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Tony Cragg – In 4D. Dal fluire alla stabilità
Merano arte presenta nel 2011, in occasione del decennale dalla fondazione, un progetto espositivo sull’artista britannico Tony Cragg, uno dei maggiori rappresentanti della scultura contemporanea. In mostra, per la cura di Valerio Dehò, circa quaranta opere in vetro, bronzo, acciaio, plastica, legno, trent’anni di produzione dell’artista, dagli anni ’80 a oggi.
Comunicato stampa
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Merano arte presenta nel 2011, in occasione del decennale dalla fondazione, un progetto espositivo sull'artista britannico Tony Cragg, uno dei maggiori rappresentanti della scultura contemporanea. In mostra, per la cura di Valerio Dehò, circa quaranta opere in vetro, bronzo, acciaio, plastica, legno, trent'anni di produzione dell'artista, dagli anni ’80 a oggi.
La varietà dei lavori esposti testimonia la dimestichezza di Cragg con linguaggi anche molto differenti, benché accomunati dalla scelta della scultura come mezzo espressivo.
La mostra è una coproduzione di Merano arte con la Fondazione Musei Civici di Venezia in collaborazione con la Galleria Michela Rizzo, Venezia.
Il catalogo è curato da Silvio Fuso, John Wood e Valerio Dehò ed edito da Marsilio.
L’esordio di Cragg negli anni Settanta si pone a cavallo fra scultura ed altri mezzi espressivi, come il collage o l’installazione e si contraddistingue per l’utilizzo di materiali di scarto, domestici o da costruzione, che assembla in grandi composizioni, in cui assume particolare importanza la dimensione cromatica. La riflessione sulla materia plasmata dall’uomo si sviluppa in opere che col tempo divengono sempre più imponenti nelle dimensioni e minimali nell’estetica. Lavora materiali eterogenei come legno, ferro, bronzo e fibra di vetro che trasforma in forme monumentali, mai prescindendo dal suo principale interesse, ovvero l’indagine di oggetti che non esistono nel mondo naturale ma che tuttavia lo riflettono e ne trasmettono informazioni fondamentali. Di qui diventa per Cragg fondamentale il confronto con la forma, che traduce in un’analisi puntuale del potenziale moto dei corpi nello spazio e che riporta nella sua scultura le innumerevoli possibili mutazioni della materia originaria e le sue infinite possibilità di evoluzione e trasformazione. Centrale il confronto con lo spazio, in cui le forme si inseriscono fluidamente, non rimanendo chiuse in se stesse, ma dialogando e rapportandosi con esso. La forte materialità della sua scultura e la sua essenziale e dichiarata laicità non impediscono a Cragg di evocare nelle sue opere una dimensione profondamente filosofica e spirituale, benché di una spiritualità plastica che si pone come alternativa alla natura tanto quanto alla realtà dell’uomo, vincolato solamente alle leggi dell’utile. (Tony Cragg, 2005).
Tony Cragg, ovvero Anthony Douglas Cragg, nasce nel 1949 in Liverpool ed è considerato uno dei maggiori scultori della contemporaneità. Ha esordito con opere realizzate con oggetti plastici di scarto combinati con materiali naturali. Dopo numerose mostre di grande spessore, comprese diverse Biennali di Venezia, verso la metà degli Anni '80 Cragg cambia il suo approccio al lavoro, ripartendo dai fondamenti della scultura ed operando sul legno e sul bronzo. Detentore di molti riconoscimenti, tra i quali il premio Turner.
TONY CRAGG
Merano arte | 13 febbraio – 29 maggio 2011
Testo critico di Valerio Dehò, curatore della mostra presso Merano arte, tratto dal catalogo realizzato in coproduzione con la Fondazione Musei Civici di Venezia ed in collaborazione con le Gallerie Michela Rizzo e Caterina Togno, a cura di Silvio Fuso, John Wood e Valerio Dehò (Edizioni Marsilio, Venezia, 2010).
Rodin era modesto davanti alla sua arte. Quando finì il suo Balzac, che resta il punto incontestabile della scultura moderna, disse : “E’ adesso che vorrei cominciare a lavorare”.
Constantin Brancusi
La forma nella mia scultura è percepita più astrattamente. Lo spettatore deve costruire idealmente una continuità (simultaneità) che gli viene suggerita dalle forme-forze , equivalenti alla potenza espansiva dei corpi…Bisogna dimenticare completamente la figura chiusa nella linea tradizionale e dare invece la figura come centro di direzioni plastiche nello spazio.
Umberto Boccioni
Fin dal lontano Turner Price del 1988, Tony Cragg ha dato inizio ad una silenziosa rivoluzione nella scultura contemporanea che consiste in un profondo ripensamento del concetto di classicità, esaltandone la storicità e la continuità con la storia dell’arte, attualizzandone e liberandone gli esiti espressivi. Se all’inizio una poetica d’ispirazione Dada lo portava a confrontarsi con frammenti di object trouvé reperiti dal mondo urbano, si trattava ancora una volta di un debito verso le avanguardie storiche e verso la poetica dello scarto, che però era già inserita in un framework scultoreo ben definito. Il frammento o il reperto richiamava il Merzbau di Schwitters o certe irriverenze duchampiane, ma avevano già una solida struttura e articolazione. Forse proprio la sua formazione legata all’esperienza in fonderia, alla conoscenza della scultura a partire dalla sua tecnica, ha fatto sì che il suo lavoro pur nell’alternanza di fasi e periodi, conservi una riconoscibilità notevole. La sua idea era quella di un confronto a distanza tra le concezioni storiche della scultura e il Novecento, ma anche di una presa di coscienza per cui l’opera, il manufatto, rimane centrale nell’arte. Ogni forma di smaterializzazione deve partire dall’opera stessa, cioè deve mantenersi nei limiti di un epifenomeno dei contenuti e non certo comportare un abbandono o rifiuto del concetto di scultura.
Il suo essere “classico” consiste proprio, da un lato, nel dare una posizione baricentrica al lavoro dell’artista plastico, dall’altro nello sperimentare le possibilità formali in cui può essere articolata la materia. Il gioco infinito degli specchi tra la forma e la materia è, infatti, un elemento che caratterizza la ricerca scultorea, almeno da Rinascimento, e Michelangelo in particolare, in poi. Inoltre Cragg lavora di preferenza su dimensioni molto grandi, “pubbliche”, e anche in questo ha recepito l’idea della scultura come mediazione con gli spazi naturali e architettonici, come sintesi di spazio e creatività, luogo geometrico di incontro tra l’autosufficienza dell’opera e la sua proiezione nell’ambiente. I suoi lavori sempre più imponenti coniugano il minimalismo che caratterizzava i suoi anni di formazione con una nuova monumentalità che è volume e dinamismo nello spazio. Ma anche questa presenza si alimenta di dettagli oltre che di una visione d’assieme sempre potente. Gli enormi blocchi di legno, ferro, bronzo e fibra di vetro non assumono mai la staticità tipica della statuaria celebrativa tradizionale, sono forme in movimento, in trasformazione per cui la massa serve a dare per contrasto energia al movimento. Tendono più che ad essere “forme in moto” piuttosto a rappresentare il “moto della forma” e quindi l’assoluto come teorizzato da Boccioni.
Un ritorno alle radici della scultura consiste non solo nella scelta dell’elemento costitutivo, della materia della composizione, ma anche nell’elaborazione dello stesso, secondo una poetica che ha caratterizzato Cragg come artista mondiale. I lavori degli ultimi venti anni riconoscibili dei cicli delle Early forms e delle Rational being hanno direzionato le sue scelte certamente verso di Rodin e Boccioni o alla colonna continua di Brancusi, accettando la molteplicità delle forme e la loro variazione che nel secondo caso si accentua di antropomorfismo. Questi profili, e ricordiamo certamente il Renato Giuseppe Bertelli del Profilo continuo del duce (1933), sono dei movimenti stratigrafici attorno ad un nucleo, sono degli avvolgimenti, delle torsioni straordinarie. Si accentua e definisce l’organicità delle forme primarie, ma il dinamismo diventa iperbole.
Le sue forme elementari che non si accontentano di restare ferme in uno stato di vita primordiale, ma cercano anche di adeguarsi ad una contemporaneità che è metamorfosi continua, simultaneità di linee di forza, cangianza di proiezioni e di ombre. Le sue sculture si trasformano, evolvono. L’idea fissa dell’artista per il potenziale moto dei corpi lo conduce ad effettuare una serie di esperimenti, quasi galileiani, sulle varie possibilità delle metamorfosi di queste strutture. Tutto accade comunque dentro l’universo della poetica del fare, non vi sono teorie sufficienti a prevenire i risultati. Non vi sono forme chiuse ma solo aperture in cui prevale l’idea di confronto con lo spazio e con la presenza dei materiali che completano e finalizzano l’effetto estetico. Dalle strutture primarie l’evoluzione porta a confrontare l’impostazione classica con un dinamismo barocco, soprattutto nelle Rational being che richiamano le alchimie del Bernini e del Borromini, in cui la tensione e la moltiplicazione dei punti di vista porta ad una complessità di lettura che non si esaurisce mai in poche chiavi di prospettiva.
Ma se questi riferimenti storici risultano distanti, basta ricordare come nella storia dell’arte i secoli scorrono molto più rapidi che altrove. In ogni caso va richiamato il concetto elaborato da Boccioni di mettere al centro dell’opera lo spettatore, che Duchamp amplierà dicendo che “è lo spettatore che completa l’opera”. Le sculture, le sue “forme dinamiche”, incarnano la concezione di un’opera che avvolge chi la guarda in un processo progressivo e continuo, definito e definitivo. La stessa cura personale nella fattura di ogni lavoro da parte di Tony Cragg, da lui spesso sottolineata, sta proprio nella sua volontà di dare risonanza ai minimi dettagli che hanno rilievo proprio nell’avvicinarsi all’esperienza dell’opera, nella sua scoperta per gradi avvolgendola con lo sguardo e la presenza fisica. In un’intervista a Robert Ayer sulla rivista ARTINFO, Cragg ha raccontato questo aspetto della sua poetica di lavoro: “ C’è l’idea che la scultura sia statica, o forse addirittura morta, ma io sento il contrario di questo. Io non sono una persona religiosa – sono un materialista assoluto. E per me il materiale è eccitante e in ultima analisi, sublime. Quando sono coinvolto nel fare una scultura, io sto cercando un sistema di credenza o di etica nel materiale. Voglio che il materiale abbia una dinamica, per spingere e muoversi e crescere”.
Questo è un aspetto rilevante proprio perché l’idea della dinamicità boccioniana delle forme, viene posta in modo laico circa la capacità dei materiali di esprimere qualcosa che li trascenda. Andando oltre all’aneddotica della scultura, è troppo celebre la parabola michelangiolesca della materia inerte invitata a prendere vita, in Cragg vi è la convinzione che la scultura abbia una missione da compiere nella società, nel diffondere il miracolo, tutto umano però, di saper dare slancio e vivacità alle forme. Possiamo anzi dire che l’artista di Liverpool abbia saputo non solo alimentare una scuola inglese di scultura unica nel mondo, ma abbia ridato valore e importanza alla scultura in senso classico, innovativo perché continuativo con il passato.
Questo forse è avvenuto in quanto ha cercato di ripristinare un corretto rapporto con la natura e i materiali. Ha saputo riprendere ad interrogare la materia e a cercare in essa le risposte. E’ questo allora il reale confronto con la natura. Non è certamente la mimesis, ormai distante dalla cultura contemporanea, ma un sentimento profondo di adeguamento alle regole cosmiche, alla sperimentalità delle metamorfosi, alla certezza sempre parziale dei risultati ottenuti. Sperimentare per l’artista vuol dire cercare nuove possibilità, nuove forme, come un botanico cerca nelle foreste o nei deserti nuove forme di vita da catalogare. In questo caso è la creazione in primo piano, e creare vuol dire sempre trasformare, spostare il senso dal compiuto, già fatto, all’ancora in fieri, allo sviluppo, al processo. L’elemento organico, spesso presente nelle opere di Cragg anche a livello di serie e di titolazioni, è una metafora di riferimento ma soprattutto in chiave concettuale. Per lui la scultura è una sorta di crescita continua, non certo spontanea, anche se così deve apparire.
Esiste una tecnica, nel senso di capacità produttiva, anche nella natura? A seguire un filosofo inglese degli anni Trenta come Robin George Collingwood, questo può essere proprio perché vi una sorta d’inconscio dei materiali che si rivela all’artista . Del resto la natura stessa sembra mostrare delle finalità che ogni interpretazione meccanicista occulterebbe. L’artista, lo scultore operano in una sorta di simultaneità tra le proprie finalità e quelle dei materiali. In fondo la sperimentazione è proprio un cercare delle possibilità sopite dentro gli elementi del mondo, tentare di conoscere e far affiorare ciò che è nascosto dentro l’abitudine e la consuetudine a guadare sempre nello stesso modo. L’artigiano esegue un progetto, mentre l’artista elabora una filosofia dei materiali e del fare, riflette sulla teleologia dell’operatività e ne trova le soluzioni.
Anche un solido geometrico semplice come un cubo, può venire interrogato e analizzato nelle sue componenti, ogni forma o sostanza può essere ulteriolmente analizzata e scomposta. Molti suoi lavori anche in legno o in metallo sono costituiti da svariate sottili lamelle sovrapposte che il taglio e la lavorazione compiuta dalle mani dell’artista rendono ora tanto evidenti. Così gli oggetti come i recipienti o elementi meccanici vengono articolati in modo da rivelare la loro natura estetica. Nulla si crea o si distrugge, ma tutto si trasforma. E allora fra torsioni e striature emergono dalle masse e dai blocchi forme che sembravano sopite ed ora si risvegliano. Uno scolpire fatto “per forza di levare e non di porre” ancora una volta nel segno della tradizione e di Michelangelo, ma che non rinuncia al cercare la leggerezza e la trasparenza, cioè l’aria. Sia attraverso un materiale come il vetro, sia attraverso dei fori che alleggeriscono la materia e la fanno permeare di aria, l’essenza di ogni scultura. Anche in questo caso vi è una memoria storica nell’uso del trapano per alleggerire la parti delle sculture in pietra o marmo che avevano bisogno di minore corporeità e peso. Ma dietro c’è veramente la ricerca costante di liberare la materia dal peso fisico, di smentire almeno in chiave estetica, quella gravitazione che ci costringe alla terra o all’opacità della Erde heideggeriana.
Tony Cragg va a liberare delle forze/forme forse preesistenti che contengono una necessità di crescere. Materiali solidi quali il ferro o la pietra sembra plasmabili come se fossero sostanze biologiche. Qualcosa di simile si può avvertire dinanzi alla creatività e imponenza degli eventi naturali, alla contemplazione di una scogliera erosa dal vento, ad una montagna segnata dal tempo e dagli elementi. Le sculture dell’artista inglese sembrano rocce scavate dal vento, pareti scistose spalancate sul passato, strati di memoria della terra che appaiono in un paesaggio. Ma se vi è un elemento naturale che possa identificare e diventare una sorta di logo del suo lavoro è il fuoco. Proprio senso di una forza che brucia e trasforma la materia, nel senso di un dinamismo continuo, di una logica in cui togliere, distruggere ha una finalità superiore e formale che è anima mundi, finalità e logos della vita.
Tony Cragg pur nella sua perfetta laicità più volte dichiarata, o forse proprio per questo, è uno dei pochi scultori contemporanei a dare un senso visivo alla ricerca, alla spiritualità fisica e plastica che può appartenete all’arte, senza mai diventare illustrazione. Capisce anche che l’uomo di fronte alla natura o di fronte a delle manifestazioni artistiche che lo sovrastano, può davvero porsi delle domande che altrimenti apparterrebbero alla filosofia o alla religione. Le sue sono opere che per dimensioni e complessità, ma questa mai fine a se stessa o semplice decorazione, lasciano attoniti il pubblico. Un concetto un po’ desueto come quello del Sublime può nascere proprio dall’incapacità umana di seguire fino in fondo il percorso dell’opera che rispecchia la volontà dell’artista. Le forme in metamorfosi, in espansione e in crescita portano a queste conseguenza. Il bello legato alla forma della rappresentazione di qualcosa, è connesso con l’idea della limitazione: la forma determina l’oggetto delimitandolo, e questa limitazione è determinata dall’intervento dell’intelletto. Il sublime, nella versione kantiana, invece è legato alla forma dell’illimitatezza, implica il riferimento alla ragione in quanto facoltà dell’incondizionato. Se la contemplazione del bello si traduce nel godimento immediato, il sublime genera un emozione in cui l’animo è astratto e respinto nello stesso tempo. Il sublime non appartiene agli oggetti ma è una facoltà dell’animo superiore ad ogni misura dei sensi. In questo modo è come scambiare i ruoli tra arte e natura senza confonderli, ma producendo un senso attuale in cui il piacere e l’indefinito producono un effetto estetico, che è anche spirituale di trovarsi al cospetto di un evento che giunge al limite della nostra comprensione. Il piacere si unisce ad un certo timore, al senso di una finitezza fisica, umana a cui la bellezza concede tempo ma che non può risolvere. In questo Cragg ancora una volta riesce a creare un sentimento verso l’arte che si alimenta di qualcosa che proviene dalla contemplazione della natura, dalla visione di un paesaggio, di una montagna. In un certo senso la sua scultura fa riscoprire il piacere del confronto fisico e psicologico tra l’opera e lo spettatore, un rapporto diretto esclusivo, coinvolgente, aperto. Il lavoro di Cragg ha bisogno di un rapporto individuale, di rispetto e solitudine con lo spettatore.
E’ proprio la caratteristica di dare organicità alla scultura che ha fatto creare qualcosa di unico con la scultura di Cragg. Lavori come gli Hedge sono dei complessi vegetali che non danno riferimenti visivi, intrighi di linee chiuse che tendono verso una direzione verticale. Sono come dei labirinti in cui perdersi, luoghi da guardare e riguardare in cerca di connessioni, di punti di inizio e termine. Qualcosa di simile c’è stata nella pittura di Graham Sutherland e prima ancora di Max Ernst.
Gli stessi disegni, straordinari anche quando hanno un’attitudine progettuale definita, sono dei movimenti vorticosi della matita sul foglio di carta, ma si avverte che la casualità non è una chiave di lettura. I movimenti, lo scorrere del segno sono regole di formazione di qualcosa di vitale, continuo, inarrestabile. Ad ogni giro, ogni ritorno della mano sul foglio vi è qualcosa che cresce, lievita, si sedimenta, si accresce. Assistiamo ad una nascita, anche se la rappresentazione non definisce necessariamente un oggetto, proprio perché Cragg accentua l’idea del processo, dell’organicità dello sviluppo. Tra caso e necessità si muovono questi disegni intensi, metafore biologiche tracciate da una mano che sa . Forme che appaiono e scompaiono in una metamorfosi progressiva, in un continuum che è anche ritmo, musica visiva. Se la finalità è crescere e trasformarsi, noi ne siamo i testimoni.
Ma tutto ritorna sempre diverso come un moto universale che ogni giorno schiude un nuovo giorno sempre diverso. Nel reiterarsi di grandi forme pseudo organiche, c’è l’esigenza umana di non soffermarsi sul già consolidato e scontato, ma forse vi si nasconde anche una grande metafora scientifica. Tony Cragg non a caso ha trovato in Isaac Newton, una sorta di guida spirituale negli anni Settanta.
Lo scienziato misurava in base alla sua ombra il progredire del giorno, il mutamento, la trasformazione avevano un punto di riferimento a partire dalla sua stessa persona. Cragg in una foto sulla spiaggia di quegli anni compie un gesto analogo, ma vi aggiunge un disegno inciso nella sabbia, un’altra ombra, ma vuota. Forse sta in questo l’idea germinale di Cragg: partire dal proprio corpo, dalla propria proiezione per scoprire l’universo e attraverso l’arte unificare quello spazio-tempo che già gli scienziati hanno formalizzato e che l’arte arricchisce del bello e del sublime.
Valerio Dehò
La varietà dei lavori esposti testimonia la dimestichezza di Cragg con linguaggi anche molto differenti, benché accomunati dalla scelta della scultura come mezzo espressivo.
La mostra è una coproduzione di Merano arte con la Fondazione Musei Civici di Venezia in collaborazione con la Galleria Michela Rizzo, Venezia.
Il catalogo è curato da Silvio Fuso, John Wood e Valerio Dehò ed edito da Marsilio.
L’esordio di Cragg negli anni Settanta si pone a cavallo fra scultura ed altri mezzi espressivi, come il collage o l’installazione e si contraddistingue per l’utilizzo di materiali di scarto, domestici o da costruzione, che assembla in grandi composizioni, in cui assume particolare importanza la dimensione cromatica. La riflessione sulla materia plasmata dall’uomo si sviluppa in opere che col tempo divengono sempre più imponenti nelle dimensioni e minimali nell’estetica. Lavora materiali eterogenei come legno, ferro, bronzo e fibra di vetro che trasforma in forme monumentali, mai prescindendo dal suo principale interesse, ovvero l’indagine di oggetti che non esistono nel mondo naturale ma che tuttavia lo riflettono e ne trasmettono informazioni fondamentali. Di qui diventa per Cragg fondamentale il confronto con la forma, che traduce in un’analisi puntuale del potenziale moto dei corpi nello spazio e che riporta nella sua scultura le innumerevoli possibili mutazioni della materia originaria e le sue infinite possibilità di evoluzione e trasformazione. Centrale il confronto con lo spazio, in cui le forme si inseriscono fluidamente, non rimanendo chiuse in se stesse, ma dialogando e rapportandosi con esso. La forte materialità della sua scultura e la sua essenziale e dichiarata laicità non impediscono a Cragg di evocare nelle sue opere una dimensione profondamente filosofica e spirituale, benché di una spiritualità plastica che si pone come alternativa alla natura tanto quanto alla realtà dell’uomo, vincolato solamente alle leggi dell’utile. (Tony Cragg, 2005).
Tony Cragg, ovvero Anthony Douglas Cragg, nasce nel 1949 in Liverpool ed è considerato uno dei maggiori scultori della contemporaneità. Ha esordito con opere realizzate con oggetti plastici di scarto combinati con materiali naturali. Dopo numerose mostre di grande spessore, comprese diverse Biennali di Venezia, verso la metà degli Anni '80 Cragg cambia il suo approccio al lavoro, ripartendo dai fondamenti della scultura ed operando sul legno e sul bronzo. Detentore di molti riconoscimenti, tra i quali il premio Turner.
TONY CRAGG
Merano arte | 13 febbraio – 29 maggio 2011
Testo critico di Valerio Dehò, curatore della mostra presso Merano arte, tratto dal catalogo realizzato in coproduzione con la Fondazione Musei Civici di Venezia ed in collaborazione con le Gallerie Michela Rizzo e Caterina Togno, a cura di Silvio Fuso, John Wood e Valerio Dehò (Edizioni Marsilio, Venezia, 2010).
Rodin era modesto davanti alla sua arte. Quando finì il suo Balzac, che resta il punto incontestabile della scultura moderna, disse : “E’ adesso che vorrei cominciare a lavorare”.
Constantin Brancusi
La forma nella mia scultura è percepita più astrattamente. Lo spettatore deve costruire idealmente una continuità (simultaneità) che gli viene suggerita dalle forme-forze , equivalenti alla potenza espansiva dei corpi…Bisogna dimenticare completamente la figura chiusa nella linea tradizionale e dare invece la figura come centro di direzioni plastiche nello spazio.
Umberto Boccioni
Fin dal lontano Turner Price del 1988, Tony Cragg ha dato inizio ad una silenziosa rivoluzione nella scultura contemporanea che consiste in un profondo ripensamento del concetto di classicità, esaltandone la storicità e la continuità con la storia dell’arte, attualizzandone e liberandone gli esiti espressivi. Se all’inizio una poetica d’ispirazione Dada lo portava a confrontarsi con frammenti di object trouvé reperiti dal mondo urbano, si trattava ancora una volta di un debito verso le avanguardie storiche e verso la poetica dello scarto, che però era già inserita in un framework scultoreo ben definito. Il frammento o il reperto richiamava il Merzbau di Schwitters o certe irriverenze duchampiane, ma avevano già una solida struttura e articolazione. Forse proprio la sua formazione legata all’esperienza in fonderia, alla conoscenza della scultura a partire dalla sua tecnica, ha fatto sì che il suo lavoro pur nell’alternanza di fasi e periodi, conservi una riconoscibilità notevole. La sua idea era quella di un confronto a distanza tra le concezioni storiche della scultura e il Novecento, ma anche di una presa di coscienza per cui l’opera, il manufatto, rimane centrale nell’arte. Ogni forma di smaterializzazione deve partire dall’opera stessa, cioè deve mantenersi nei limiti di un epifenomeno dei contenuti e non certo comportare un abbandono o rifiuto del concetto di scultura.
Il suo essere “classico” consiste proprio, da un lato, nel dare una posizione baricentrica al lavoro dell’artista plastico, dall’altro nello sperimentare le possibilità formali in cui può essere articolata la materia. Il gioco infinito degli specchi tra la forma e la materia è, infatti, un elemento che caratterizza la ricerca scultorea, almeno da Rinascimento, e Michelangelo in particolare, in poi. Inoltre Cragg lavora di preferenza su dimensioni molto grandi, “pubbliche”, e anche in questo ha recepito l’idea della scultura come mediazione con gli spazi naturali e architettonici, come sintesi di spazio e creatività, luogo geometrico di incontro tra l’autosufficienza dell’opera e la sua proiezione nell’ambiente. I suoi lavori sempre più imponenti coniugano il minimalismo che caratterizzava i suoi anni di formazione con una nuova monumentalità che è volume e dinamismo nello spazio. Ma anche questa presenza si alimenta di dettagli oltre che di una visione d’assieme sempre potente. Gli enormi blocchi di legno, ferro, bronzo e fibra di vetro non assumono mai la staticità tipica della statuaria celebrativa tradizionale, sono forme in movimento, in trasformazione per cui la massa serve a dare per contrasto energia al movimento. Tendono più che ad essere “forme in moto” piuttosto a rappresentare il “moto della forma” e quindi l’assoluto come teorizzato da Boccioni.
Un ritorno alle radici della scultura consiste non solo nella scelta dell’elemento costitutivo, della materia della composizione, ma anche nell’elaborazione dello stesso, secondo una poetica che ha caratterizzato Cragg come artista mondiale. I lavori degli ultimi venti anni riconoscibili dei cicli delle Early forms e delle Rational being hanno direzionato le sue scelte certamente verso di Rodin e Boccioni o alla colonna continua di Brancusi, accettando la molteplicità delle forme e la loro variazione che nel secondo caso si accentua di antropomorfismo. Questi profili, e ricordiamo certamente il Renato Giuseppe Bertelli del Profilo continuo del duce (1933), sono dei movimenti stratigrafici attorno ad un nucleo, sono degli avvolgimenti, delle torsioni straordinarie. Si accentua e definisce l’organicità delle forme primarie, ma il dinamismo diventa iperbole.
Le sue forme elementari che non si accontentano di restare ferme in uno stato di vita primordiale, ma cercano anche di adeguarsi ad una contemporaneità che è metamorfosi continua, simultaneità di linee di forza, cangianza di proiezioni e di ombre. Le sue sculture si trasformano, evolvono. L’idea fissa dell’artista per il potenziale moto dei corpi lo conduce ad effettuare una serie di esperimenti, quasi galileiani, sulle varie possibilità delle metamorfosi di queste strutture. Tutto accade comunque dentro l’universo della poetica del fare, non vi sono teorie sufficienti a prevenire i risultati. Non vi sono forme chiuse ma solo aperture in cui prevale l’idea di confronto con lo spazio e con la presenza dei materiali che completano e finalizzano l’effetto estetico. Dalle strutture primarie l’evoluzione porta a confrontare l’impostazione classica con un dinamismo barocco, soprattutto nelle Rational being che richiamano le alchimie del Bernini e del Borromini, in cui la tensione e la moltiplicazione dei punti di vista porta ad una complessità di lettura che non si esaurisce mai in poche chiavi di prospettiva.
Ma se questi riferimenti storici risultano distanti, basta ricordare come nella storia dell’arte i secoli scorrono molto più rapidi che altrove. In ogni caso va richiamato il concetto elaborato da Boccioni di mettere al centro dell’opera lo spettatore, che Duchamp amplierà dicendo che “è lo spettatore che completa l’opera”. Le sculture, le sue “forme dinamiche”, incarnano la concezione di un’opera che avvolge chi la guarda in un processo progressivo e continuo, definito e definitivo. La stessa cura personale nella fattura di ogni lavoro da parte di Tony Cragg, da lui spesso sottolineata, sta proprio nella sua volontà di dare risonanza ai minimi dettagli che hanno rilievo proprio nell’avvicinarsi all’esperienza dell’opera, nella sua scoperta per gradi avvolgendola con lo sguardo e la presenza fisica. In un’intervista a Robert Ayer sulla rivista ARTINFO, Cragg ha raccontato questo aspetto della sua poetica di lavoro: “ C’è l’idea che la scultura sia statica, o forse addirittura morta, ma io sento il contrario di questo. Io non sono una persona religiosa – sono un materialista assoluto. E per me il materiale è eccitante e in ultima analisi, sublime. Quando sono coinvolto nel fare una scultura, io sto cercando un sistema di credenza o di etica nel materiale. Voglio che il materiale abbia una dinamica, per spingere e muoversi e crescere”.
Questo è un aspetto rilevante proprio perché l’idea della dinamicità boccioniana delle forme, viene posta in modo laico circa la capacità dei materiali di esprimere qualcosa che li trascenda. Andando oltre all’aneddotica della scultura, è troppo celebre la parabola michelangiolesca della materia inerte invitata a prendere vita, in Cragg vi è la convinzione che la scultura abbia una missione da compiere nella società, nel diffondere il miracolo, tutto umano però, di saper dare slancio e vivacità alle forme. Possiamo anzi dire che l’artista di Liverpool abbia saputo non solo alimentare una scuola inglese di scultura unica nel mondo, ma abbia ridato valore e importanza alla scultura in senso classico, innovativo perché continuativo con il passato.
Questo forse è avvenuto in quanto ha cercato di ripristinare un corretto rapporto con la natura e i materiali. Ha saputo riprendere ad interrogare la materia e a cercare in essa le risposte. E’ questo allora il reale confronto con la natura. Non è certamente la mimesis, ormai distante dalla cultura contemporanea, ma un sentimento profondo di adeguamento alle regole cosmiche, alla sperimentalità delle metamorfosi, alla certezza sempre parziale dei risultati ottenuti. Sperimentare per l’artista vuol dire cercare nuove possibilità, nuove forme, come un botanico cerca nelle foreste o nei deserti nuove forme di vita da catalogare. In questo caso è la creazione in primo piano, e creare vuol dire sempre trasformare, spostare il senso dal compiuto, già fatto, all’ancora in fieri, allo sviluppo, al processo. L’elemento organico, spesso presente nelle opere di Cragg anche a livello di serie e di titolazioni, è una metafora di riferimento ma soprattutto in chiave concettuale. Per lui la scultura è una sorta di crescita continua, non certo spontanea, anche se così deve apparire.
Esiste una tecnica, nel senso di capacità produttiva, anche nella natura? A seguire un filosofo inglese degli anni Trenta come Robin George Collingwood, questo può essere proprio perché vi una sorta d’inconscio dei materiali che si rivela all’artista . Del resto la natura stessa sembra mostrare delle finalità che ogni interpretazione meccanicista occulterebbe. L’artista, lo scultore operano in una sorta di simultaneità tra le proprie finalità e quelle dei materiali. In fondo la sperimentazione è proprio un cercare delle possibilità sopite dentro gli elementi del mondo, tentare di conoscere e far affiorare ciò che è nascosto dentro l’abitudine e la consuetudine a guadare sempre nello stesso modo. L’artigiano esegue un progetto, mentre l’artista elabora una filosofia dei materiali e del fare, riflette sulla teleologia dell’operatività e ne trova le soluzioni.
Anche un solido geometrico semplice come un cubo, può venire interrogato e analizzato nelle sue componenti, ogni forma o sostanza può essere ulteriolmente analizzata e scomposta. Molti suoi lavori anche in legno o in metallo sono costituiti da svariate sottili lamelle sovrapposte che il taglio e la lavorazione compiuta dalle mani dell’artista rendono ora tanto evidenti. Così gli oggetti come i recipienti o elementi meccanici vengono articolati in modo da rivelare la loro natura estetica. Nulla si crea o si distrugge, ma tutto si trasforma. E allora fra torsioni e striature emergono dalle masse e dai blocchi forme che sembravano sopite ed ora si risvegliano. Uno scolpire fatto “per forza di levare e non di porre” ancora una volta nel segno della tradizione e di Michelangelo, ma che non rinuncia al cercare la leggerezza e la trasparenza, cioè l’aria. Sia attraverso un materiale come il vetro, sia attraverso dei fori che alleggeriscono la materia e la fanno permeare di aria, l’essenza di ogni scultura. Anche in questo caso vi è una memoria storica nell’uso del trapano per alleggerire la parti delle sculture in pietra o marmo che avevano bisogno di minore corporeità e peso. Ma dietro c’è veramente la ricerca costante di liberare la materia dal peso fisico, di smentire almeno in chiave estetica, quella gravitazione che ci costringe alla terra o all’opacità della Erde heideggeriana.
Tony Cragg va a liberare delle forze/forme forse preesistenti che contengono una necessità di crescere. Materiali solidi quali il ferro o la pietra sembra plasmabili come se fossero sostanze biologiche. Qualcosa di simile si può avvertire dinanzi alla creatività e imponenza degli eventi naturali, alla contemplazione di una scogliera erosa dal vento, ad una montagna segnata dal tempo e dagli elementi. Le sculture dell’artista inglese sembrano rocce scavate dal vento, pareti scistose spalancate sul passato, strati di memoria della terra che appaiono in un paesaggio. Ma se vi è un elemento naturale che possa identificare e diventare una sorta di logo del suo lavoro è il fuoco. Proprio senso di una forza che brucia e trasforma la materia, nel senso di un dinamismo continuo, di una logica in cui togliere, distruggere ha una finalità superiore e formale che è anima mundi, finalità e logos della vita.
Tony Cragg pur nella sua perfetta laicità più volte dichiarata, o forse proprio per questo, è uno dei pochi scultori contemporanei a dare un senso visivo alla ricerca, alla spiritualità fisica e plastica che può appartenete all’arte, senza mai diventare illustrazione. Capisce anche che l’uomo di fronte alla natura o di fronte a delle manifestazioni artistiche che lo sovrastano, può davvero porsi delle domande che altrimenti apparterrebbero alla filosofia o alla religione. Le sue sono opere che per dimensioni e complessità, ma questa mai fine a se stessa o semplice decorazione, lasciano attoniti il pubblico. Un concetto un po’ desueto come quello del Sublime può nascere proprio dall’incapacità umana di seguire fino in fondo il percorso dell’opera che rispecchia la volontà dell’artista. Le forme in metamorfosi, in espansione e in crescita portano a queste conseguenza. Il bello legato alla forma della rappresentazione di qualcosa, è connesso con l’idea della limitazione: la forma determina l’oggetto delimitandolo, e questa limitazione è determinata dall’intervento dell’intelletto. Il sublime, nella versione kantiana, invece è legato alla forma dell’illimitatezza, implica il riferimento alla ragione in quanto facoltà dell’incondizionato. Se la contemplazione del bello si traduce nel godimento immediato, il sublime genera un emozione in cui l’animo è astratto e respinto nello stesso tempo. Il sublime non appartiene agli oggetti ma è una facoltà dell’animo superiore ad ogni misura dei sensi. In questo modo è come scambiare i ruoli tra arte e natura senza confonderli, ma producendo un senso attuale in cui il piacere e l’indefinito producono un effetto estetico, che è anche spirituale di trovarsi al cospetto di un evento che giunge al limite della nostra comprensione. Il piacere si unisce ad un certo timore, al senso di una finitezza fisica, umana a cui la bellezza concede tempo ma che non può risolvere. In questo Cragg ancora una volta riesce a creare un sentimento verso l’arte che si alimenta di qualcosa che proviene dalla contemplazione della natura, dalla visione di un paesaggio, di una montagna. In un certo senso la sua scultura fa riscoprire il piacere del confronto fisico e psicologico tra l’opera e lo spettatore, un rapporto diretto esclusivo, coinvolgente, aperto. Il lavoro di Cragg ha bisogno di un rapporto individuale, di rispetto e solitudine con lo spettatore.
E’ proprio la caratteristica di dare organicità alla scultura che ha fatto creare qualcosa di unico con la scultura di Cragg. Lavori come gli Hedge sono dei complessi vegetali che non danno riferimenti visivi, intrighi di linee chiuse che tendono verso una direzione verticale. Sono come dei labirinti in cui perdersi, luoghi da guardare e riguardare in cerca di connessioni, di punti di inizio e termine. Qualcosa di simile c’è stata nella pittura di Graham Sutherland e prima ancora di Max Ernst.
Gli stessi disegni, straordinari anche quando hanno un’attitudine progettuale definita, sono dei movimenti vorticosi della matita sul foglio di carta, ma si avverte che la casualità non è una chiave di lettura. I movimenti, lo scorrere del segno sono regole di formazione di qualcosa di vitale, continuo, inarrestabile. Ad ogni giro, ogni ritorno della mano sul foglio vi è qualcosa che cresce, lievita, si sedimenta, si accresce. Assistiamo ad una nascita, anche se la rappresentazione non definisce necessariamente un oggetto, proprio perché Cragg accentua l’idea del processo, dell’organicità dello sviluppo. Tra caso e necessità si muovono questi disegni intensi, metafore biologiche tracciate da una mano che sa . Forme che appaiono e scompaiono in una metamorfosi progressiva, in un continuum che è anche ritmo, musica visiva. Se la finalità è crescere e trasformarsi, noi ne siamo i testimoni.
Ma tutto ritorna sempre diverso come un moto universale che ogni giorno schiude un nuovo giorno sempre diverso. Nel reiterarsi di grandi forme pseudo organiche, c’è l’esigenza umana di non soffermarsi sul già consolidato e scontato, ma forse vi si nasconde anche una grande metafora scientifica. Tony Cragg non a caso ha trovato in Isaac Newton, una sorta di guida spirituale negli anni Settanta.
Lo scienziato misurava in base alla sua ombra il progredire del giorno, il mutamento, la trasformazione avevano un punto di riferimento a partire dalla sua stessa persona. Cragg in una foto sulla spiaggia di quegli anni compie un gesto analogo, ma vi aggiunge un disegno inciso nella sabbia, un’altra ombra, ma vuota. Forse sta in questo l’idea germinale di Cragg: partire dal proprio corpo, dalla propria proiezione per scoprire l’universo e attraverso l’arte unificare quello spazio-tempo che già gli scienziati hanno formalizzato e che l’arte arricchisce del bello e del sublime.
Valerio Dehò
12
febbraio 2011
Tony Cragg – In 4D. Dal fluire alla stabilità
Dal 12 febbraio al 29 maggio 2011
arte contemporanea
Location
KUNST MERAN/O ARTE
Merano, Via Portici, 163, (Bolzano)
Merano, Via Portici, 163, (Bolzano)
Orario di apertura
da martedì a domenica ore 10-18
Vernissage
12 Febbraio 2011, ore 19.30
Editore
MARSILIO
Autore
Curatore