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06
maggio 2008
Visitare la mostra di Nahum Tevet (Kibbutz Massilot, 1946; vive a Tel Aviv), artista israeliano alla sua “prima volta” in Italia, è entrare nella mente di una persona che si sente vivere in un ambiente assolutamente “futuribile” (come nello studio di urbanizzazione di Rio de Janeiro di Le Corbusier) e che è altrettanto affezionato ai materiali e alla sensibilità novecenteschi.
A conoscere la lingua ebraica, lo spiazzamento è dietro l’angolo: Nahum significa infatti “comodo”, mentre Tevet indica il mese in cui è previsto il digiuno in ricordo dell’inizio dell’assedio di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor. Da quest’annotazione si passa a situazioni e visioni che hanno il merito di rendere reale e presente l’avvicinamento delle parti lontane, l’“assedio comodo” da parte dell’artista nei confronti dell’univocità del pensiero.
Nelle sale Panorama del museo romano sono ospitate opere totemiche dell’attività di Tevet, che portano il visitatore di fronte alla problematica della definizione dello spazio abitativo-architettonico. Un assemblaggio di parti di mobili, listelli di legno e mezzelune in plastica che conduce in un viaggio introspettivo, all’interno della vita familiare e dell’unità abitativa. Il contrasto e la riflessione partono da questo micro-cosmo per rappresentare le architetture metropolitane contemporanee, con i loro azzardati skyscraper, con i loro molteplici punti di vista e con i punti di fuga prospettici appena accennati. In una critica tanto articolata ed elaborata (che ha portato Tevet a essere apprezzato in manifestazioni internazionali quali Documenta e le Biennali di São Paulo e Venezia), ogni singola parte della composizione è determinante e determinata, in primis quella cromatica.
Nell’installazione Untitled (1995-96), proveniente dalla collezione del Magasin 3 di Stoccolma, la scelta delle gamme di colori da utilizzare è caduta su quella che comprende il marrone, il beige, il bianco e il nero, quasi a voler dare maggior peso al materiale ligneo in sé piuttosto che alla vernice che lo riveste, dimostrando attenzione verso l’interior design del Nord Europa. Dieci anni di elaborazioni e riletture portano Tevet alla seconda grande installazione presente in mostra, importata per l’occasione dal Frac Bretagne, Take Two (2005). L’idea fondamentale rimane la stessa, cambiano lo schema compositivo e la scelta dei colori: organizzazione binaria dell’abitato intimo/metropolitano e colori che hanno una gradazione tenue, nei quali la saturazione sembra costantemente ribassata.
Le opere di taglia minore si differenziano dalle installazioni per una maggiore concentrazione della materia (anche grazie all’uso di colori scuri) e da una semplificazione del tracciato compositivo: meno oggetti, più densità. Resta il gusto per la sovrapposizione degli elementi, per la ricerca di vedere al di là dell’ulteriore angolo proposto dall’opera e, soprattutto in No, No (2007), per l’indagine sul senso che proviene dal rapporto tra spazi fisici, aerei e psicologici, similmente a quanto proposto nella poetica del compianto scultore spagnolo Eduardo Chillida.
A conoscere la lingua ebraica, lo spiazzamento è dietro l’angolo: Nahum significa infatti “comodo”, mentre Tevet indica il mese in cui è previsto il digiuno in ricordo dell’inizio dell’assedio di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor. Da quest’annotazione si passa a situazioni e visioni che hanno il merito di rendere reale e presente l’avvicinamento delle parti lontane, l’“assedio comodo” da parte dell’artista nei confronti dell’univocità del pensiero.
Nelle sale Panorama del museo romano sono ospitate opere totemiche dell’attività di Tevet, che portano il visitatore di fronte alla problematica della definizione dello spazio abitativo-architettonico. Un assemblaggio di parti di mobili, listelli di legno e mezzelune in plastica che conduce in un viaggio introspettivo, all’interno della vita familiare e dell’unità abitativa. Il contrasto e la riflessione partono da questo micro-cosmo per rappresentare le architetture metropolitane contemporanee, con i loro azzardati skyscraper, con i loro molteplici punti di vista e con i punti di fuga prospettici appena accennati. In una critica tanto articolata ed elaborata (che ha portato Tevet a essere apprezzato in manifestazioni internazionali quali Documenta e le Biennali di São Paulo e Venezia), ogni singola parte della composizione è determinante e determinata, in primis quella cromatica.
Nell’installazione Untitled (1995-96), proveniente dalla collezione del Magasin 3 di Stoccolma, la scelta delle gamme di colori da utilizzare è caduta su quella che comprende il marrone, il beige, il bianco e il nero, quasi a voler dare maggior peso al materiale ligneo in sé piuttosto che alla vernice che lo riveste, dimostrando attenzione verso l’interior design del Nord Europa. Dieci anni di elaborazioni e riletture portano Tevet alla seconda grande installazione presente in mostra, importata per l’occasione dal Frac Bretagne, Take Two (2005). L’idea fondamentale rimane la stessa, cambiano lo schema compositivo e la scelta dei colori: organizzazione binaria dell’abitato intimo/metropolitano e colori che hanno una gradazione tenue, nei quali la saturazione sembra costantemente ribassata.
Le opere di taglia minore si differenziano dalle installazioni per una maggiore concentrazione della materia (anche grazie all’uso di colori scuri) e da una semplificazione del tracciato compositivo: meno oggetti, più densità. Resta il gusto per la sovrapposizione degli elementi, per la ricerca di vedere al di là dell’ulteriore angolo proposto dall’opera e, soprattutto in No, No (2007), per l’indagine sul senso che proviene dal rapporto tra spazi fisici, aerei e psicologici, similmente a quanto proposto nella poetica del compianto scultore spagnolo Eduardo Chillida.
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fausto capurro
mostra visitata il 10 aprile 2008
dal 14 marzo al 18 maggio 2008
Nahum Tevet
a cura di Danilo Eccher
MACRo – Museo d’Arte Contemporanea di Roma
Via Reggio Emilia, 54 (zona Nomentana-Porta Pia) – 00198 Roma
Orario: da martedì a domenica ore 9-19
Ingresso: € 1
Catalogo Electa
Info: tel. +39 06671070400; fax +39 068554090; macro@comune.roma.it; www.macro.roma.museum
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