già fece con Paolo Leonardo. Migliorati i primi, peggiorato il secondo, d’obbligo la morale non tutte le ciambelle… ; più dissacrante che mai invece la premiata ditta russa Dubossarsky-Vinogradov (già in Biennale), che mettono in scena una vera e propria orgia da Poleschi che raschia il barile di Montesano chiedendogli un trittico di Berlusconi che si commenta da sé.
A proposito di critiche: sembra che, dopo la nostra recensione di Artissima, siano fischiate le orecchie a Nicola Ricci, fatto sta che stavolta il pezzo esposto di Giusi Pallara è perfino quello pubblicato da Exibart.
Tra le gallerie tedesche, sono divertenti le donne con i polli in testa nelle foto di Suzanne Wollowski da Hoen; per la pittura, spiccano Hollenbach con Daniel Sturgis e Contemporary Fine Arts, con i classici Tal R e Cecily Brown.
Capitolo a parte per il nucleo di gallerie londinesi, da cui provengono ottime proposte soprattutto nel campo della pittura e del disegno, con Susan Hamston da Paul Stolper, Charles Avery e Simon Williams da Percy Miller; ma il vero fulmine a ciel sereno è Christian Ward da MW Project, con i suoi splendidi paesaggi kitsch a volo d’uccello di sapore orientaleggiante. Chiudiamo con la Lisson, che tra Oursler, Lewitt, Serra e Cragg, mette pure due pezzi di punta di Casebere.

Il moderno (pad. 33)

A voler essere obiettivi, bisogna ammettere che dal padiglione dell’Arte Moderna provengono le più belle sorprese della fiera. Sia come sia (la congiuntura, la scarsa disponibilità di pezzi dei big, la necessità di liquidità, ecc.) si registrano infatti una generale volontà di riscoperta di artisti trascurati e il coraggio di sostenerli con delle vere e proprie retrospettive.
Un Piero Ruggeri dagli anni ’60 ad oggi da 2000 e 900, una personale di La Cognata da Forni, una di De Luigi da Ravagnan, l’accoppiata Guccione e Ferroni da Trentasette (ma il secondo fa il bis da Montrasio), Egino da Burgos, Scialoja a Lo Scudo, Hartung (brutti) e Matthiueu da Sapone, Francese al Centro Steccata, Saetti alla 56.
Loris CecchiniIl Ponte si porta dietro gli italiani migliori: Casorati, Carrà, Schifano, Festa, Adami, Turcato, De Pisis, Rosai e Ceroli, tutti di buona qualità. Meeting rimette insieme, potenza del mercato, Santomaso e Vedova, Marescalchi porta il suo Cavallo e cavaliere di Marino Marini (cm. 210 x 129,6, anno 1951) e una piccola Natura morta di Picasso datata 1918/19.
Guidi d’annata da Astorre (paesaggi degli anni ’20 e ’40), come pure i Sironi di Cafiso (dal ’20 al ’50). Sassu su tutto per Gioacchini, Boetti e Schifano da Poleschi. Flora Bigai porta gli avanzi di Wesselmann, Contini quelli di Guidi (ma l’uomo che legge del ’27 è un banchetto reale). Riunisce il gruppo COBRA Biasiutti, con Jorn, Appel e Alechinsky, espone bei disegni Tonelli, tra cui una Corazzata di Sironi del ’16, e le ceramiche di Fontana. Bello il Franco Angeli del ’65 de L’Elefante, come pure gli smalti degli anni ’60 di Schifano da Zonca, che ha anche le polaroid di Araki.
La Galleria d’Arte Maggiore si permette il lusso di vendere un Utrillo del 1948, di esporre animali da cortile la Forni, quelli di Quentin Garel.
Belli i cretti bianchi e neri di Burri del ’70 da Mazzoleni ma anche i Casorati del ’18 e del ’38.
Un bel collage di Ceroli, del ’68, è un pezzo interessante alla De Foscherari, come pure il minuscolo quanto strano ritrattino di Ida di Musi, del ’48. L’Incontro punta su Baj e Rotella, ma non sulla qualità. Del secondo, meglio i 3 pezzi degli anni ’50 all’Anfiteatro, dove c’è pure uno splendido monocromo del ’60 di Schifano, uno specchio di Pistoletto e un’opera di Paolini.
Brutto e imbarcato il Basquiat acrilico e cibacrome su legno di Tornabuoni; di fronte, i Bachi da setola di Pascali più spelacchiati che la storia ricordi ce li ha Il Chiostro.

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alfredo sigolo


Art has a point. Arte Fiera 2004
Dal 22.I.2004 al 26.I.2004
Bologna, viale della fiera 20;
info 051 282257 e 051 6374019; e-mail artefiera@bolognafiere.it


[exibart]

3 Commenti

  1. Della serie, anche il mondo dell’arte ha bisogno di lavarsi la coscienza. Basti un esempio per rendere l’idea: l’artista Venera Kastrati (un cognome, un programma) spiega come nell’infanzia vissuta sotto la dittatura avesse imparato ad abbassare la testa e riconoscere le persone dalle scarpe. Ci si chiederà quale opera geniale tale premessa potesse generare; ecco dunque, foto di scarpe (gosh!).

    in realtà il lavoro di venera era più sottile, con un filo di “polemica”. nel senso che non si tratta di foto di scarpe, ma le immagini fotografano in realtà e quasi sempre un unico tipo di scarpe: i comuni e celebri anfibi dr. martens a punt bassa. questo per dire che il regime, prima, imponeva un’ugualianza, che oggi in pieno post-regime neo-capitalista questa ugualianza al clichè rimane sotto, per così dire, mentite spoglie.

  2. bellissimo il lavoro di frank vezzoni alla galleria de carlo.credo che un giovane artista come questo fara’ strada. complimenti

  3. “Basti un esempio per rendere l’idea: l’artista Venera Kastrati (un cognome, un programma)”

    Beh…un critico che inizia una recensione in questo modo mi sembra davvero alla frutta…
    una caduta di stile davvero notevole!

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