11 novembre 2010

fiere_resoconti ArtVerona 10

 
La fiera scaligera giunge alla sesta edizione con lo spirito del passista, confermando la crescita d’un modello che comincia ad assumere un’identità credibile. Sullo sfondo, le macerie della crisi. Che fa ancora sentire i suoi strascichi...

di

Sia chiaro: che l’uscita dalla
crisi debba coincidere con una sorta di restaurazione della golden age del
mercato è tutta da dimostrare. Anzi, la sensazione è piuttosto di una complessiva
revisione. Lo scotto subito comporta oggi una certa diffidenza, l’esigenza di
maggiori garanzie e tutela, la ricerca di valori accreditati. In quest’ottica
il fenomeno della crescita indiscriminata delle fiere d’arte e del
presenzialismo a ogni costo non solo sembra essersi arrestato, ma indicare una
sorta di arretramento. Perciò, mentre le fiere maggiori riprendono quota, le
piccole sembrano penalizzate da un collezionismo più cauto e selettivo.

Mai come oggi la scelta di un
modello chiaro e qualificato, il perseguimento (o aggiornamento) di un progetto
di qualità diventano scelte per la sopravvivenza. Sotto questo profilo il
lavoro sottotraccia condotto da ArtVerona
e le scelte fatte in tempi non sospetti potrebbero alla lunga rivelarsi
lungimiranti: un appuntamento che punta a fotografare il mercato nazionale del Novecento
storico e del contemporaneo e che quest’anno si è giocata un asso importante,
ovvero il dispiegamento di un paziente lavoro di dialogo con i gangli del
tessuto culturale locale.

Risultato? 15 eventi
collaterali, dentro e fuori la fiera, che hanno arricchito e animato il
programma del lungo weekend: dall’anteprima della Biennale di Alessandria alla selezione dal Videoart Yearbook 2010
curato da Renato Barilli, dal progetto OnStage
di Andrea Bruciati per artisti under 30 senza galleria alla sezione della
costellazione di spazi indipendenti affidata a Cristiano Seganfreddo. E poi gli
appuntamenti rodati del focus sull’arte dell’Est, il Premio Aletti, quello Icona,
l’installazione di Zhang Huan, la
mostra di Gary Hill e via dicendo.

Una strategia chiara (e persino
innovativa) che tradisce la volontà di rappresentare la filiera dell’arte nella
sua complessità, anche a costo di togliere qualche riflettore alle gallerie,
restituendole però a un ruolo chiave nella ricerca sul territorio.

È ipotizzabile che nei prossimi
anni si imponga una revisione e un aggiornamento dei modelli tradizionali delle
fiere, che segua i cambiamenti di un mercato che si fa sempre più articolato.

IN GIRO PER GLI STAND

Se il giudizio dovesse dipendere
dall’ingresso, la bocciatura sarebbe istantanea: una desolata spianata di
cemento accompagna il visitatore dando una sgradevole sensazione di
approssimazione e sufficienza che non corrisponde allo spirito della fiera.

La passeggiata tra gli ampi
corridoi muove obbligatoriamente dalle gallerie di casa, a cominciare da BoxArt,
che conquista il Premio Aletti per la fotografia grazie al camaleontico cinese Liu Bolin la cui spettacolarità rischia
di mettere in secondo piano una ricerca tutt’altro che scontata. Dal canto suo,
La Giarina rilancia la mostra in galleria del giovane Daniele Giunta: tra pittura e
installazione, una ricerca suggestiva e a tutto tondo sulla natura. Lo Scudo
affianca ai nomi storicizzati come Gastini
e Nunzio i dipinti a tecnica
mista di Alessandro Roma, giovane
promettente da qualche tempo trasferitosi a Berlino.

Fama Gallery
raccoglie l’eredità di Byblos senza sostanziali variazioni di programma e Studio
La Città
si conferma soprattutto nella qualità dei lavori storici, come
dimostra un bellissimo angelo barocco in ceramica di Fontana.

La genovese Michipasto,
nata nel 2008, promette di accompagnare il collezionista alla ricerca del
bello, tra arti visive e arti applicate, oltre le mode e i condizionamenti di
mercato; tra le proposte, una serie di carte, da Sol LeWitt a Tobey, da
Solakov
a Fautrier, alcune
interessanti.

Da Antonella Cattani una
grande tela del bolzanino Max Rohr
ricorda come alle volte la vita giochi brutti scherzi, facendoti nascere
pittore a pochi chilometri da una terra, la Germania, dove la pittura gode
ancora di considerazione. Per la stessa galleria, Emanuela Fiorelli porta a casa il secondo dei due Premi Aletti
messi in palio.

2000 & Novecento è solo
una delle tante (Artesilva, Carlina, Dep Art, LAC, P420,
Marchese) a esporre a Verona le tele bucate di Dadamaino, candidandola come possibile riscoperta nell’ambito del
gruppo creatosi intorno alla rivista Azimuth.
Nell’ordine, dopo Manzoni, Castellani e Bonalumi, il mercato potrebbe riservare ora per l’opera di
quest’artista (mancata nel 2004) qualche sorpresa.

Lo stand della mantovana Bonelli
non si discosta dal solito gusto ampolloso. Da segnalare il piccolo excursus
dedicato a Nicola Verlato e, sulla
parete esterna, il grande Green Sweater
(2009) di Kim Dorland che è
finalmente e davvero un’opera convincente.

Tra le rare presenze straniere,
la viennese Kro Art presenta i boschi su legno disegnati da Marika Vicari mentre la trentina Arte
Boccanera
offre un programma ben articolato che va dal video Cross Broadway della giovane Valentina Miorandi, in cui i passanti
diventano involontari personaggi immaginari, ai paesaggi organici di Carlos Ceci fino al grande arazzo
lunare di Michele Lombardelli,
realizzato ingigantendo il dettaglio di un’altrui opera. Una quasi
concittadina, la roveretana Paolo Maria Deanesi, oppone ai paesaggi pop
di Antonio De Pascale, critica al
consumismo onnivoro di cose e persone, le manipolazioni del giovane Jacopo Mazzonelli.

Il Premio Icona 10 va a Luca Pozzi presentato da Astuni:
un’assegnazione che non sorprende per un nome caldo del panorama nazionale;
discutibile è semmai la scelta di un’opera vecchia, di una serie per di più già
molto esposta nelle fiere italiane.

Tra le occasioni di investimento
più importanti, un cenno va allo spettacolare polittico di Marco Tirelli del ’97 che campeggia da Otto, studio
geometrico sull’ombra in 12 pannelli, ma sono numerose le opportunità offerte
anche da Ca’ di Fra’. Non solo le classiche fotografie di Araki e Giacomelli ma anche le opere di Mario Nigro degli anni ’50, gli Agnetti e, su tutti, rare carte e collage di Boetti degli anni ’60 e primi ’70.

Tra le sorprese invece merita di
essere citato un grande feltro museale d’epoca di Robert Morris per la milanese Osart, mentre da Six
spuntano piccoli ma interessanti lavori di Meese
e Bock.

Una sensazione generale è il
ritorno all’interesse verso le opere storiche considerate minori, in testa
disegni e multipli, specie per gli artisti attivi nel terzo quarto del Novecento;
un mercato complesso ma anche realmente in grado di dare soddisfazioni, a patto
di tutelarsi al meglio sul fronte dell’autenticità e della provenienza.

Conclusioni: la fiera cresce ma
alcune lacune permangono. Alzare l’asticella della qualità complessiva degli
operatori è un primo nodo da risolvere; ciò può esser fatto evidentemente a
patto di mettersi in condizioni tali da poter esercitare una rigorosa
selezione. Un secondo nodo critico è scansare il rischio di diventare la fiera
della Padania giacché rari sono gli operatori partecipanti operanti a sud di
Firenze. Per far ciò la fiera deve non solo crescere in credibilità ma offrire
opportunità alternative e qualificanti rispetto alla concorrenza. Una proposta
indecente: perché non fare ciò che nessuno ha fatto fino ad oggi, ovvero
coinvolgere le case d’asta?

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