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Il Bello e le bestie
Centauri e sirene, fauni e meduse, sfingi e arpie, visioni di sogno e apparizioni da incubo nella cultura visiva occidentale tra passato, presente
e futuro.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Dalla mitologia classica alle manipolazioni dell'età contemporanea, l'ibrido
come incrocio tra umano e animale, spirituale e carnale, come metafora della
realtà e punto di vista sul mondo.
E' la grande mostra del Mart per il 2004.
Come ormai è tradizione il Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e
Rovereto organizza per il periodo di fine anno il suo evento espositivo di
maggior rilievo: "Il Bello e le bestie. Metamorfosi, artifici e ibridi, dal
mito all'immaginario scientifico".
Una mostra-evento - curata da Lea Vergine e Giorgio Verzotti con la
direzione progettuale di Gabriella Belli - che partendo dalla seconda metà
dell'Ottocento attraversa diverse correnti artistiche e giunge fino alle
tendenze più recenti, allargando il suo sguardo indagatore - negli eventi
collaterali e nei tanti saggi del catalogo Skira - anche ai territori della
letteratura, del cinema, dello spettacolo e a quelli, attualissimi, della
scienza e della genetica.
Nelle sale del secondo piano del Mart, dall'11 dicembre 2004 fino all'8
maggio 2005 il pubblico si potrà dunque confrontare con l'universo ambiguo
degli ibridi generati dall'incontro fra animalità e umanità: creature legate
alla mitologia o ai fantasmi dell'inconscio, "mostri" che da secoli abitano
l'immaginario collettivo.
Una scelta di quasi centoottanta opere per abbracciare, in uno sguardo
sintetico, due secoli di arte visiva - dal Simbolismo all'estrema
contemporaneità - in un affascinante percorso tematico che confronta epoche,
stili e contributi concettuali, mettendo a fuoco problematiche secolari: da
Arnold Böcklin a Gustave Moreau; da Auguste Rodin a Franz Von Stuck, Matthew
Barney, Max Klinger, Odilon Redon, Giorgio De Chirico, René Magritte, George
Grosz, Pablo Picasso, Marc Chagall, Arturo Martini, Alberto Savinio, Paul
Delvaux, Francis Bacon, Frida Kahlo, Francis Picabia, Ana Mendieta,
Francesco Clemente, Sandro Chia, Mimmo Paladino, Maurizio Cattelan, Louise
Bourgeois, Cindy Sherman, Kiki Smith fino ai recentissimi lavori di Aspassio
Haronitaki, Giuseppe Maraniello, Luigi Ontani.
Opere straordinarie che provengono da musei e collezioni di tutto il mondo,
come il Musèe du Louvre e il Centre George Pompidou di Parigi, il Victoria
and Albert Museum di Londra, l'Israel Museum di Gerusalemme, il KunstMuseum
di Berna; e ancora il Collection Museum of Contemporary Art di Chicago, la
Neue Pinakothek di Monaco, l'Alte Nationalgalerie di Berlino, gli Uffizi di
Firenze, le Gallerie d'Arte Moderna di Torino e Roma.
Accanto a questo nucleo portante, un'emblematica selezione di opere più
antiche chiamate ad evocare - lungo il percorso espositivo - i riferimenti
culturali, gli "archetipi" della produzione artistica occidentale, sul tema
del "divenire animale": ecco allora i vasi e i bronzetti greci e romani
raffiguranti i protagonisti di miti e leggende, le visioni oniriche delle
incisioni di Albrecht Dürer, il bellissimo "Giudizio di Re Mida" di Cima da
Conegliano, "L'uccellatore" dell'Arcimboldo, ma anche il "Ritratto di
Antonietta Gonzalvus" di Lavinia Fontana, l'"Arrigo Peloso, Pietro Matto e
Amon Nano" di Annibale Carracci, le pungenti incisioni del grande Goya.
Cuore pulsante e fonte di ispirazione dell'esposizione è Francis Bacon di
cui in mostra saranno presenti tre importanti tele: "Chimpanzee", del 1955,
"Portrait of Michel Leiris", del 1978, e "Sphinx. Portrait of Muriel
Belcher", del 1979.
Il filosofo Gilles Deleuze ha letto infatti nell'opera del maestro inglese
non tanto il dramma esistenziale - da sempre considerato il fuoco della sua
ispirazione - ma piuttosto una speciale consapevolezza dell'essere umano,
che lo imparenta con l'animalità, la perdita di controllo razionale sulla
corporeità e gli istinti.
E proprio partendo da questa idea si è sviluppata la mostra del Mart,
laddove il Bello del titolo indica la bellezza ideale, platonica, oggetto di
ricerca di artisti ed estetologi, disincarnata, spirituale, assoluta; mentre
le bestie rappresentano la molteplicità del reale (segnalata anche dal
minuscolo), la non-coscienza, l'opposto di ogni concetto idealistico.
La scelta delle opere in mostra indaga proprio la convivenza dell'alto e del
basso, degli opposti fusi nella stessa figura, che si dà quindi come
paradosso, costruito su una contraddizione, e che in quanto tale svela un
conflitto. Su questo conflitto o paradosso si fonda una parte rilevante
della nostra cultura, che orienta la nostra esistenza sul bilico di una
realtà altrettanto contraddittoria.
Il progetto espositivo è suddiviso in due grandi sezioni.
La prima è dedicata all'animalità come alterità - con una sezione riservata
alla figura dell'uomo-animale come portatore dell' "assoluto naturale" fatto
di violenza e sessualità, arcadia e morte; e con una specifica attenzione
alle figure che associamo alla "natura matrigna": la Sirena, la Medusa, la
Sfinge e il Minotauro, "mostri" di cui la mitologia prima e la letteratura
poi ci hanno dato numerosi ed alti contributi.
L'altra sezione, è dedicata alla vicinanza, alla prossimità dell'animalità
come parte di noi, specchio della nostra schizofrenia di uomini
"civilizzati".
Il rapporto umanità-animalità qui si fa stringente: tocca le deformazioni e
le mutazioni fino al tema, come dicevamo attualissimo,delle manipolazioni
genetiche; i luoghi dell'inconscio inteso come un enigma che si può
sciogliere, anche se a costo di faticose introspezioni, o i territori della
razionalità dove l'enigma dell'uomo-animale diventa metafora per veicolare
un discorso critico, latamente politico, sulla realtà e il suo assetto
sociale.
Tutto questo delinea uno scenario abbastanza drammatico nei rapporti fra
uomo e animale, descritto anche in catalogo da punti di vista diversi grazie
ai contributi di storici dell'arte come Gabriella Belli, Markus Müller,
Maria Grazia Tolomeo Speranza, Lea Vergine, Giorgio Verzotti, Francesco
Zambon, ma anche di storici, (Giuseppe Olmi) etologi (Giorgio Celli),
microbiologi (Enrico Magliano), psichiatri (Giacomo Di Marco), storici della
scienza (Nikolaas Rupke e Karen Wonders), sociologi (Renato Mazzolini e
Massimiano Bucchi), storici del cinema (Gian Piero Brunetta), scrittori e
poeti (Edoardo Sanguineti).
Uno scenario che la parte finale della mostra intende sdrammatizzare con
immagini che richiamano la fiaba, il carnevale, il comico, il grottesco.
Tema dunque ambiguo e insidioso, quello di questa mostra, giacché il
rapporto dell'umano col bestiale è sgomentante e malato. Ma tema, tuttavia,
affascinante e stimolante perché conduce in un mondo dove agisce il "perduto
dell'uomo", che, come dice Lea Vergine, è quella istintualità smarrita nel
corso della cosiddetta civilizzazione.
*****
L'umano-animale considerato espressione dell'assoluto naturale - quella zona
mitica che sta al di qua di ogni "disagio della civiltà" - è protagonista
delle prime sale dell'esposizione.
I temi connessi della sessualità e della violenza (a volte separati, a volte
uniti), o per contro dell'arcadia come visione della natura incontaminata
connotano l'animalità anche nella produzione artistica come già in quella
mitologica e letteraria. La mostra entra subito in contatto con
l'immaginario surriscaldato dal mito di epoca simbolista, con i centauri di
Böcklin, Klinger e Von Stuck, impegnati vuoi in estasi idilliache, vuoi in
scene di cruente battaglie. Il De Chirico bockliniano della Lotta di
Centauri fa da tramite fra queste opere e le rivisitazioni di epoca
contemporanea, riscontrabili nelle fotografie di Luigi Ontani (veri omaggi a
Von Stuck) o di Joel Peter Witkin. La sessualità polimorfa e perversa fa da
contraltare, ma spesso piuttosto da polo complementare, alla violenza
ferina, nelle grafiche di Picasso, nel piccolo bronzo di Desiderio da
Firenze giunto dal Louvre come nell'installazione di Fabio Mauri e nelle
fotografie di Matthew Barney.
Tra gli ibridi, tra i "mostri" che animano questa sezione, una particolare
attenzione viene prestata a quelle figure mitologiche che tanto hanno
popolato la nostra cultura visiva e letteraria
La Sirena, la Sfinge, il Minotauro, la Medusa sono le strane creature che
danno sembianza alla natura matrigna, che seducono ed attirano in trappole
mortali l'essere umano caduto in loro mano. Anche qui, l'erotismo si sposa
con la violenza dipingendo un affresco variegato di sottili inquietudini;
anche qui le creazioni del Simbolismo si confrontano con i sogni o gli
incubi di epoche diverse: Dürer, Delvaux, Jeff Koons e Kiki Smith ci parlano
di sirene sublimi, mostruose o grottesche; Gustave Moreau, Dante Gabriel
Rossetti, George Grosz e Vettor Pisani declinano da par loro le diverse
configurazioni della Sfinge. Picasso e Arturo Martini sono i due grandi che
si confrontano intorno al mito del Minotauro, mentre la Medusa è proposta
nelle ceramiche dorate di Lucio Fontana o nelle incisioni di Félicien Rops e
Fernand Khnopf.
Questa parte conclude la sezione dedicata all'uomo-animale come insegna
dell'alterità: e le sale seguenti che affrontano le mostruosità, naturali o
indotte dalle tecniche umane, già ci introducono all'idea, opposta, di
prossimità.
Il ritratto della donna-scimmia che viveva alla corte dei Gonzaga nel famoso
dipinto di Lavinia Fontana, gli "scherzi di natura" di Agostino Carracci o
ancora la donna-pesce di Auguste Rodin, convivono allora con le mostruosità
ideate da Aspassio Haronitaki o Matthew Barney, prodotte da manipolazioni
formali che evocano esplicitamente quelle oggi operate sul patrimonio
genetico, umano ed animale, che tante polemiche stanno scatenando sul piano
etico.
Ma parlare di animalità come prossimità, significa anche riferirsi al mondo
della vita interiore, ai luoghi dell'inconscio, tutti da esplorare e sempre
enigmatici e sconvolgenti, oppure guardare all'animalità come metafora della
realtà.
Dopo il Simbolismo di inizio Novecento, i Surrealisti e gli artisti ad essi
assimilabili animano il secondo grande momento su cui la mostra indaga, con
ampio spazio dedicato a Renè Magritte, Francis Picabia, Alberto Savinio,
Frida Kahlo - con un eccezionale prestito proveniente da Houston - Annah
Hoch, Leonora Carrington.
In questo contesto una sala è anche dedicata al dualismo
"antropomorfo-zoomorfo" in cui ampio spazio è dato a Louise Bourgeois, che
nel ragno vede rappresentata la figura della madre, e a quegli artisti che
sulla via di Arcimboldo configurano il corpo umano a partire dalle spoglie
animali, come Jan Fabre.
Numerosi contemporanei, come Francesco Clemente, Giuseppe Maraniello, la
giovane Juul Krajier, fanno della figura onirica il fondamento della loro
poetica. Ma se il sogno esprime profonde verità sul soggetto che lo produce,
l'umano-animale diventa anche il luogo in cui riconquistare la realtà. E'
quello che fanno altri autori, come Beuys, Gina Pane, Marina Abramovic, Ana
Mendieta, che nell'ambito della performance si sono fisicamente cimentati in
una vera e propria prossimità con l'animale, in un contatto corporale che
mette in questione radicalmente l'identità del soggetto civilizzato.
E lo fanno quegli artisti che scelgono l'uomo-animale come metafora, per
esprimere una loro opinione sul mondo, per fare critica sociale o apologia
morale, come nel "Caprichos" di Goya o nei polittici fotografici di Jane
Alexander, e nella pittura di Moreau, dove il Centauro diventa l'educatore
di Achille, quintessenza dell'umanità eroica o nelle
E' però con le immagini che richiamano la fiaba, il carnevale, il comico e
il grottesco che si chiude la mostra: la volontà di sdrammatizzare il
dualismo umano-animale che è in noi.
Ecco allora lo sposalizio di Chagall e quello di Savinio (fra donne e capre,
o fra gallinacei...) i travestimenti umani a cui è sottoposto il cane di
William Wegman, le maschere di Cindy Sherman, i travestimenti di Luigi
Ontani, lo spirito sempre dissacrante di Maurizio Cattelan
come incrocio tra umano e animale, spirituale e carnale, come metafora della
realtà e punto di vista sul mondo.
E' la grande mostra del Mart per il 2004.
Come ormai è tradizione il Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e
Rovereto organizza per il periodo di fine anno il suo evento espositivo di
maggior rilievo: "Il Bello e le bestie. Metamorfosi, artifici e ibridi, dal
mito all'immaginario scientifico".
Una mostra-evento - curata da Lea Vergine e Giorgio Verzotti con la
direzione progettuale di Gabriella Belli - che partendo dalla seconda metà
dell'Ottocento attraversa diverse correnti artistiche e giunge fino alle
tendenze più recenti, allargando il suo sguardo indagatore - negli eventi
collaterali e nei tanti saggi del catalogo Skira - anche ai territori della
letteratura, del cinema, dello spettacolo e a quelli, attualissimi, della
scienza e della genetica.
Nelle sale del secondo piano del Mart, dall'11 dicembre 2004 fino all'8
maggio 2005 il pubblico si potrà dunque confrontare con l'universo ambiguo
degli ibridi generati dall'incontro fra animalità e umanità: creature legate
alla mitologia o ai fantasmi dell'inconscio, "mostri" che da secoli abitano
l'immaginario collettivo.
Una scelta di quasi centoottanta opere per abbracciare, in uno sguardo
sintetico, due secoli di arte visiva - dal Simbolismo all'estrema
contemporaneità - in un affascinante percorso tematico che confronta epoche,
stili e contributi concettuali, mettendo a fuoco problematiche secolari: da
Arnold Böcklin a Gustave Moreau; da Auguste Rodin a Franz Von Stuck, Matthew
Barney, Max Klinger, Odilon Redon, Giorgio De Chirico, René Magritte, George
Grosz, Pablo Picasso, Marc Chagall, Arturo Martini, Alberto Savinio, Paul
Delvaux, Francis Bacon, Frida Kahlo, Francis Picabia, Ana Mendieta,
Francesco Clemente, Sandro Chia, Mimmo Paladino, Maurizio Cattelan, Louise
Bourgeois, Cindy Sherman, Kiki Smith fino ai recentissimi lavori di Aspassio
Haronitaki, Giuseppe Maraniello, Luigi Ontani.
Opere straordinarie che provengono da musei e collezioni di tutto il mondo,
come il Musèe du Louvre e il Centre George Pompidou di Parigi, il Victoria
and Albert Museum di Londra, l'Israel Museum di Gerusalemme, il KunstMuseum
di Berna; e ancora il Collection Museum of Contemporary Art di Chicago, la
Neue Pinakothek di Monaco, l'Alte Nationalgalerie di Berlino, gli Uffizi di
Firenze, le Gallerie d'Arte Moderna di Torino e Roma.
Accanto a questo nucleo portante, un'emblematica selezione di opere più
antiche chiamate ad evocare - lungo il percorso espositivo - i riferimenti
culturali, gli "archetipi" della produzione artistica occidentale, sul tema
del "divenire animale": ecco allora i vasi e i bronzetti greci e romani
raffiguranti i protagonisti di miti e leggende, le visioni oniriche delle
incisioni di Albrecht Dürer, il bellissimo "Giudizio di Re Mida" di Cima da
Conegliano, "L'uccellatore" dell'Arcimboldo, ma anche il "Ritratto di
Antonietta Gonzalvus" di Lavinia Fontana, l'"Arrigo Peloso, Pietro Matto e
Amon Nano" di Annibale Carracci, le pungenti incisioni del grande Goya.
Cuore pulsante e fonte di ispirazione dell'esposizione è Francis Bacon di
cui in mostra saranno presenti tre importanti tele: "Chimpanzee", del 1955,
"Portrait of Michel Leiris", del 1978, e "Sphinx. Portrait of Muriel
Belcher", del 1979.
Il filosofo Gilles Deleuze ha letto infatti nell'opera del maestro inglese
non tanto il dramma esistenziale - da sempre considerato il fuoco della sua
ispirazione - ma piuttosto una speciale consapevolezza dell'essere umano,
che lo imparenta con l'animalità, la perdita di controllo razionale sulla
corporeità e gli istinti.
E proprio partendo da questa idea si è sviluppata la mostra del Mart,
laddove il Bello del titolo indica la bellezza ideale, platonica, oggetto di
ricerca di artisti ed estetologi, disincarnata, spirituale, assoluta; mentre
le bestie rappresentano la molteplicità del reale (segnalata anche dal
minuscolo), la non-coscienza, l'opposto di ogni concetto idealistico.
La scelta delle opere in mostra indaga proprio la convivenza dell'alto e del
basso, degli opposti fusi nella stessa figura, che si dà quindi come
paradosso, costruito su una contraddizione, e che in quanto tale svela un
conflitto. Su questo conflitto o paradosso si fonda una parte rilevante
della nostra cultura, che orienta la nostra esistenza sul bilico di una
realtà altrettanto contraddittoria.
Il progetto espositivo è suddiviso in due grandi sezioni.
La prima è dedicata all'animalità come alterità - con una sezione riservata
alla figura dell'uomo-animale come portatore dell' "assoluto naturale" fatto
di violenza e sessualità, arcadia e morte; e con una specifica attenzione
alle figure che associamo alla "natura matrigna": la Sirena, la Medusa, la
Sfinge e il Minotauro, "mostri" di cui la mitologia prima e la letteratura
poi ci hanno dato numerosi ed alti contributi.
L'altra sezione, è dedicata alla vicinanza, alla prossimità dell'animalità
come parte di noi, specchio della nostra schizofrenia di uomini
"civilizzati".
Il rapporto umanità-animalità qui si fa stringente: tocca le deformazioni e
le mutazioni fino al tema, come dicevamo attualissimo,delle manipolazioni
genetiche; i luoghi dell'inconscio inteso come un enigma che si può
sciogliere, anche se a costo di faticose introspezioni, o i territori della
razionalità dove l'enigma dell'uomo-animale diventa metafora per veicolare
un discorso critico, latamente politico, sulla realtà e il suo assetto
sociale.
Tutto questo delinea uno scenario abbastanza drammatico nei rapporti fra
uomo e animale, descritto anche in catalogo da punti di vista diversi grazie
ai contributi di storici dell'arte come Gabriella Belli, Markus Müller,
Maria Grazia Tolomeo Speranza, Lea Vergine, Giorgio Verzotti, Francesco
Zambon, ma anche di storici, (Giuseppe Olmi) etologi (Giorgio Celli),
microbiologi (Enrico Magliano), psichiatri (Giacomo Di Marco), storici della
scienza (Nikolaas Rupke e Karen Wonders), sociologi (Renato Mazzolini e
Massimiano Bucchi), storici del cinema (Gian Piero Brunetta), scrittori e
poeti (Edoardo Sanguineti).
Uno scenario che la parte finale della mostra intende sdrammatizzare con
immagini che richiamano la fiaba, il carnevale, il comico, il grottesco.
Tema dunque ambiguo e insidioso, quello di questa mostra, giacché il
rapporto dell'umano col bestiale è sgomentante e malato. Ma tema, tuttavia,
affascinante e stimolante perché conduce in un mondo dove agisce il "perduto
dell'uomo", che, come dice Lea Vergine, è quella istintualità smarrita nel
corso della cosiddetta civilizzazione.
*****
L'umano-animale considerato espressione dell'assoluto naturale - quella zona
mitica che sta al di qua di ogni "disagio della civiltà" - è protagonista
delle prime sale dell'esposizione.
I temi connessi della sessualità e della violenza (a volte separati, a volte
uniti), o per contro dell'arcadia come visione della natura incontaminata
connotano l'animalità anche nella produzione artistica come già in quella
mitologica e letteraria. La mostra entra subito in contatto con
l'immaginario surriscaldato dal mito di epoca simbolista, con i centauri di
Böcklin, Klinger e Von Stuck, impegnati vuoi in estasi idilliache, vuoi in
scene di cruente battaglie. Il De Chirico bockliniano della Lotta di
Centauri fa da tramite fra queste opere e le rivisitazioni di epoca
contemporanea, riscontrabili nelle fotografie di Luigi Ontani (veri omaggi a
Von Stuck) o di Joel Peter Witkin. La sessualità polimorfa e perversa fa da
contraltare, ma spesso piuttosto da polo complementare, alla violenza
ferina, nelle grafiche di Picasso, nel piccolo bronzo di Desiderio da
Firenze giunto dal Louvre come nell'installazione di Fabio Mauri e nelle
fotografie di Matthew Barney.
Tra gli ibridi, tra i "mostri" che animano questa sezione, una particolare
attenzione viene prestata a quelle figure mitologiche che tanto hanno
popolato la nostra cultura visiva e letteraria
La Sirena, la Sfinge, il Minotauro, la Medusa sono le strane creature che
danno sembianza alla natura matrigna, che seducono ed attirano in trappole
mortali l'essere umano caduto in loro mano. Anche qui, l'erotismo si sposa
con la violenza dipingendo un affresco variegato di sottili inquietudini;
anche qui le creazioni del Simbolismo si confrontano con i sogni o gli
incubi di epoche diverse: Dürer, Delvaux, Jeff Koons e Kiki Smith ci parlano
di sirene sublimi, mostruose o grottesche; Gustave Moreau, Dante Gabriel
Rossetti, George Grosz e Vettor Pisani declinano da par loro le diverse
configurazioni della Sfinge. Picasso e Arturo Martini sono i due grandi che
si confrontano intorno al mito del Minotauro, mentre la Medusa è proposta
nelle ceramiche dorate di Lucio Fontana o nelle incisioni di Félicien Rops e
Fernand Khnopf.
Questa parte conclude la sezione dedicata all'uomo-animale come insegna
dell'alterità: e le sale seguenti che affrontano le mostruosità, naturali o
indotte dalle tecniche umane, già ci introducono all'idea, opposta, di
prossimità.
Il ritratto della donna-scimmia che viveva alla corte dei Gonzaga nel famoso
dipinto di Lavinia Fontana, gli "scherzi di natura" di Agostino Carracci o
ancora la donna-pesce di Auguste Rodin, convivono allora con le mostruosità
ideate da Aspassio Haronitaki o Matthew Barney, prodotte da manipolazioni
formali che evocano esplicitamente quelle oggi operate sul patrimonio
genetico, umano ed animale, che tante polemiche stanno scatenando sul piano
etico.
Ma parlare di animalità come prossimità, significa anche riferirsi al mondo
della vita interiore, ai luoghi dell'inconscio, tutti da esplorare e sempre
enigmatici e sconvolgenti, oppure guardare all'animalità come metafora della
realtà.
Dopo il Simbolismo di inizio Novecento, i Surrealisti e gli artisti ad essi
assimilabili animano il secondo grande momento su cui la mostra indaga, con
ampio spazio dedicato a Renè Magritte, Francis Picabia, Alberto Savinio,
Frida Kahlo - con un eccezionale prestito proveniente da Houston - Annah
Hoch, Leonora Carrington.
In questo contesto una sala è anche dedicata al dualismo
"antropomorfo-zoomorfo" in cui ampio spazio è dato a Louise Bourgeois, che
nel ragno vede rappresentata la figura della madre, e a quegli artisti che
sulla via di Arcimboldo configurano il corpo umano a partire dalle spoglie
animali, come Jan Fabre.
Numerosi contemporanei, come Francesco Clemente, Giuseppe Maraniello, la
giovane Juul Krajier, fanno della figura onirica il fondamento della loro
poetica. Ma se il sogno esprime profonde verità sul soggetto che lo produce,
l'umano-animale diventa anche il luogo in cui riconquistare la realtà. E'
quello che fanno altri autori, come Beuys, Gina Pane, Marina Abramovic, Ana
Mendieta, che nell'ambito della performance si sono fisicamente cimentati in
una vera e propria prossimità con l'animale, in un contatto corporale che
mette in questione radicalmente l'identità del soggetto civilizzato.
E lo fanno quegli artisti che scelgono l'uomo-animale come metafora, per
esprimere una loro opinione sul mondo, per fare critica sociale o apologia
morale, come nel "Caprichos" di Goya o nei polittici fotografici di Jane
Alexander, e nella pittura di Moreau, dove il Centauro diventa l'educatore
di Achille, quintessenza dell'umanità eroica o nelle
E' però con le immagini che richiamano la fiaba, il carnevale, il comico e
il grottesco che si chiude la mostra: la volontà di sdrammatizzare il
dualismo umano-animale che è in noi.
Ecco allora lo sposalizio di Chagall e quello di Savinio (fra donne e capre,
o fra gallinacei...) i travestimenti umani a cui è sottoposto il cane di
William Wegman, le maschere di Cindy Sherman, i travestimenti di Luigi
Ontani, lo spirito sempre dissacrante di Maurizio Cattelan
10
dicembre 2004
Il Bello e le bestie
Dal 10 dicembre 2004 all'otto maggio 2005
arte moderna e contemporanea
Location
MART – Museo di Arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto
Rovereto, Corso Angelo Bettini, 43, (Trento)
Rovereto, Corso Angelo Bettini, 43, (Trento)
Biglietti
Intero: 8 EUR Ridotto: 5 EUR
Ridotto scolaresche: 1EUR a studente
Orario di apertura
martedì, mercoledì, giovedì, sabato e domenica 10:00 - 18:00
venerdì 10:00 - 21:00
Chiuso il lunedì
Curatore