Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Alfredo Casali
mostra personale
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Alfredo Casali
Il cavaliere del tavolo
Chiara Gatti
Uomini a cavallo di oggetti bizzarri? La letteratura ne è piena. A partire da Cosimo, il “barone rampante” della tenuta di Ombrosa, che trascorse tutta la vita sugli alberi, senza mai mettere piede a terra per poi, in tarda età, afferrare la fune di una mongolfiera di passaggio e volarsene via per sempre. Celebre è anche il caso del barone di Münchausen che, impegnato nella difesa della sua città contro gli attacchi del sultano, trasvolò l'accampamento avversario su una palla di cannone direzionandone il lancio contro i nemici, prima di inforcarne un'altra, sparata in direzione opposta e tornarsene sulle sue mura di difesa. C'è stato anche chi, come l'apprendista strega, partorita dalla fantasia di Mary Norton nel suo libro Falò e manici di scopa, girava mezzo mondo a bordo di un letto a due piazze. Ma il più poetico fra tutti resta il racconto di Kafka dedicato a una delle sue figure gentili e tragiche, quel “cavaliere del secchio” che in sella al suo catino vuoto di carbone fluttuava nottetempo sopra la casa del carbonaio implorando una palata di tizzoni salvo poi, cacciato in malo modo, essere spinto dal vento sulle montagne di ghiaccio e sparire lassù.
Bene, anche Alfredo Casali può vantare un destriero curioso al suo fianco. Qualcosa di insolito, ma capace di sollevarsi dal suolo rollando dolcemente prima di fissare la rotta verso un nuovo paesaggio. È un vecchio tavolo da cucina, con le gambe un po' sghembe, che lui ha lucidato con cura, laggiù nelle sue nebbie cinerine, zeppe di umidità e di galaverna, come un collezionista d'altri tempi avrebbe fatto con un'Aston Martin negli anni Cinquanta. Un colpo di spugna, un'ultima messa a punto e poi via. A caccia di altri orizzonti, seguendo il flusso delle nuvole nel cielo che, come negli occhi dei bambini, assumono forme di strani animali, si assottigliano fino a diventare nastri, s'intrecciano con il fumo che esce dai comignoli, come fanno le scie degli aeroplani, creando grandi frecce che indicano la direzione.
Già, le nuvole. John Constable diceva, come dimostrò nella celebre serie dei suoi “pure sky studies” e delle “nuvole senza terre” (come le definì Roberto Tassi), che bastavano quelle a fare un paesaggio. Casali, dal canto suo, si limita ad aggiungere un tavolo volante e il profilo di una casa dal tetto scosceso per non aver bisogno d'altro. Poeta della sintesi e della leggerezza, costruisce racconti minimi dove l'orizzonte finisce sul bordo di un piano. Più in là, non si sa cosa ci sia. Lo sguardo rotola sulla superficie immaginando colline fra le pieghe di una tovaglia disseminata di michette simili a menhir misteriosi, monoliti tondi, colore della foschia e della notte, che sembrano scolpiti (più che dipinti) nel marmo serpentino. È il suo modo di sublimare la realtà, traslocando dettagli di un mondo quotidiano in una dimensione dove la memoria smussa i ricordi, ma dove, spingendosi troppo oltre, si rischia di perdersi nei territori dell'inconscio. Attenzione. «Qui non c'è nessun significato nascosto» sibilava Giorgio Morandi a chi, avventuratosi nel suo studio nella penombra bolognese, gli chiedeva cosa si celasse dietro le sue foreste di bottiglie. «Le bottiglie sono solo bottiglie» chiosava – forse – per scoraggiare l'avventore.
Non so se, per Alfredo Casali, si possa dire lo stesso. Certo, anche per lui, la composizione viene prima di tutto. Non c'è gamba sbilenca di seggiola o sgabello che non trovi il suo equilibrio perfetto in un'asticella di passaggio, filo d'erba, pesciolino rosa, messo lì per bilanciare ogni cosa. Per non parlare dell'armonia di quei toni un po' bigi e un po' vespertini, che sembrano aver rubato (ancora) i pigmenti al marmo azzurro di Bahia. Ma, checché ne dicano i cultori dell'essenza, Alfredo Casali è anche un gran narratore. Di storie brevi, è vero. Ma in cui la forma va di pari passo con l'immaginazione.
«Un tavolo è prima di tutto un tavolo» diceva Stefano Fugazza in un suo bellissimo testo a lui dedicato nel 2002. Un tavolo reale – s'intende – ma che poi diventa piattaforma, velivolo, aliante, aquilone e, allo stesso tempo, terreno d'atterraggio, campo aperto, scenario, ambientazione dove lo sguardo scivola come nel lungo piano sequenza di una vicenda in pillole, riassunta in titoli che, a loro volta, sono micro-storie. Paesaggio a colazione o In bilico nel paesaggio, fanno pensare a certe visioni oniriche, miraggi di terre emerse fra una tazza di tè e un piattino sbeccato. E il vissuto si mescola con il sogno. Anche quando, per esempio, è la casa stessa a prendere quota mentre le persiane sventolano come rande spiegate. Grande Casali. Per quanto le fasi della sua ricerca siano state tante, dalle “vegetazioni” alle “mappe”, dalle “memorie mimetiche” ai “paesaggi trasparenti”, non si può dire che abbia mai messo i piedi per terra. Come il barone di Calvino. Tanto per continuare a godere delle cose da un punto di vista privilegiato e, insieme, difendersi dal mondo.
Anche adesso che la bruma s'è un po' diradata, mostrando un occhio di sole nell'aria che punge la pelle, Casali continua a sorvolare, a mezza quota, lande intirizzite dall'inverno. E mentre il suo blu “azul di bahia” (ma ci piacerebbe tanto ribattezzarlo Blu Casali perché non c'è artista che lo sappia fare eguale) ha lasciato il posto ai colori della neve e della paglia, anche il racconto ha virato verso nuovi orizzonti. Il gioco figurativo s'è sciolto in un gesto più libero e informale, dove la materia si raddensa, infittisce e rapprende fra nuove cariche di pioggia e nuovi segnali tracciati nel cielo come iscrizioni rupestri incise con la cenere. Altre direzioni di viaggio per un cavaliere senza terra sospinto dal vento sul suo destriero di legno.
Il cavaliere del tavolo
Chiara Gatti
Uomini a cavallo di oggetti bizzarri? La letteratura ne è piena. A partire da Cosimo, il “barone rampante” della tenuta di Ombrosa, che trascorse tutta la vita sugli alberi, senza mai mettere piede a terra per poi, in tarda età, afferrare la fune di una mongolfiera di passaggio e volarsene via per sempre. Celebre è anche il caso del barone di Münchausen che, impegnato nella difesa della sua città contro gli attacchi del sultano, trasvolò l'accampamento avversario su una palla di cannone direzionandone il lancio contro i nemici, prima di inforcarne un'altra, sparata in direzione opposta e tornarsene sulle sue mura di difesa. C'è stato anche chi, come l'apprendista strega, partorita dalla fantasia di Mary Norton nel suo libro Falò e manici di scopa, girava mezzo mondo a bordo di un letto a due piazze. Ma il più poetico fra tutti resta il racconto di Kafka dedicato a una delle sue figure gentili e tragiche, quel “cavaliere del secchio” che in sella al suo catino vuoto di carbone fluttuava nottetempo sopra la casa del carbonaio implorando una palata di tizzoni salvo poi, cacciato in malo modo, essere spinto dal vento sulle montagne di ghiaccio e sparire lassù.
Bene, anche Alfredo Casali può vantare un destriero curioso al suo fianco. Qualcosa di insolito, ma capace di sollevarsi dal suolo rollando dolcemente prima di fissare la rotta verso un nuovo paesaggio. È un vecchio tavolo da cucina, con le gambe un po' sghembe, che lui ha lucidato con cura, laggiù nelle sue nebbie cinerine, zeppe di umidità e di galaverna, come un collezionista d'altri tempi avrebbe fatto con un'Aston Martin negli anni Cinquanta. Un colpo di spugna, un'ultima messa a punto e poi via. A caccia di altri orizzonti, seguendo il flusso delle nuvole nel cielo che, come negli occhi dei bambini, assumono forme di strani animali, si assottigliano fino a diventare nastri, s'intrecciano con il fumo che esce dai comignoli, come fanno le scie degli aeroplani, creando grandi frecce che indicano la direzione.
Già, le nuvole. John Constable diceva, come dimostrò nella celebre serie dei suoi “pure sky studies” e delle “nuvole senza terre” (come le definì Roberto Tassi), che bastavano quelle a fare un paesaggio. Casali, dal canto suo, si limita ad aggiungere un tavolo volante e il profilo di una casa dal tetto scosceso per non aver bisogno d'altro. Poeta della sintesi e della leggerezza, costruisce racconti minimi dove l'orizzonte finisce sul bordo di un piano. Più in là, non si sa cosa ci sia. Lo sguardo rotola sulla superficie immaginando colline fra le pieghe di una tovaglia disseminata di michette simili a menhir misteriosi, monoliti tondi, colore della foschia e della notte, che sembrano scolpiti (più che dipinti) nel marmo serpentino. È il suo modo di sublimare la realtà, traslocando dettagli di un mondo quotidiano in una dimensione dove la memoria smussa i ricordi, ma dove, spingendosi troppo oltre, si rischia di perdersi nei territori dell'inconscio. Attenzione. «Qui non c'è nessun significato nascosto» sibilava Giorgio Morandi a chi, avventuratosi nel suo studio nella penombra bolognese, gli chiedeva cosa si celasse dietro le sue foreste di bottiglie. «Le bottiglie sono solo bottiglie» chiosava – forse – per scoraggiare l'avventore.
Non so se, per Alfredo Casali, si possa dire lo stesso. Certo, anche per lui, la composizione viene prima di tutto. Non c'è gamba sbilenca di seggiola o sgabello che non trovi il suo equilibrio perfetto in un'asticella di passaggio, filo d'erba, pesciolino rosa, messo lì per bilanciare ogni cosa. Per non parlare dell'armonia di quei toni un po' bigi e un po' vespertini, che sembrano aver rubato (ancora) i pigmenti al marmo azzurro di Bahia. Ma, checché ne dicano i cultori dell'essenza, Alfredo Casali è anche un gran narratore. Di storie brevi, è vero. Ma in cui la forma va di pari passo con l'immaginazione.
«Un tavolo è prima di tutto un tavolo» diceva Stefano Fugazza in un suo bellissimo testo a lui dedicato nel 2002. Un tavolo reale – s'intende – ma che poi diventa piattaforma, velivolo, aliante, aquilone e, allo stesso tempo, terreno d'atterraggio, campo aperto, scenario, ambientazione dove lo sguardo scivola come nel lungo piano sequenza di una vicenda in pillole, riassunta in titoli che, a loro volta, sono micro-storie. Paesaggio a colazione o In bilico nel paesaggio, fanno pensare a certe visioni oniriche, miraggi di terre emerse fra una tazza di tè e un piattino sbeccato. E il vissuto si mescola con il sogno. Anche quando, per esempio, è la casa stessa a prendere quota mentre le persiane sventolano come rande spiegate. Grande Casali. Per quanto le fasi della sua ricerca siano state tante, dalle “vegetazioni” alle “mappe”, dalle “memorie mimetiche” ai “paesaggi trasparenti”, non si può dire che abbia mai messo i piedi per terra. Come il barone di Calvino. Tanto per continuare a godere delle cose da un punto di vista privilegiato e, insieme, difendersi dal mondo.
Anche adesso che la bruma s'è un po' diradata, mostrando un occhio di sole nell'aria che punge la pelle, Casali continua a sorvolare, a mezza quota, lande intirizzite dall'inverno. E mentre il suo blu “azul di bahia” (ma ci piacerebbe tanto ribattezzarlo Blu Casali perché non c'è artista che lo sappia fare eguale) ha lasciato il posto ai colori della neve e della paglia, anche il racconto ha virato verso nuovi orizzonti. Il gioco figurativo s'è sciolto in un gesto più libero e informale, dove la materia si raddensa, infittisce e rapprende fra nuove cariche di pioggia e nuovi segnali tracciati nel cielo come iscrizioni rupestri incise con la cenere. Altre direzioni di viaggio per un cavaliere senza terra sospinto dal vento sul suo destriero di legno.
09
aprile 2011
Alfredo Casali
Dal 09 aprile al 09 maggio 2011
arte contemporanea
Location
GALLERIA MOSAICO
Chiasso, Via Emilio Bossi, 32, (Mendrisio)
Chiasso, Via Emilio Bossi, 32, (Mendrisio)
Orario di apertura
martedì-sabato ore 15-18 e su appuntamento (domenica, lunedì e festivi chiuso)
Vernissage
9 Aprile 2011, ore 18
Autore